IL 25 LUGLIO 1943, ESATTAMENTE 80 ANNI FA, IL REGIME FASCISTA TENTÒ DI RIMANERE ALLA GUIDA DEL PAESE SENZA MUSSOLINI. IL RE, TUTTAVIA, NON AVEVA TENUTO CONTO DI ALCUNE VARIABILI E COSÌ LO STATO SI AVVIÒ ALLO SFACELO.

La notte del 25 luglio 1943 è passata alla storia come il momento in cui il Fascismo, attraverso il voto del Gran Consiglio, si suicidò, ma fu veramente così?

Certo da quell’evento dipesero tante atre situazioni che, di li a poco, portarono:

  1. Badoglio e molti fascisti della “terza linea” al Governo;
  2. All’Armistizio dell’8 Settembre;
  3. Allo sbandamento delle nostre Forze Armate;
  4. Allo sfacelo dello Stato;
  5. Alla nascita della Repubblica Sociale;
  6. Allo scoppio della Guerra Civile;
  7. Alla cobelligeranza del Regno del Sud;

Ma quante di queste situazioni furono volute e ponderate dai protagonisti e quante invece furono opera del susseguirsi tumultuoso degli eventi?

Oggi, dopo 80 anni, possiamo permetterci una rilettura certamente più oggettiva e distaccata degli eventi perché tutti i principali protagonisti dell’epoca non ci sono più e nuovi documenti sono stati rinvenuti presso l’Archivio Centrale dello Stato.

E grazie a questa nuova copiosa documentazione, usando la logica ed il buon senso possiamo arrivare alle seguenti considerazioni:

  1. Mussolini, dopo il 10 luglio 1943, voleva far uscire l’Italia dalla Guerra.

A partire dallo sbarco degli Alleati in Sicilia il Duce era cosciente del fatto che l’Italia non era più in grado di sostenere lo sforzo bellico fin qui affrontato insieme all’alleato tedesco e questo non tanto per mancanza di mezzi quanto per un evidente fronda interna che traeva la propria forza, non tanto dagli ambienti del Fascismo di Governo o dalla Corona, quanto da entità che avevano le proprie centrali operative all’estero, come la Mafia negli Stati Uniti, o il Partito Comunista in Unione Sovietica.

Ad esempio, è esemplare, a tal riguardo, ciò che accadde nella Piazzaforte di Augusta, dove – pur essendo “dotata di ben sei batterie antinavali, venti cannoni costieri, cento cannoni nel perimetro della base e tanto per rincalzo un treno blindato di artiglieria” – arrivò, immediatamente dopo l’allarme generale per l’imminente sbarco alleato, l’ordine di autodistruzione dell’imponente e temibile armamento anziché quello di aprire il fuoco a volontà.

A quel punto fu evidente al Duce che il suo “discorso del bagnasciuga”, tenuto solo pochi giorni prima a Palazzo Venezia, era del tutto ridicolo perché ora che il nemico si affacciava: “ai termini sacri della Patria, i quarantasei milioni di italiani” non furono mai “in potenza e in atto quarantasei milioni di combattenti, che credono nella vittoria perché credono nella forza eterna della Patria” ed a prendere un identica cantonata fu anche il Re, Vittorio Emanuele III, il quale, parlando con Dino Grandi, ebbe a dire, nelle medesime ore: “Le nostre truppe resisteranno, combatteranno fino all’ultimo uomo!

Certo a Gela si combatté con onore, e tutti fecero il loro dovere, financo essere trucidati dagli Alleati una volta fatti prigionieri, ma il tarlo era ormai nelle travi dell’esercito.

D’altronde come si può combattere se una piazzaforte anziché resistere si autodistrugge? E se domani a farlo fosse una brigata corazzata o la flotta?

Sarebbe un onta insostenibile, è evidente che non si ha più il potere sui gangli dell’esercito e questo è un amaro calice che il Duce non voleva bere da solo ma condividere con altri, magari con i vertici sabaudi.

A questo punto, però, la Germania che era ben informata su ciò che stava accadendo nel bel Paese, chiamò Mussolini a vertice ed invitò il Duce a scegliere il luogo che più gli aggradasse per tale incontro.

Tuttavia, prima di fissare il luogo, la Corona fece pervenire al Duce l’indicazione di chiedere al Fuhrer di tenere una pace separata con Stalin in modo che tutte le forze oggi impegnate in Russia potessero essere dirottate sul Mediterraneo ed in particolar modo in Italia, cosa che, tra l’altro, il nostro Paese fece già, con scarsi risultati, il 7 aprile del 1943 al vertice di Klessheim, ma che, in questo caso, se l’alleato non ci avesse dato ascolto, avrebbe indotto il nostro Paese ad uscire dal conflitto.

  • Mussolini non era più in grado di gestire Hitler.

Dunque, per il 19 luglio 1943, il nostro Governo indicò Villa Pagani Gaggia presso San Fermo di Belluno, ma essendo i due dittatori apparsi, al popolo, dal balcone dell’allora esistente Caffè Grande, locale, prospiciente Largo Castaldi, in Feltre, il bilaterale in questione è passato alla storia come “Incontro di Feltre”.  

Qui un Duce sommesso, non ebbe la forza ed il coraggio, almeno ufficialmente, di dire al proprio principale alleato che l’Italia non era più in grado di reggere lo sforzo bellico. Tentò solo di chiedere armi e uomini e come se non bastasse mentre lo chiedeva arrivò come un fulmine a ciel sereno la notizia del primo bombardamento alleato su Roma.

Quando pranzarono soli, poi, c’è chi, tra gli astanti, giura di aver ascoltato Mussolini parlare con il proprio ospite di una pace separata con Stalin e delle urla di disapprovazione di Hitler, ad un simile proposta, rafforzate anche da vigorose manate sul tavolo.

Un atteggiamento oltremodo collerico al quale, il Duce, seppe opporre solo una tenue e inutile resistenza verbale.

Poi, tornato in sé, il Fuhrer, per la prima volta, accennò a Mussolini della questione delle armi segrete in suo possesso che avrebbero stravolto gli esiti della guerra a favore delle forze dell’Asse.

Armi che, sempre secondo Hitler, sarebbero state in grado di radere al suolo Londra fino all’ultima casa in un sol colpo e che avrebbero messo così, in ginocchio, la Gran Bretagna.

Sarà, ma Mussolini, anche questa volta, non ha ottenuto niente dal suo alleato … la misura è ormai colma ed il Duce stesso è ormai stanco di tutta questa situazione e vorrebbe lasciare la politica per ritirarsi a vita privata.

  • Vittorio Emanuele III era convinto che avrebbe potuto salvare tutto quanto era stato conquistato prima del 1940.

Dello stesso avviso è il Re, Vittorio Emanuele III, che vorrebbe salvare il salvabile, cioè il Regno, i confini nazionali, quelli coloniali prima del 1940, ed un sistema politico che tutto sommato gli è stato utile per il mantenimento dello status quo.

Hitler non fa la pace con la Russia e non ci concede di uscire dal conflitto?

Bene, sostengono dalla Real Casa, vuol dire che ne usciremo da soli ed in piedi!

Come?

Facendo pesare agli Alleati il fatto che controlliamo, insieme ai tedeschi, tutti i Balcani, il sud della Francia e chiaramente la penisola italiana, la nostra marina è ancora integra, così come tutti i nostri reparti continentali.

  • Il Fascismo voleva sopravvivere al Duce.

Mussolini sarà deposto, e, in sua vece, nomineremo Badoglio, un “fascista di terza linea”, il Duca di Addis Abeba per intenderci, e con lui vi saranno altri tecnici fascisti, meno esposti dei loro predecessori, ma non per questo meno conservatori e useremo il Duce come materiale di scambio, sia con gli alleati che con i tedeschi.

Ora, sempre secondo il Re, se gli americani avessero dato tempo e uomini all’Italia, l’operazione sarebbe riuscita alla perfezione portando la guerra fino ai confini della Germania.

Di quest’ultima parte, riguardante il destino del Duce, Mussolini è completamente all’oscuro, pensa solo che vi sarà un avvicendamento al vertice, ma per il resto resterà tutto come prima e la pace separata con gli alleati sarà una iattura che dovranno vedersi altri.

  • Mussolini accettò il voto del Gran Consiglio come una liberazione personale.

Mussolini non aveva nessuna stima di Hitler ed infatti in una telefonata con la Petacci, riguardante proprio l’incontro di Feltre, definì il Fuhrer un megalomane e sapeva anche molto bene che la Germania non avrebbe mai perdonato all’Italia questo voltafaccia, indi per cui, gli esiti, secondo il Duce, potevano essere veramente imprevedibili, ed ecco perché – pur potendo legittimante opporsi al voto del Gran Consiglio, che tra l’altro non poteva neanche votare in quanto era, se pur importantissimo (Principale Organo Costituzionale del Regno), un semplice organo consultivo – Mussolini accettò la sfiducia mossagli dai suoi sodali.

Dunque, alla fine:

  • Mussolini, convocando il Gran Consiglio del Fascismo, accettando di discutere l’Ordine del Giorno Grandi e riconoscendone il voto sfavorevole non ha fatto altro che abdicare volontariamente ad una situazione che non sapeva più gestire, salvo poi, questo si, non prevedere l’arresto prima e la detenzione poi, in varie località d’Italia;
  • Grandi cadde nella trappola del Re pensando che sarebbe stato lui a sostituire il Duce;
  • Badoglio prese il comando del Governo iniziando le trattative ma non fu in grado di cavarne il risultato che Vittorio Emanuele III si era prefissato;
  • Il Re prese la grave cantonata di non aver compreso che, a seguito della Conferenza di Casablanca, la guerra non era solo mondiale, ma anche ideologica e al di là delle buone intenzioni trasmesseci dalle memorie di Churchill – secondo le quali lo statista britannico si sarebbe speso, anche contro il parere di  Roosevelt, per escludere l’Italia dalla resa incondizionata, ma che, poi, di tale esclusione non sia rimasta traccia nel documento finale a causa di un malinteso – l’Italia venne duramente punita dagli alleati.

E, da quella data, l’Italia smise di essere una delle principali potenze del mondo e questo perché, solo qualche hanno dopo, un altro grande statista italiano capì che “tutte le volpi, prima o poi, si ritrovano sempre in pellicceria” e la nostra Nazione, in quegli anni, forse aveva giocato troppo d’astuzia e poco basandosi sulle sue reali potenzialità.

Lorenzo Valloreja

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