DA TRUMP AL DEEP STATE

Donald Trump si è congratulato, attraverso la piattaforma Truth, con Kim Jong Un, il leader della Corea del Nord, per l’elezione nel board esecutivo dell’OMS.

Un presidente che ha insegnato ai politici moderni come si costruisce la pace fra nemici storici portando alla firma di diversi e separati atti lo Stato di Israele con gli Emirati Arabi Uniti (Bahrein, Marocco e Sudan).Atti che, interpretati come un unicum, sono stati denominati Patti di Abramo e sono entrati di diritto nella storia del medio oriente.

Ebbene Trump è stato immediatamente attaccato per questa sua dichiarazione, fatto assolutamente non nuovo ma, questa volta, l’attacco viene dai suoi contendenti alle primarie per la corsa alla presidenza 2024.

Ron De Santis, il governatore della Florida, rivale più credibile, unico che ha qualche reale possibilità di ottenere un risultato degnamente consistente e di non sfigurare contro Trump, ne ha approfittato per osservare che  “non ci si congratula con un delinquente che ha minacciato l’America e i nostri alleati”.

Ci sarebbe da commentare che definire “delinquente” chi ha il controllo di uno Stato non è il modo più appropriato per tenere un filo di comunicazione con un, questo non va dimenticato, “nemico”.

Un nemico che può far scatenare un conflitto che travalicherebbe immediatamente i confini delle due Coree.

Certi linguaggi, che ci ricordano le recenti “gaffe”, più o meno involontarie, di Biden in Polonia nei confronti di Putin, non esaltano chi ritiene che la pace si debba “costruire con il dialogo” e non “obbligare con le armi”.

In fondo il generale Flavio Vegezio Renato, funzionario imperiale dell’epoca di Teodosio (IV – V secolo d.C.), è passato alla storia per aver dichiarato “Si vis pacem, para bellum” (se aspiri alla pace, prepara la guerra), non “se aspiri la pace, fa la guerra”.

Questa la causa che porta, noi “cittadini semplici”, a pensare che dare del “delinquente” ad un “nemico” non sembra la massima espressione di capacità politica di uno statista.

Vi è, poi, anche l’ex vice presidente della stessa amministrazione Trump, Mike Pence, che, in attesa di annunciare la propria candidatura alle primarie del partito repubblicano, dichiara che “nessuno dovrebbe lodare il dittatore della Corea del Nord o il leader della Russia che ha lanciato l’aggressione dell’Ucraina”.

Pence continua affermando che “questo è il momento in cui dovremmo dire chiaramente che siamo per la libertà e per coloro che difendono la libertà”.

Tutto questo ci viene riferito dall’agenzia Ansa, la stessa che il 21 febbraio 2018 informava che lo stesso vice presidente Pence durante i Giochi Olimpici sudcoreani, a quali presenziava, era pronto ad incontrare segretamente Kim Yo Yong, potentissima sorella del leader nord coreano Kim Jong Un.Il summit venne annullato per volontà  della Nord Corea come rilevò il Washington Post.

RAI News in quei giorni parlava di “apertura di Pence alla Nord Corea” e di “volontà del vice presidente Pence ad aprire a colloqui con il leader coreano”.

L’allora vicepresidente statunitense precisava che il meeting avrebbe messo “nero su bianco” i dettagli per la denuclearizzazione della penisola.

Dichiarava, appunto, che la pace si costruisce con i trattati, non con le guerre.

Se ne deve essere dimenticato.

A quel tempo dichiarava “dopo l’inizio del 2019 potrebbe esserci il secondo summit tra Stati Uniti e Corea del Nord” e affermava  che “il meeting tra Donald Trump e Kim Jong Un” avrebbe messo  “nero su bianco i dettagli per la denuclearizzazione della penisola”.

Non dobbiamo, noi “cittadini semplici” dimenticare che un primo, allora dichiarato “storico” dallo stesso Pence, vertice fra il Presidente Trump ed il leader nord coreano si era svolto il 12 giugno 2018 a Singapore.

Pence, oggi, parla di “tutela della libertà” dimenticandosi, ma come si può ben vedere si dimentica di molte cose, che una importante parte del popolo statunitense, non solo repubblicano, lo incolpa di non aver fatto tutto quanto era nelle sue prerogative per verificare se vi fosse qualcosa di vero in quello che passerà alla storia come Italygate, cioè il timore che le elezioni presidenziali statunitensi del 2020 fossero falsate da gravi brogli elettorali sufficienti a rovesciare la volontà del popolo americano e portare Joe Biden alla Casa Bianca.A tutt’oggi il caso, sono passati tre anni, rimane al centro dell’agenda politica e sempre più nei corridoi dei bene informati si sente dire “dove c’è fumo c’è sempre un arrosto”.

Nessuno parla, tanti ammiccano allorquando si entra sul tema Italygate.

Se mai dovesse venir fuori che qualcosa avvenne in quel 2020 Pence passerebbe alla storia come colui che non seppe, o volle, tutelare la democrazia statunitense.

Il 4 giugno è anche il 34esimo anniversario della sanguinosa repressione di Piazza Tieamen a Pechino.

Per l’occasione il regime cinese ha ordinato alla polizia di Hong Kong di arrestare la leader del partito di opposizione, Chan Po-ying.Sempre l’Ansa ci informa che la donna, al momento dell’arresto, teneva in mano una piccola candela a Led.

Oltre a Chan Po-ying i media ci informano che sono stati arrestati diversi altri esponenti dell’opposizione tra cui Alexandra Wong, un’importante attivista conosciuta come Nonna Wong, oltre alla giornalista Mak Yin-ting.

Fu Obama a comminare sanzioni economiche alla Federazione Russa nel 2014 a tutela della libertà della Crimea.

Noi “cittadini semplici” ci chiediamo se il suo collega di partito Joe Biden saprà difendere la libertà di opinione degli abitanti di Hong Kong oggi.

Al tempo l’Europa tutta segui le scelte di Obama, egualmente oggi in ordine allo scenario ucraino.

Saprà la stessa Europa battere un colpo, almeno leggermente credibile, nei confronti della Cina per le repressioni dei cittadini cinesi a trentaquattro anni dalle vicende di piazza Tieamen?

Per ora sembrerebbe proprio di no.

D’altronde nemmeno Pence si è accorto di quanto accade in questi giorni ad Hong Kong.

Se volete chiamate questi atteggiamenti assai asimmetrici “deep state”.

Ignoto Uno

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