DONALD TRUMP INCRIMINATO NON MOLLA E NEANCHE….BARCOLLA
Parrebbe che, al momento, le prime mosse della un po’ precoce campagna elettorale di Donald Trump, non stiano granché risentendo in negativo della sua incriminazione per l’accusa di abusivo utilizzo dei fondi elettorali del 2016 volto a tacitare una signora con cui avrebbe avuto una relazione (l’attricetta più o meno porno “Stormy” Daniels, e si sappia che stormy significa tempestosa).
Infatti, dagli ambienti della campagna trumpiana trapela che più di quattro milioni di dollari (3,68 milioni di euro) sono stati donati nelle 24 ore successive all’annuncio del suo rinvio a giudizio. Mi sembra anche interessante che oltre un quarto di questo denaro provenga da signori e signore che non avevano mai dato soldi alla campagna di Trump, il che “consolida lo status del presidente Trump come chiaro frontrunner nelle primarie repubblicane“.
L’ex presidente ha sollecitato donazioni per la campagna attraverso i suoi social network e più di una dozzina di e-mail nell’ultimo giorno, secondo la NBC, che aggiunge, citando un addetto alla campagna di Trump, di aver ricevuto circa 16.000 richieste di volontari propagandisti che hanno deciso di “arruolarsi”.
In un messaggio su Truth ( il suo social network), l’ex presidente ha scritto: “Se non ve la passate bene (finanziariamente), come molti di voi, non inviate denaro. Se invece vi state divertendo, grazie alle grandi politiche dell’amministrazione Trump, inviate il vostro contributo“.
Trump, insomma, parrebbe dire “noi tireremo diritto”, come d’altronde nel 2016 mise nero su bianco “meglio un giorno da leone che cento anni da pecora” affermando poi che gli era sembrato un bel motto di cui ignorava l’autore. Le manette, come già riferimmo, le invoca per farne uso elettorale, e c’è il giallo della foto segnaletica di rito che ancora non circola (altro invocato must della campagna trumpiana per una cui copia autografata già tanti sarebbero disposti a sborsare una bella somma). Se non dovessero esservi clamorosi inciampi (il peggior nemico di The Donald si chiama proprio Donald Trump), alle prossime elezioni presidenziali il voto per lui potrebbe essere protesta allo stato puro, persino demenziale, parzialmente attingendo a dinamiche di sberleffo verso le istituzioni come il “partito della birra” austriaco. Ma mentre questo è stato persino preso in contropiede dal suo successo, Trump saprebbe benissimo cosa fare.
Non so se il principale competitore per la nomination repubblicana (il conservatore anti LGBT Ron Desantis governatore della Florida) abbia la reale statura politica per accaparrarsela; di certo però il Great Old Party è in un enorme imbarazzo politico e istituzionale, dato anche dalla sua non accanita difesa di un ex presidente la cui formale incriminazione è un unicum nella storia statunitense, e testimonia la profonda crisi di un sistema.
A. Martino
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