ARRIVANO DA BIDEN LE BOMBE A GRAPPOLO O “CLUSTER BOMBS”. LA ESCALATION NELLA GUERRA SU COMMISSIONE NON SI FERMA.
Alla fine, anche le famigerate “bombe a grappolo” saranno fornite all’ Ucraina dagli USA su decisione del Presidente Biden. Nel quadro pur anomalo di una guerra dove il famoso “aggredito” ci mette gli uomini (gli altri dicono di no e io non lavoro nei servizi segreti o negli stati maggiori per poterlo verificare) e gli amici (anche se non alleati) dell’ “aggredito” le armi, i soldi e qualunque materiale, la cosa non dovrebbe scandalizzare. Infatti né l’America né l’Ucraina né la Russia (che dicono le usi da sempre) hanno aderito alla convenzione che le vieta. Discendenti degli shrapnel della prima guerra mondiale, esse hanno la caratteristica di diffondere a largo raggio dei letali “bomblets” colorati. Quindi, possono andare a incidere su territori al momento occupati da civili. I bomblets sono a volte soggetti a inesplosione, e il loro aspetto perfidamente gaio e sgargiante attira il maneggio dei bambini.
Questa ennesima fornitura all’ Ucraina solleva pilateschi imbarazzi e perplessità dei satelliti atlantisti, ma sono solo gioco delle parti e pose a consumo dell’opinione pubblica locale. Piuttosto, suscita notevolissimi interrogativi politici, e conferma una tendenza che appare un disperato cammino verso l’ignoto di chi, vittima della propria stessa escalation, non sa proprio come uscirne.
La dinamica delle forniture militari (quasi totalmente gratuite) a Kiev in questa epocale guerra per commissione è ricostruibile secondo questo schema applicabile da quando, passati i primi cinque o sei giorni di “operazione speciale” russa, si è sempre più innalzata l’asticella del livello offensivo e tecnico del materiale. Dalle mimetiche “corazzate” e dai proiettili per armamenti leggeri, ai sistemi antiaerei per finire con batterie missilistiche e carri armati etc. Innanzitutto, il fattore dominante è il Tempo.
Nel senso che il protrarsi del conflitto implica la progressiva accettazione delle richieste inevase di Kiev. Ciò che fino a pochi giorni prima era ritenuto troppo compromissorio agli occhi di Mosca nel senso di un vero e proprio coinvolgimento della NATO nel conflitto, viene poi accettato nella speranza che si chiuda la partita con il collasso del regime putiniano o almeno (cosa forse ancora meno probabile) con una precipitosa ritirata russa entro i confini neanche del 24 febbraio 2023 ma addirittura del 2014. E che naturalmente, il Cremlino ogni volta “abbozzi”, come si dice a Roma.
Il problema è che non si capisce fino a che punto la coalizione occidentale sia disposta a spingersi nel rimpinzare gli ucraini di qualunque arma o apparato militare. E fino a che punto Mosca, tutto sommato con una moderazione che non credo proprio che a ruoli invertiti l’altra parte avrebbe, sia disposta a non considerare questo fiume di forniture visto prima forse, solo nella seconda guerra mondiale dagli USA verso l’Unione sovietica o la Gran Bretagna, come un vero e proprio atto di guerra. Con conseguenze assolutamente imprevedibili e imponderabili.
Restano al momento, e per quanto pubblicamente si sappia, inevase le richieste riguardo navi da guerra e aerei F 16 (ma contraddittoriamente, stanno addestrando i piloti ucraini). Credo che anche queste richieste verranno assecondate entro l’autunno qualora la tanto pubblicizzata e sostenuta offensiva ucraina non sortisca almeno una buona parte degli obiettivi prefissati dalla NATO e dall’ eurocrazia.
A. Martino
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