PASOLINI SAREBBE CERTAMENTE CONTENTO NEL CONSTATARE CHE LE TRADIZIONI LEGATE AL CULTO DI SAN GIOVANNI BATTISTA RESISTONO ANCORA

<< Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e tutti gli artigiani, quando non ci saranno più le lucciole, le api, le farfalle, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita >>. 

Così si espresse Pier Paolo Pasolini nel 1962 e chissà cosa avrebbe pensato mai, se gli fosse stata data la possibilità di vivere fino ai giorni nostri, di questa Italia così antropologicamente lontana e trasformata, rispetto a quel mondo che tanto nostalgicamente anelava. 

Certo, sono convinto che il suo giudizio rispetto la nostra società non sarebbe stato lusinghiero, tuttavia è evidente che sarebbe rimasto stupito per alcuni aspetti della stessa: infatti la civiltà contadina, con i propri riti e simboli, che il poeta già dava per spacciata nei primi tempi degli anni 60 del secolo scorso continua a resistere e persistere tutt’ora in molte parti d’Italia. 

A volte ciò accade per necessità, in altre occasioni come manifestazione politica di dissenso nei riguardi del globalismo e del conformismo. 

Capita così che, nella notte tra il 23 ed il 24 di giugno, ancora oggi, in molte parti d’Italia e non solo, si continui a perpetrare i riti legati alla notte di San Giovanni Battista. 

Questa festa che, superficialmente può sembrare cristiana, in realtà è di origine pagana.  

Il 24 giugno, infatti, nel calendario degli antichi romani, era indicato come “dies lamparum”, cioè giornata nella quale, di sera, si andava nei campi trasportando delle fiaccole accese.

Da ciò in molte parti d’Italia si accendono fuochi per danzarvi intorno e consumate le fiamme vive saltare a piè pari le braci, così come è usanza bruciare mucchi di paglia trasformati in ruota e lanciati giù dalle scarpate delle colline.

Sono questi tanti modi diversi per raffigurare plasticamente il vigore del sole che, in questi giorni, raggiunge il suo apogeo e che da qui in poi inizierà a scendere lentamente facendo accorciare le giornate fino al solstizio d’inverno, giorno nel quale le ore irradiate dal sole saranno al loro minimo.  

Ora se il sole è comunemente inteso come un simbolo di fertilità maschile la luna è ugualmente considerata elemento femmineo e dalla congiunzione e dall’amplesso di questi due corpi celesti, idealmente, la rugiada del mattino, e le acque in generale, per osmosi, sono considerate il seme che fertilizza la terra. 

“Acqua di San Giovanni”

Dunque, per la tradizione, sono da considerarsi sacre e ricche di proprietà magiche, quelle piante, quei frutti, quelle acque che sono state toccate da questi elementi.

Alcuni ad esempio sogliono ancora:

  • Raccogliere le noci acerbe, rigorosamente a piedi nudi per rispettare la sacralità del suolo ed attirare a sé le forze dalla terra, meglio se per mano di ragazze vergini, come dovevano essere le sacerdotesse pagane. Una volta raccolti questi frutti acerbi e spaccateli a metà si lasciano macerare nell’alcool fino alla notte dei morti, il 31 ottobre, data dedicata secondo i romani alla Dea Pamona, divinità dei frutti e dei semi;
  • Raccogliere all’alba del 24 la rugiada per lavare viso, capelli e parti dolorose in quanto avrebbe l’effetto di rendere la pelle migliore, i capelli più forti ed avrebbe anche l’effetto taumaturgico di lenire i dolori;
  • Raccogliere fiori di iperico, lavanda, artemisia, malva, fiori e foglie di menta, rosmarino e salvia, ma anche fiordalisi, papaveri, rose o camomille, in base alle fioriture presenti nel proprio territorio per poi lasciarle in ammollo, in una bacinella colma d’acqua, per tutta la notte del 23 fino all’alba, quando appunto, a questi elementi si unirà la rugiada, ottenendo così l’acqua di San Giovanni che potrà essere conservata per tutto l’anno;
  • Raccogliere i fiori di iperico per immergerli immediatamente in un barattolo colmo d’olio d’oliva extravergine. La pianta, così immersa, viene lasciata macerare per 40 giorni, finiti i quali si filtra il composto che può essere usato per trattare la pelle irritata, cicatrizzare piccole ferite o lenire le scottature;
  • Posizionare dell’albume in una bacinella colma d’acqua per poter vaticinare così il futuro in base ai disegni che naturalmente il bianco dell’uovo disegnerà galleggiando sulla superfice liquida.
“Oleolito di Iperico”

Il cristianesimo, come suo solito, in tutto questo si è inserito con un lento processo di “inculturazione” trasformando e facendo propri dei simboli:

  • Il giorno della festa della nascita di San Giovanni Battista, ad esempio – il 24 giugno, solstizio d’estate, – cade esattamente 6 mesi prima della nascita di suo cugino, Gesù di Nazaret, cioè la notte tra il 24 e il 25 dicembre, solstizio d’inverno;
  • Se Giovanni battezzò con l’acqua (ecco il ritorno alla figura dell’acqua di San Giovanni) ed annunciò il Salvatore, Gesù ci ha battezzati con l’acqua ed il fuoco perché egli è il Cristo;
  • Se Giovanni dopo aver annunciato il Salvatore discese agli inferi in quanto fatto decapitare da Erode Antipa su volontà di Erodiade ed inganno di Salomè (solstizio d’estate, fase calante del sole), Cristo con la propria nascita ha portato la luce nel mondo (solstizio d’inverno, notte più lunga e da lì in poi giornate che si allungano) con la propria resurrezione ha sancito la vittoria della Luce sulle tenebre;
  • Con la preparazione dell’Oleolito di Iperico, come visto pocanzi, si riproduceva plasticamente il sangue preziosissimo di San Giovanni in quanto, l’olio d’oliva – a causa della ipericina, un pigmento rosso presente nel fiore in questione – diviene rossastro in 40 giorni, periodo di espiazione e purificazione più volte menzionato nelle sacre scritture e pertanto denominato olio scaccia diavoli;
  • Le donne che nell’antichità raccoglievano erbe officinali e preparavano intrugli erano spesso classificate come Janare (sacerdotesse di Diana) o Strix e quindi streghe. Da qui anche il legame con la figura dell’albero del noce e dei suoi frutti: un albero di Juglans considerato maledetto, ad esempio,  fu quello di Benevento. Questo – posizionato nelle vicinanze del fiume Sabato (da qui il nome sabba) al tempo in cui i Longobardi fecero di Benevento capitale del loro Regno nel Sud Italia – era adornato con la pelle di un caprone. I Longobardi colpivano con le loro lance le pelli ivi posizionate al fine di poterne strappare dei brandelli che poi mangiavano come nella pratica dello Sparagmos, dove, il corpo sacrificato e fatto a pezzi, diviene pasto rituale dei fedeli per ricongiungersi alla divinità adorata. Ora, per impedire il ripetersi di questo culto pagano, il Santo Vescovo Barbato, nell’anno 663 d.C., fece sradicare tale albero. Un altro Noce maledetto fu quello nato e cresciuto nei pressi della Tomba di Nerone. Essendo l’Imperatore in questione considerato da Papa Pasquale II l’Anticristo delle sacre scritture, nell’anno 1100, il Vicario di Cristo pensò bene di far fare a pezzi l’arbusto incriminato e disperdere le ceneri del defunto. Ora è in questo clima che è nata la convinzione che Erodiade e Salomè, responsabili della morte dell’ultimo Profeta, siano state trasformate in streghe e pertanto si aggirino nella notte di San Giovanni alla ricerca spasmodica della testa del battista.
San Barbato abbatte il Noce di Benevento

L’Abruzzo – che come la Transilvania, è secondo gli studiosi e gli antropologi, una delle regioni europee che meglio conserva le proprie usanze e tradizioni – rispetto la festa di San Giovanni Battista ha un ricco bagaglio di saperi che oltre la chiave pagana e religiosa da una propria lettura sociale.

È da evidenziare infatti che nella terra di d’Annunzio vi è l’usanza di legare a se per tutta la vita, nel giorno di San Giovanni, persone che sono al di fuori del proprio cerchio parentale, con un legame che spesso è più forte e stringente di quello che può intercorrere tra fratelli o tra marito e moglie, è il cosiddetto fenomeno de “Lu Cumbare o la Cummare a Fiur” o se preferite de “Lu Cumbare o la Cummare di Sangiuvanne”.

In questa cerimonia tradizionale di “comparanza” detta per l’appunto “sangiuvanne” il richiedente consegna al prescelto “lu Ramajette”, una composizione floreale costituita da un rametto d’olivo intrecciato con fiori di sambuco, rosa selvatica, spiga di lavanda, felci e spighe di grano e nastri. Quest’ultimo ha alcuni giorni per decidere sulla proposta, cioè fino alla festività di San Pietro e Paolo, cioè il 29 giugno.

Questo primo passo è molto importante per le parti in causa e richiede un’accurata valutazione preventiva perché l’eventuale rifiuto rappresenterebbe un affronto inaccettabile con un risultato sicuramente opposto rispetto alle aspettative.

Se il prescelto accetta la “comparanza” allora il 29 giugno suggella definitivamente il rapporto rispondendo con l’invio di un altro Ramajette più ricco di quello ricevuto ed incontrandosi si recita insieme la seguente formula: <<Cumbàre mio cumbàre, ‘n ‘ce dicème mai male che, se male ce dicème, a le ‘mbèrne ce ne jieme>>, che tradotto per chi non conosce il dialetto abruzzese significa: << Compare mio compare, non ci maligneremo mai che se ci maligneremo all’inferno ce ne andremo >>.

La scelta del compare avviene nel giorno di San Giovanni forse perché, per ignoranza religiosa, si è confusa la figura di San Giovanni Battista con quella dell’apostolo più amato da Gesù, Giovanni l’evangelista.

Questi, infatti, è l’unico a ritrovarsi ai piedi del Cristo morente e trovandosi li fu indicato da Gesù stesso come suo fratello, con un vincolo non di sangue ma di elezione e condivisione al fine di aiutare la Madre nella sua pena.

Questa percezione tuttavia non è solo abruzzese tant’è che in Lombardia è usanza dire: << San Giuan al fa minga ingan >> che tradotto sempre per chi non è pluridialettale significa: <<San Giovanni non si inganna>>.

Ma al di là di questo è evidente che, nel caso della comparanza, il legame in questione ha una funzione strettamente d’aiuto e di protezione tant’è che il rito è nato in un mondo arcaico scandito dai ritmi circolari del lavoro agricolo che richiedevano molte braccia per assicurarsi la sopravvivenza, il cosiddetto “scagne aijute” = Scambio di aiuti.

Ecco, i secoli passano, la società muta, ma i rapporti che garantiscono la collaborazione e la fratellanza tra gli uomini rimarranno per sempre … di questo Pasolini, sono certo che, sarebbe stato contento.

Lorenzo Valloreja

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