“HAI MAI AVUTO PAURA?” HORROR DI BUONA VOLONTA’ MA CHE NON CI PORTA A VERA INQUIETUDINE, E DI SOMMARIA AMBIENTAZIONE STORICA.
Ho visto Hai mai avuto paura? di Ambra Principato.
Un film coraggioso per il semplice fatto di incasellarsi in un genere (l’horror) riguardo il quale non mi va di autocitarmi, e verso cui i lettori de L’Ortis probabilmente conosceranno il nostro interesse, e le sue motivazioni culturali e persino ideologiche. Complimenti ad Ambra Principato per un prodotto originale e di gestazione, quindi, intuibilmente faticosa.
Le interpretazioni degli attori sono buone, la fotografia (corridoi rischiarati da fioche fiamme di candele, etc.) interessante. Siamo ad un passo oltre il puramente etnografico La pantafa, di cui pure parlammo, e definibile horror con discreta dose di buona volontà; ma a chi, come il sottoscritto, mastica Dario Argento o Lucio Fulci o anche Pupi Avati, per non dire della produzione anglosassone in tema ormai centenaria, il tutto pare una specie di bozza, di edulcorazione politicamente corretta e “istituzionale”, come appunto avrebbe detto il compianto Fulci. Non oso pensare che pugno allo stomaco, nelle sue mani, sarebbe uscito da un soggetto così stuzzicante, con il mot d’ordre “La paura tutto muove….” che parafrasa ben altra declamazione dantesca.
Anche il contesto generale è di tutto rispetto, narrativamente parlando: un Male metafisico e ancestrale oscuro nelle sue dinamica e genesi, degno della penna di Lovecraft ancora più che di Poe, contro cui nulla possono né la Fede (cui resterebbe solo da sperare per la salvezza dell’anima), né la Ragione cui si aggrappa il conte, ma nemmeno le pratiche superstiziose e neopagane di un cacciatore zingaro.
Non che il soggetto, con la sceneggiatura, brilli di originalità: la famiglia aristocratica su cui pesa una maledizione o forse, piuttosto, una misteriosa malattia genetica, l’ambientazione ottocentesca, la licantropia….ma ripeto, tutto sta a come il materiale narrativo si tratti, più che al materiale in sé. E appunto il tutto, mi ricorda il filone italiano del gotico degli anni Sessanta e Settanta o i film di Roger Corman, più che l’esplosione più propriamente orrorifica a partire dall’argentiano Tenebre del 1977 che colse di sorpresa i fans stessi del cineasta romano.
E a proposito di ambientazione storica: che senso ha parlare di una “Italia 1813” con allusioni singolari alla famiglia dei conti Leopardi, quando in realtà, Sicilia e Sardegna a parte rette rispettivamente da Borbone e Savoia, la Penisola tardonapoleonica era tripartita fra Impero francese, Regno d’Italia detto italico e Regno di Napoli murattiano? Qualche minuto di reale ambientazione storica con relativi spunti per la narrazione, non avrebbe stonato. Un condizionamento politicamente corretto e storicamente, se mi si consente, ridicolo, è il continuo riferirsi al feudo o latifondo o proprietà che dire si voglia, da parte del conte, come “comunità” di cui egli e la sua famiglia sono la “guida”.
Soprattutto non avrebbe stonato caricare di maggiore raccapriccio e di doveroso splatter le scene degli inquietanti delitti, approfittando anche, francamente, dell’assenza di Rai Cinema e quindi delle ansie da trasmissione in prima serata. Spero che per la volenterosa regista questo sia solo un primo passo nel difficile genere, da perfezionare e rendere più visionario e incisivo in inquietudine.
A. Martino
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