ALLA FINE, TRUMP CE L’HA FATTA (ANCORA IN PARTE, MANCA LA FOTO DA AMMANETTATO).

Arrestato per la quarta volta ma in carcere (e quale carcere, lo scannatoio atlantino della contea di Fulton), ma soprattutto sono, forse, caduti nella trappola della foto segnaletica alla quale, assieme alle manette, The Donald agognava dall’inizio della sua giostra di incriminazioni salva Biden (e salva status quo globalista).

Dall’ alto del suo schedato metri 1, 92, coi suoi capelli “parte biondi parte fragola” (ridicolo, mai letta una cosa simile) guarda non certo con presidenziale rassegnazione ma piuttosto con l’aria di chi vorrebbe sbranarlo, il povero impiegato o carceriere che provvede alla fotografia.
A quanto pare, hanno abolito il troppo carcerario sfondo con il metro centimetrato.

Assieme a Trump, la solitamente non auspicabile photo opportunity ha coinvolto ben altri diciotto soggetti coimputati per aver, con parole e fatti, osato porre in discussione il voto presidenziale in Georgia.

Noto anche un uomo di chiesa (credo cattolico, a giudicare dal colletto). Due persone di colore, a smentire il presunto razzismo dei trumpiani.

Tra queste, per me da stretta di mano Miss o Mrs Trevian Kutti col suo fantastico ghigno ironico fino al mefistofelico, che deligittima totalmente chi le sta di fronte. Non male anche il sorriso da sfottò della bionda Jenna Ellis.

Trump ha dovuto sborsare duecentomila dollari di cauzione e impiegare venti minuti per essere ribattezzato “detenuto P01135809”.

Intendiamoci in breve, sin da ora.

Se tutto questo avvenisse in Italia, ma già senza foto e dalla prima puntata del carosello accusatorio a Manhattan, chi scrive o chiunque altro (nonostante la farisaica presunzione di innocenza, diritto alla difesa fino al terzo grado blablabla), dovrebbe rinunciare alla elezione fosse pure alla presidenza della bocciofila di Gubbio o di Tremestieri etneo.

Cio’ a causa della lobotomica e massiva “fiducia nelle istituzioni” anzi “nell’ operato della magistratura”. E una volta era così pure negli USA.

Ora no. Non so se il consenso per Trump resterà così alto, e se veramente si arriverà a una nuova sfida con Biden, ma una cosa è sicura: quella foto che equipara ufficialmente un ex presidente degli Stati Uniti d’America a un qualunque tagliagole o trafficante di droga o stupratore o serial killer, è la certificazione oserei dire notarile e inoppugnabile della crisi del Sistema attorno a cui gravitano tutti gli altri satelliti della galassia euroatlantista.

E’ in fondo principalmente questo cui mirava, come detto, l’apparente follia dell’ ex presidente, in realtà nichilismo vendicativo e iconoclasta allo stato puro. Non penso che quella foto e le altre diciotto rallegrino dei coniugi Clinton od Obama, o un Bush o un Biden: un po’ sono troppo furbi per non intuire l’ azzardo puro cui ora stanno per giocare, un po’ questa gente, a modo suo cioè dell’ establishment global-satanista, ci crede: crede ancora che le loro istituzioni debbano incarnare il Vero e il Crretto.

Da questo punto di vista non so se il nichilismo maggiore sia quello del nostro Donald, o della procuratrice bellaciao made in USA della Georgia che lo persegue (o perseguita).

Il futuro politico e umano di The Donald sta tutto qui, in questo dilemma da filosofia politica di base: l’ essere soggetto passivo di attenzioni da parte dell’ apparato poliziesco-giudiziario è da balordo, non importa se in giacca e cravatta o o calzante Jordan, o da ” uno con le palle che non si arrende all’ establishment corrotto”?

Intanto, il fulminante cipiglio trumpiano fa in poche ore settantotto milioni di visualizzazioni, e si profila un merchandising spaventoso.

Quella che è ormai la foto dell’ anno sarà il marchio del peggior presidente USA o l’ inizio della sua riscossa?

Impossibile prevederlo, saranno solo i cittadini americani a stabilirlo (senza trucchetti elettorali, se possibile).

Sleepy Joe (Biden) ha comunque poco da fare lo spiritoso con la foto del “bel ragazzo”: l’impeachment con i repubblicani inveleniti è dietro l’angolo.

A. Martino

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