IL VALORE DELLA PACE È SACRO SOLO SE, A DETTARLO, SONO GLI AMERICANI ED I LORO SODALI, DIVERSAMENTE, COME SI DICEVA NEGLI ANNI 70. “UCCIDERE UN FASCISTA NON È REATO!”

Il 6 agosto del 1945, gli Stati Uniti, a guerra quasi terminata, lanciarono la prima bomba atomica della storia contro degli esseri umani in carne ed ossa.

A perire, in quella tragica mattina, furono ben 150mila giapponesi di Hiroshima e tre giorni dopo gli yankee pensarono bene di sganciare un secondo ordigno atomico, questa volta sulla città di Nagasaki dove, a trovare la morte, furono circa 90mila nipponici.

Ma come mai tanta violenza da parte americana quando i loro principali competitor nel settore atomico, i tedeschi, erano ormai fuorigioco da più di tre mesi ed il programma atomico giapponese, seppur ancora in piedi nella Corea occupata non era ancora in grado di nuocere?

Semplice perché Washington voleva dare un segnale forte e chiaro a tutti i suoi alleati, Russia compresa, che questa coalizione non era paritetica: seppur, sulla carta, politicamente alla pari, l’Eliseo, Downing Street e il Cremlino, non potevano avere lo stesso peso specifico della Casa Bianca. Le carte le potevano dare solo gli Stati Uniti e tutti gli altri, piaccia o non piaccia, dovevano solo accettare le loro indicazioni.

Il popolo giapponese – incredibilmente, non si arrese neanche dopo i due ordigni nucleari – voleva continuare a combattere, d’altronde, al momento dello sgancio, Tokio controllava ancora saldamente la Manciuria, la Corea, la Thailandia, il Vietnam, la Malesia, l’Indonesia, Taiwan e una buona porzione della Cina.

Al coraggio ed all’orgoglio di un popolo in armi si contrappose la vigliaccheria e la prepotenza di una Nazione che voleva e vuole disegnare ed interpretare il mondo secondo la propria logica unidirezionale.

Così, superbamente e in sfregio ad ogni dignità umana, gli Stati Uniti non chiesero mai scusa per quello che fecero in Giappone.

Addirittura sul cenotafio del Parco della Pace di Hiroshima si può leggere la frase: “Riposate in pace, perché questo sbaglio non sarà ripetuto” e questa costruzione, naturale nella lingua giapponese, intendeva commemorare le vittime di Hiroshima senza politicizzare la questione, cioè senza chiamare in causa gli americani.

Con lo stesso spirito oggi assistiamo alla giustificazione di tutte le guerre promosse dall’occidente: dall’Iraq alla Siria, passando per la Serbia, la Libia e l’Afganistan ed alla condanna, senza se e senza ma, di tutte le altre: dagli attacchi ad Israele alla guerra in Ucraina senza dimenticare la Georgia ed ultimamente il Niger.

In altra sostanza, la pelle ed il sangue non solo non hanno lo stesso colore, ma non hanno neanche lo stesso valore.

E questo è stato ed è ancora un male, non solo italiano – dove, ad esempio, nonostante i lutti degli anni di piombo, permane ancora l’idea, in talune fasce della popolazione, che “uccidere un fascista non è reato” – ma, di buona parte dei pensatori occidentali.

Quindi, la memoria del 6 agosto di ogni Santo Anno, a questo dovrebbe servirci: a prendere coscienza della nostra meschinità ed ipocrisia e non, come nel più becero concorso di bellezza, per farci blaterare inutilmente di desideri o speranze, da “reginetta”.

Lorenzo Valloreja

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