SOGNO INFRANTO
Riflettendo sugli ultimi avvenimenti internazionali ho avuto la netta sensazione che l’America soffra di una malattia genetica. E che tale malattia, per paradosso, si chiami proprio “american way” o “american way of life”. Ovvero quello stile di vita, quel brand che caratterizza gli USA e li distingue dal resto del Mondo.
Infatti è da almeno tre secoli che nell’immaginario comune il Paese a stelle e strisce viene unanimamente percepito come l’apoteosi, lo zenith della democrazia e del benessere nel Mondo. Una sorta di Eldorado dove al posto dei fiumi scorrono latte e miele. E dove soprattutto ogni sogno può diventare realtà!
Quante volte abbiamo sentito affermare questa presunta peculiarità degli Stati Uniti? Ma il fatto che l’America possa essere la patria di tantissimi “sognatori” non è sempre detto che poi i sogni si realizzino tutti. Anche perché colui che sogna è fondamentalmente una persona dormiente che ha perso momentaneamente il contatto con la realtà circostante.
E queste dinamiche, secondo me, si attanagliano perfettamente ai tempi che stiamo vivendo. Guerra in Ucraina in primis.
Infatti non è un mistero per nessuno che il sogno bagnato dell’establishment angloamericano è sempre stato quello di disgregare e conquistare la Russia.
E logicamente se il sogno di Washington & Co. di sottomettere l’Irak si realizzò immancabilmente, perché non si dovrebbe realizzare il sogno di sottomettere la Russia?
Purtroppo per gli yankees la Russia non è l’Irak e Vladimir Putin non è Saddam Hussein. Però par di capire che i noti “esportatori di democrazia” non se ne vogliano fare una ragione.
Molto semplicemente essi non riescono a concepire che un loro sogno stenti a realizzarsi. Perché alla fine, se vogliamo capire bene il senso di frustrazione che sta attanagliando gli americani in questo periodo, bisogna volgere lo sguardo verso Hollywood e alla sua industria cinematografica.
Infatti se andiamo a visionare tutto ciò che è stato prodotto da quest’ultima in quasi cento anni potremmo renderci conto che un buon 90% dei film realizzati sono basati su un cliché, un canovaccio tanto semplice quanto efficace: Buoni Vs. Cattivi. Anzi per essere più precisi: Buonissimi contro Cattivissimi. Nel senso che i cosiddetti “buoni” sono totalmente buoni a prescindere. Immacolati, senza macchia e senza paura. Mentre invece i cosidetti “cattivi” rappresentano la quint’essenza del Male in persona. Sono permeati di una cattiveria intrinseca e totale senza alcuna possibilità di redenzione.
Ebbene se da un lato questi sopramenzionati cliché possono far sghignazzare le persone di buon senso dall’altro lato sono stati usati incessantemente dalla propaganda a stelle e strisce per plasmare gli umori e la volontà della popolazione statunitense. Da decenni, decenni e decenni.
Va da sé che col tempo il popolo statunitense abbia introiettato visceralmente l’idea di far parte indiscutibilmente della categoria dei “buonissimi”, come una sorta di redivivo Popolo Eletto. Ma questo continuo rimescolamento tra fiction e realtà sta iniziando a creare problemi e frustrazioni, come detto poc’anzi. Si perché questa volta gli attori non stanno seguendo il copione alla lettera. Infatti par di capire che coloro a cui è stato affibbiato il ruolo di cattivi (i russi) stiano clamorosamente e inaspettatamente prevalendo sui sedicenti buoni (USA, NATO, Ucraina). E questa dinamica è semplicemente inaccettabile e impossibile da assimilare da parte di coloro che pretendevano di produrre un film con il finale già scritto.
In fin dei conti si tratta molto semplicemente di andare a schiantarsi contro la Realtà. La dura Realtà. Perché, come detto prima, non tutti i sogni riescono a realizzarsi.
Un uomo può sognare di essere donna. E per la società occidentale può vestirsi da donna, avere un nome da donna, gareggiare nello sport come donna e usufruire delle quote rosa. Ma, purtroppo per lui, rimane a tutti gli effetti geneticamente un uomo. Ugualmente un Paese criminale può autodefinirsi democratico, altruista, inclusivo. Ma rimanere a tutti gli effetti un Paese criminale.
E concludo citando un film del 1968 interpretato da Alberto Sordi e Nino Manfredi dal titolo:”Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?”.
In sintesi in questo film l’Alberto nazionale interpreta il ruolo di un facoltoso uomo romano che, assieme al suo ragioniere di fiducia, decide di recarsi in Africa sulle tracce di suo cognato (Nino Manfredi). In tale contesto i due uomini affrontano varie peripezie. Tra le altre una in particolare. Alberto Sordi, camminando in mezzo alla Savana, mette il piede in una trappola e di colpo si trova sollevato e legato sopra un albero a testa in giù. In men che non si dica si ritrova accerchiato da un centinaio di minacciosi autoctoni armati di lance e frecce. Egli, appeso come un prosciutto, si chiede sgomento: “E questi chi sò? Non fuggono? Non temono l’uomo bianco?”. Probabilmente è lo stesso sgomento che sta provando Josep Borrell, il rappresentante degli affari esteri dell’ UE, che tempo fa ebbe a definire il mondo occidentale come un giardino fiorito mentre il resto del mondo sarebbe una Savana popolata da selvaggi.
Ebbene il sogno infranto, anzi l’incubo, dell’Occidente è prendere coscienza che questi selvaggi non fuggono e non temono più lo Zio Sam e i suoi vassalli.
Alessio Paolo Morrone
Lascia un commento