OTTANTA ANNI FA (10 LUGLIO 1943) LO SBARCO IN SICILIA, E L’ITALIA FINI’ PERCHE NE NASCESSE UN’ALTRA (O QUALCOSA DI SOMIGLIANTE).PARTE PRIMA: OGNI DISFATTA HA IL SUO PROLOGO E I SUOI VIGLIACCHI O INCOMPETENTI.
9 maggio 1943. Il comandante generale italiano in Sicilia Mario Roatta (uomo di servizi segreti e maneggi vari ma anche con precedenti di duro comandante nei Balcani) fa affiggere sui muri di Sicilia sotto la pioggia di bombe alleate un nefasto proclama meramente quanto disastrosamente propagandistico:
“ Strettamente, fiduciosamente e fraternamente uniti, voi fieri Siciliani e noi, militari italiani e germanici, delle FF.AA. Sicilia, dimostreremo al nemico che di qui non si passa”. Molti vi lessero, in effetti del tutto legittimamente sulla base testuale, una differenza tracciata dall’ alto ufficiale (emiliano) fra italiani e siciliani. La eco fu effettivamente dannosissima sul morale della popolazione locale (tra l’altro ben presente tra gli effettivi che si accingevano a sostenere l’urto tremendo del nemico) e Roatta fu ben presto sostituito ma notevole danno su una popolazione tra cui la mafia italoamericana aveva ormai dispiegato i suoi tentacoli pro Zio Sam, era ormai ottenuto. A subentrare a Roatta ormai autodelegittimatosi fu un soldato che nella Storia militare non lascerà affatto tracce negative, e di cui dovremo ampiamente tornare a parlare. Qui vorrei solo accennare che Alfredo Guzzoni, in occasione della campagna di Grecia, era stato forse l’unico generale ad osare dissentire da Mussolini nelle sue direttive fallimentari.
11 maggio 1943. Quanto resta dell’ Afrika Korps si arrende in Tunisia, chiudendo ingloriosamente una pagina di storia militare epica (d’altronde il mitico Rommel aveva da poco, un po’ furbamente, lasciato il comando). Con Rommel o senza, sta di fatto che le nostre residue forze strettamente collegate furono costrette due giorni dopo a fare altrettanto. Fine della esperienza coloniale italiana, e delle sue armi sul suolo africano. La guerra finisce anche per Giovanni Messe, probabilmente il miglior (o meno deficitario) comandante italiano.
E’ a questo punto scontato che, tra l’altro forti anche del dominio delle acque del Mediterraneo grazie anche (o soprattutto) alla decifrazione del codice segreto di comunicazione tra tedeschi e tedeschi e fra tedeschi e italiani, gli alleati occidentali si volgeranno ben presto contro l’Italia ritenuta “ventre molle” della Fortezza Europa.
11 giugno 1943. Pantelleria si arrende grazie alla sostanziale viltà del comandante ammiraglio Pavesi che non aveva atteso neanche l’autorizzazione da Roma. Trentasei caduti militari e cinque civili sotto le bombe anglosassoni oltre ad alcune centinaia di feriti furono un bilancio senz’altro doloroso come ogni perdita umana, ma che avrebbe indotto questo ufficiale della Regia Marina a consegnarsi all’invasore assieme a 7400 sottoposti, che presidiavano fortificazioni con danni minimi e persino un hangar corazzato della Regia Aeronautica. L’atto militarmente dissennato indusse o costrinse le fortezze di Linosa e Lampedusa a fare altrettanto, e produsse ulteriore scoramento e disfattismo in una opinione pubblica stanca della guerra, demotivata e delusa dall’alleanza con i tedeschi rivelatasi non un affare ma un “guaio” grazie alla combinazione nefasta di scarsa professionalità e abnegazione dei comandi, arretratezza tecnica e protrarsi delle ostilità.
14 giugno 1943. Giunge sulla scrivania del dittatore a Palazzo Venezia il primo rapporto del generale Guzzoni, in cui, con le sue caratteristiche sincerità e lealtà anche dialettica, descrive a Mussolini un quadro non proprio catastrofico ma sicuramente con gravi ombre: militari e politiche. Non credo che Guzzoni avesse avuto sentore e intuizione delle manovre dei servizi segreti yankee utilizzanti la mafia che da allora sarà reinserita in Sicilia sotto l’egida dei nuovi dominatori del mondo occidentale, ma certo l’onesto ufficiale fa presente al Duce che “ intellettuali, nobili e possidenti” appaiono totalmente indifferenti e attendisti. Di più non penso, ripeto, che avesse capito o gli fosse stato fatto presente: con la sue abituali franchezza e schiettezza, lo avrebbe certamente messo nero su bianco tanto più trattandosi di un pericolo così dirompente per il futuro italiano. Comunque, Mussolini affermò che “finalmente aveva conosciuto la verità sulla Sicilia” incaricando il prefetto Testa, Alto commissario civile per la Sicilia, di riferirlo al Guzzoni.
24 giugno 1943. In singolare concomitanza, Benito Mussolini dinanzi al direttorio del partito fascista (ma la diffusione radiofonica avverrà il 5 luglio) e uno degli ultimi veri e grandi filosofi europei, l’idealista Giovanni Gentile (“padre” del liceo classico) pronunziano rispettivamente il cosiddetto discorso del bagnasciuga e un appello alla nazione letto nella cornice evocativa del Campidoglio, degno di un intellettuale probabilmente “sprecato” non solo per il fascismo, ma forse anche per quel particolare e ingrato momento storico.
L’allocuzione del Duce passerà alla Storia per aver confuso la battigia (zona frammista tra spiaggia e mare) con la linea di emersione e immersione in alternanza, di uno scafo. Ma disquisizioni lessicali a parte, Mussolini aveva compreso che gli angloamericani andavano bloccati il più rapidamente possibile, e che una loro penetrazione nell’interno della grande, stupenda isola avrebbe avuto esiti militari (e politici) totalmente irrimediabili.
Giovanni Gentile invece (tra l’altro siciliano da Castel Vetrano) deluse la dirigenza fascista perché il suo epico discorso le sembrò troppo cupo e pessimista, in quanto richiedente il sacrificio quasi fine a sé stesso per la Patria in quanto tale: come i migliori intellettuali conosceva e comprendeva lo scoramento dei connazionali, e non voleva nasconderlo; sperava di fare il miracolo nei cuori esortando a essere degni di chi e cosa li aveva preceduti, e a confermarli in un grande progetto. In realtà e purtroppo, la maggioranza degli italiani stava ormai tornando “italiota” abdicando alla propria “italicità” e romanità.
Noto che se il partito fascista non fu entusiasta dell’appello gentiliano (il grande interprete italiano di Hegel era l’ultimo tra i massimi intellettuali più o meno organici al regime dopo la scomparsa di Pirandello e D’annunzio), evidentemente il prestigio e autorità di costui era tale da non consentirne censure o pressioni preventive.
A questo punto, non restava che attendere lo schianto contro l’urto del nemico e il Destino dell’Italia: la più grande flotta di invasione della Storia stava preparandosi indisturbata, a solcare (sempre indisturbata) le acque di quello che non era più, e mai più sarà, Mare nostrum.
A. Martino
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