PARDON, MONSIEUR MACRON !

E’ di portata davvero storica il modo in cui  dovrebbe concludersi, col rientro a Roma dell’ambasciatore francese, la crisi diplomatica innescata dall’isterismo politico e ideologico del Presidente francese Emmanuel Macron.

Ovviamente, il peana alla provvidenziale telefonata di Emmanuel Macron al collega italiano Sergio Mattarella è sostanzialmente universale : autorevolezza, senso di responsabilità, salvezza dell’Europa e delle preziosissime anzi inestimabili relazioni franco-italiane, “finalmente un argine al vomitevole (così si dice a Parigi) sovranismo”, et cetera…..Noi de L’Ortis ovviamente nulla possiamo contro questo imponente main stream che nel caso di specie va da Dagospia fino ai ben più paludati e supponenti giornaloni euroatlantisti, ma una cosa l’abbiamo capita e abbiamo la presunzione di condividerla col pugno di menti libere che ci seguono. E lo diciamo senza alcuna acredine, senza polemizzare, da semplici osservatori : il Presidente della Repubblica italiana, da adesso, ha anche poteri di indirizzo e rettifica in politica estera.

Non riesco infatti proprio a inquadrare diversamente il colloquio telefonico con Macron, di cui si sa semplicemente che la chiamata è partita dalla Francia, che si sono rimarcati gli eccezionali legami tra Italia e Francia, e che si è promesso il rientro tra pochi giorni dell’ambasciatore francese la cui assenza sta notoriamente compromettendo il destino dell’Italia, e togliendo il sonno a ogni italiano responsabile.

E’ superficiale, o peggio in mala fede, affermare che Macron ha chiamato il suo “omologo”, dato che i poteri costituzionali dell’ inquilino dell’Eliseo in una repubblica presidenziale sono assai più simili a quelli di un Trump o di un Putin o di un Bolsonaro, tanto per intenderci, che a quelli che dovrebbero essere di un Mattarella o di uno dei tanti re “rappresentativi” sopravvissuti in Europa, o anche del presidente federale tedesco. E’ anche innegabile che tutti costoro possano consigliare e colloquiare (anche con leaders stranieri) di politica estera, ma in stretto raccordo con il governo, il che avviene specie nelle visite ufficiali. E di sicuro, non dando l’impressione che in materia l’ultima parola spetti a loro. Alla fine di tutta la schermaglia, il vincente è sicuramente Macron che si sceglie gli interlocutori (prima ha detto che con Salvini e Di Maio neanche ci voleva parlare e che il suo interlocutore era solo il nostro premier Conte), poi ha pensato che alla fine costui è pur sempre un grillino, e infine ha deciso di chiudere la partita con Mattarella.

Conclusione pratica: tirata di orecchie nell’ordine di intensità a Di Maio, Salvini e Conte, bombardamenti della Francia nel sud della Libia, ammonimenti sulla TAV, impegno a non criticare più il colonialismo finanziario del CFA, alla larga dai gilets gialli brutti sporchi e cattivi e così via. Insomma : la Francia è la Francia, e l’ Italia quindi stia al suo posto. Da parte nostra, vantiamo una riunione guidiziario-ministeriale per fare il punto della situazione sui terroristi rifugiatisi in Francia da decenni (che probabilmente non avranno mai la sorte di Battisti in Brasile). Ed è stata inoltre ribadita la profondità eccezionale dei nostri legami, innegabili certo. Anche se non tutto il bottino artistico di Napoleone è stato restituito, ed anche se le bestiali violenze delle loro milizie coloniali nel 1944 non hanno mai avuto reali scuse, figuriamoci poi qualche risarcimento. Degli sconfinamenti della loro polizia dalle parti di Bardonecchia, neanche a parlarne, ci mancherebbe altro.

Ma se Vladimir Putin avesse telefonato a Matterella per chiedergli direttamente e senza tanti giri di parole, di far votare il governo contro la solita proroga delle sanzioni antirusse, cosa sarebbe successo? Di sicuro l’ interlocutore avrebbe risposto che la questione non rientrava nelle sue competenze, e il passo dal Cremlino sarebbe stato bollato come “irricevibile” dalla felpata burocrazia del Colle più alto. Non a torto, beninteso.   

Il problema è insomma, che questa clamorosa evoluzione della dinamica istituzionale della politica estera è strumentale alle solite logiche rinunciatarie e sottomesse cui la nostra grande politica obbedisce in modo crescente da ormai trenta anni almeno. L’ordine euroatlantista impone che le sue gerarchie siano rispettate a tutti i costi, governo giallo verde o no. Che cosa avverrebbe se le sanzioni alla Russia fossero davvero tolte? Forse, uno scioglimento delle Camere “ a freddo”, senza crisi governativa?

A.Martino   

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