SIGNOR FACCHINETTI, COMPRENDIAMO BENISSIMO IL SUO SFOGO, MA QUESTA E’ L’ITALIA REALE, CHE IL SISTEMA MEDIATICO IN CUI LEI LAVORA SI AFFANNA A NEGARE O IGNORARE
Nelle ultime settimane, abbiamo registrato in Italia, un aumento delle rapine e violazioni di domicilio, con corollario di violenza e minacce contro gli sfortunati proprietari.
E’ una piaga sociale che purtroppo, da mezzo secolo a partire dal boom della criminalità negli anni Settanta, corollario maligno del benessere economico mai sino ad allora raggiunto, tra alti e bassi pare non lasciarci (fuori dall’ Italia le cose non vanno molto meglio).
La violazione della quiete e inaccessibilità di quello tradizionalmente denominato “focolare domestico” dà sicuramente luogo a una ridda di sensazioni spiacevolissime, che solo la vittima potrebbe in qualche modo descrivere, come nel caso dell’abitazione trovata messa a soqquadro dai ladri. Figuriamoci, poi, se ciò avviene in propria presenza. Nulla conta, da questo punto di vista, che quanto sottratto sia da qualcuno magari riacquistabile o ricommissionabile il giorno dopo, e che per qualcun altro o in casi particolari come quelli del valore affettivo, la refurtiva sia assolutamente irrecuperabile.
Però, mentre solitamente le vittime e i loro familiari hanno un contegno dignitoso e riservato, qualche volta si verifica che si perda la calma e ci si avventuri in apprezzamenti poco condivisibili, denotanti un disprezzo generalizzato.
L’ultima domenica di gennaio, Roby Facchinetti, celebre membro della grande band dei Pooh, ha subito nella sua villa di Bergamo un gravissimo atto criminoso: una banda di malfattori, minacciati lui e altri familiari spianando armi in faccia, ha razziato un bottino ingente.
Sobrie le sue dichiarazioni, con ringraziamenti all’attivarsi di forze dell’ordine e magistratura. A lui tutta la nostra solidarietà.
Invece, il figlio Francesco (non presente al misfatto) ha pubblicato sui socials un video in cui vede confermata la saggezza della scelta di non risiedere in Italia, e accusa tutti i governanti italiani degli ultimi trenta anni, di destra e di sinistra (mi sembra quindi che se la prenda con tutto il post tangentopoli) di incapacità nella gestione della pubblica sicurezza. Sfogo comprensibilissimo di un figlio: però si presta a qualche obiezione.
Lungi da L’Ortis indulgenza e difese d’ufficio (indesiderate e magari persino sgradite) di qualunque pezzo della classe dirigente euroatlantista della provincia italica in spirito di dissenso detta regime; ma le problematiche, se vogliamo ragionare seriamente, stanno anche nel modo in cui sono comandate e coordinate le forze dell’ordine; nella tendenza della magistratura a considerare con severità qualunque fumus di apparente eccesso nella legittima difesa entro le mura di casa (impensabile ad esempio negli States); e in una certa sociologia progressista da quattro soldi per cui un delinquente va, fondamentalmente, più “aiutato” che punito. Cosa d’altronde, a volte vera.
Però, colpito nel vivo degli interessi familiari, Francesco Facchinetti fuori da qualunque studio RAI o Mediaset dove certe cose non si possono dire, e certe altre devono essere dette come da contratto e manualetto del politicamente corretto, pare spogliarsi dei fantastici pigiami di seta indossati quando era giurato de Il cantante mascherato e indossare invece una inedita veste da imbufalito populista. Punto centrale del suo accorato e sincero monologo, la “paura” cui la classe politica ci costringerebbe.
Peccato che in altre circostanze, quando un esponente di centro-destra o qualche preoccupato nonno o genitore, in sede di talk show o in collegamento da qualche piazza, avesse toccato tale tasto, lo avrebbe tacciato di “tendenza fascistoide”, “razzismo” (non fosse stato mai, far riferimento alla nazionalità di qualche balordo), e avrebbe concluso con una invettiva contro i “populisti”.
E pii, diciamo la verità, per le elites (reali o sedicenti tali) la delinquenza è in fondo una guerra tra poveri: non solo dalla parte del reo ma anche della vittima; chi conta in questa società si infila nella sua auto con autista, si rinchiude nei suoi uffici ai piani alti; e vive anche in vacanza nelle sue microcittadelle che ritiene inespugnabili. Ma anche e persino la linea Maginot fu espugnata.
Sarebbe bello, se Francesco Facchinetti, constatato amaramente che la società non è quella di un talk show o dei blog dei Ferragnez, si impegnasse, in Italia, non solo a vivervi di più ma anche a a combattere le bugie e l’ipocrisia del Sistema.
A. Martino
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