NELL’IMPROVVISO TRANSITO DA ELISABETTA II A CARLO III, ESPLODE L’ODIO-AMORE DEL MAIN STREAM PER LA MONARCHIA BRITANNICA
Elisabetta II, regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dal 1952, morto il padre Giorgio VI, fino a tre giorni fa (otto settembre 2022), è quasi impossibile da ricordare compiutamente se non con un libro anzi dei libri: cosa abbondantemente già fatta, data la straordinaria lunghezza del suo regno corrispondente a quella di quasi tutti i presidenti della repubblica italiani.
Due aspetti però vorrei assolutamente mettere in rilievo con ammirazione ridestante i miei più profondi istinti politici estranei alla sensibilità e all’immaginario repubblicani. Cioè, la sua straordinaria testimonianza di servizio fino all’ultimo giorno di vita, proprio in anni in cui gli altri residui monarchi abdicano per una pensione dorata, e persino il papato è visto ormai come un incarico a durata discrezionale, secondo le circostanze e la salute del titolare. Elisabetta II è morta allo stremo delle forze, e non da “regina emerita” o sciocchezze moderniste del genere: vedrete che il suo mito si alimenterà anche di questo, in un mondo che rifugge dal “per sempre”. Mi colpisce anche la solenne promessa di fare altrettanto da parte del suo successore (per una vita noto come “principe Carlo”) improvvisamente catapultato nella Storia come Re Carlo III.
E ieri mi ha colpito fino all’invidia, come italiano e uomo legato alla Tradizione, l’assoluta fedeltà alla medesima della plurisecolare cerimonia di Accessione con cui Carlo III è stato ufficialmente proclamato re (una parentesi puramente protocollare, rispetto a quella che sarà l’incoronazione): araldi con squilli di tromba, un trono dorato su cui l’umile Carlo ha preferito però non assidersi, la crema dell’establishment ossequiosa e deferente quanto a lutto ma chissà cosa mormorante come ogni bravo cortigiano, splendide manovre di artiglieria ippotrainata in uniforme da Waterloo o Balaclava al confronto con le quali il cambio della guardia al Quirinale sembra uno spettacolino da caserma. Tutto un fasto e una scrupolosa, quasi puntigliosa, riesumazione di qualcosa compiuto l’ultima volta settanta anni fa quando al Cremlino comandava Stalin e a Palazzo Chigi De Gasperi. Il nuovo monarca ha voluto la diretta TV: segno dei tempi ma anche di un ben consapevole marketing istituzionale.
Paradossalmente, in uno dei paesi più laicisti e massonici del mondo, celeberrimo inno nazionale a parte, nei discorsi ufficiali di questi giorni si sentono più invocazioni alla misericordia e benedizione divina che in una omelia di Papa Francesco. Il re rimane tale per grazia di Dio.
I media main stream però, hanno la singolare proprietà di avvelenare i miti, o (magari involontariamente) indurre a sospettarne. Insomma, il loro gioco verso la monarchia britannica dei Windsor è complicato e contraddittorio. Improvvisamente, tutti o quasi qualche giorno fa si sono ritrovati monarchici o quanto meno appassionati estimatori di una regina (categoria solitamente assai impopolare nell’immaginario mediatico dei paesi repubblicani cioè di gran parte del mondo, mai come oggi uniformato a tanto nichilismo e radicalismo di massa). Anche se qualche imbarazzo per essersi spinti troppo in là, sta affiorando, con inutili professioni di repubblicanesimo (addirittura “mazziniano”, come per Carlo Calenda ospite dei radical chic Parenzo e Di Gregorio).
Premetto che so, e sappiamo noi de L’Ortis, con chi abbiamo a che fare.
Gli inglesi “stramaledetti” tennero prigioniero un mio prozio ufficiale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale per ben quattro anni dalla stipula dell’armistizio con le forze alleate, solo perché si rifiutò di passare al badoglismo e al nuovo ordine. L’aviazione del padre della scomparsa regina operò vergognosi bombardamenti di città italiane, tedesche ed europee (Roma compresa) con finalità puramente terroristiche.
Nel nome della suddetta monarca, le forze britanniche hanno combattuto nelle Islas Malvinas o Falkland l’ultima guerra coloniale della storia, per poi dedicarsi a essere i migliori ascari degli americani.
Her Majesty concesse graziosamente al meeting della finanza mondialista il suo panfilo Britannia (pregasi chiedere a Draghi dott. Mario delucidazioni), su cui si elaborò il disastro economico e finanziario delle privatizzazioni e della perdita della sovranità monetaria.
Il presunto “tradizionalismo” della società britannica, e della monarchia in particolare, appare più folclore di estrema eleganza e classe, che sostanza culturale. Nella cosiddetta “era elisabettiana” 2.0 il Regno Unito è stato uno dei primissimi Paesi abortisti, e si stacca la spina ai macchinari che mantengono in vita bambini. Nonostante la contrarietà teorico-teologica della Chiesa anglicana al divorzio, la regina consorte è una divorziata con figli da precedente matrimonio.
L’attuale re ha ricevuto cospicui finanziamenti in contanti da parte di una monarchia del Golfo per i suoi enti assistenziali: nulla di esattamente illecito, ma roba da indagine per riciclaggio almeno qui da noi e creante certo qualche debito di riconoscenza (e poi si dice del “rinascimento saudita” di Matteo Renzi…).
Il fratello cadetto di Charles (Andrew) si è trovato invischiato nelle storiacce del magnate americano Epstein “provvidenzialmente” suicida, con tutto il corollario di pedofilia, adrenocromo e chi più ne ha ne metta.
La famiglia reale britannica, fin dai tempi almeno del consorte della regina Vittoria, occupa ruoli di assoluto rilievo nella massoneria: il suo quasi misterioso solcare le tempeste della Storia indenne, laddove monarchie più antiche o più potenti in termini di poteri costituzionali diretti sono, anche letteralmente, perite (vedi Russia o Austria) è sicuramente, almeno in buona parte, da ciò spiegabile. E qui, possiamo iniziare a capirci qualcosa.
Grazie anche al dinamismo del principe consorte Filippo di Edimburgo (non solo massone ma anche, per dirne una cofondatore del WWF) e a un immenso patrimonio finanziario originato da enormi proprietà fondiarie come quelle del ducato di Cornovaglia, la corona britannica vanta una posizione di primissimo piano nell’ elite globalista, anche se a onore del vero bisogna rimarcare la tanta beneficenza fatta da realtà quali il Prince’s trust dell’ormai attuale sovrano, specializzato in professionalizzazione di ragazzi disagiati. La monarchia di origini hannoveriane, dopo il trauma della perdita delle colonie americane nell’ormai remoto Settecento, non ne ha sbagliata una grazie ai suoi sempre più influenti suggeritori: contro Napoleone ma non con i restauratori assolutistici, contro la Russia in Crimea, decine di guerre e guerricciole coloniali, due guerre mondiali, la mazzata all’Argentina della giunta militare…..
Però i media main stream spesso la bersagliano per essere un “residuo del passato” strumentalizzando triti e ritriti problemi coniugali e familiari ad esempio quando indispettisce la Brexit o magari si soffia sull’indipendentismo scozzese per consegnare all’eurocrazia il petrolio del Mare del Nord (vedi il mio Meghan e Harry danno scacco alla regina. Ma la partita non è finita, e molto più importante di quanto vi dicano) del 18 marzo 2021. Ma salvo le intemerate del radical chic di turno o dell’europeista estremo, non si va oltre. L’atlantismo di Londra è di ferro, e il fascino della regalità doc vende ancora maledettamente in termini di stampa e persino di turismo; ai reali inglesi sono spalancate le porte di Davos o del Bilderberg, Carlo III ha inventato l’agricoltura biologica e abbracciava le piante quando non so se i genitori di Greta fossero già nati.
Nella Oval Room della Casa Bianca troneggia il “resolute desk” che, salvo piccole interruzioni, regalato dalla Regina Vittoria al Presidente Hayes nel 1880, funge da scrivania presidenziale in inquietante eternità: ogni presidente (o sua moglie) cambia tappeti, sposta quadri o poltrone ma quella sta misteriosamente sempre lì.
Se la Corte di san Giacomo non esistesse da un pezzo, avrebbero dovuto inventarla. Altrimenti, come far credere alle masse meno sospettose e più ingenue, che esiste un eroico quanto pacifico oppositore globale?
A. Martino
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