IL “SALVATOR MUNDI” RAPPRESENTA GESU’ CRISTO, NON MAMMONA … VERGOGNATEVI!
Giorni fa Rai5 ha riproposto il docufilm “Salvator Mundi – Il Mistero Da Vinci” il lavoro che ripercorre in maniera minuziosa, il ritrovamento prima, il restauro poi e il passaggio, di mano in mano, dell’opera più pagata nella storia dell’arte: ben 450 milioni di dollari.
Quadro che, ricordiamolo, riproduce Gesù Cristo benedicente – che tiene nella mano sinistra una sfera di vetro cava – e che viene attribuito, da alcuni, direttamente a Leonardo Da Vinci, e, da altri, alla sua bottega.
Ma che cosa ha di tanto affascinante questo documentario a tal punto da attirare la nostra attenzione?
Beh, innanzitutto possiamo dire che un film la cui tematica è incentrata su di un quadro italiano che, anziché essere custodito in uno dei tanti musei presenti sul nostro territorio nazionale, si trova in un cavò, all’estero, nelle disponibilità di un privato cittadino straniero, è per noi degno di nota, ma la cosa più importante è che questo lungometraggio ci mostra come il mondo abbia perso il senso del divino e del religioso in favore del denaro e del mondano.
Infatti che il quadro sia realmente opera di Leonardo o meno, per noi ha veramente poca importanza perché esso è indubbiamente di ottima fattura, è stato certamente dipinto da nostri connazionali, e, guardandolo, ci ispira qualcosa di più alto, in quanto, i simboli in esso celati hanno di gran lunga un valore superiore rispetto al vil denaro.
E il senso della storia raccontata è tutta qui.
La presunta opera di Leonardo infatti, era inizialmente custodita presso un signore della Louisiana il quale teneva l’opera appesa nel vano scale della sua magione. Morto l’inconsapevole fortunato, il suo unico erede, pensò bene, come nella migliore tradizione statunitense, di mettere in vendita la casa e all’asta i quadri in essa esposti.
Per tale operazione fu coinvolta la nota casa d’asta Christie’s che inviò in loco un proprio rappresentante il quale decise, con una veloce occhiata, cosa ero degno di nota e cosa no.
Ebbene, la casa d’aste inglese ritenne non interessante il quadro del Salvator Mundi.
Così, mentre tutti gli altri quadri furono presi da Christie’s e spediti a New York, il proprietario decise di mettere all’asta questo strana opera e poche altre cose, presso un piccolo operatore di New Orleans. A questo punto entra in scena Robert Simon, un mercante d’arte newyorchese, che – visto il quadro in foto, su di un catalogo online – l’acquisì, nell’aprile 2005, per soli 1175 $.
Una volta giunta l’opera, nella “Grande Mela”, presso il suo studio, si accorse che il quadro in alcuni punti era stato ridipinto e come ha affermato lo stesso mercante ciò: “era orribile da vedersi, ma il quadro era antico ed aveva senza dubbio un certo potenziale”, così pensò bene di farlo restaurare e per fare ciò si affidò ad una sua amica, Dianne Dweyer Modestini.
Quest’ultima ripulendo il quadro aveva rimosso alcune parti di pittura e compiendo questa operazione ci si accorse che, nella mano benedicente, i pollici erano due anziché uno solo. Era questo un così detto “ripensamento”, ed è stato proprio allora che il mercante ha avuto come un’illuminazione ed è rimasto immediatamente convinto che si trattasse di un originale Leonardo e non dell’opera di un qualsiasi aiutante di bottega.
A questo punto, Robert Simon, viste le i tempi di restauro e le spese sostenute decide di far avallare la propria ipotesi attraverso il placet di un’autorità di tutto rispetto, così mostrò il Salvator Mundi al Curatore della mostra su Leonardo che si terrà, qualche anno dopo, nel 2011, alla National Gallery di Londra, Luke Syson.
Quest’ultimo nota immediatamente che il quadro è stato pesantemente riverniciato, cosa che in Italia, ed anche nel resto d’Europa, sarebbe considerato da galera! tuttavia rimane impressionato dalla sua presenza scenica, cioè di come l’opera riesca a comunicare, così fa trasferire il presunto Leonardo a Londra e convoca 5 esperti (N°1 Britannico, N°2 Statunitensi, N°2 Italiani) per avere un parere su questo dipinto.
Ebbene, solo l’esperto inglese, guarda caso, si è pronunciò a favore dell’assoluta paternità di Leonardo, mentre, al contrario, di tutt’altro avviso fu una studiosa americana, Carmen Bambach, la quale riteneva che l’opera fosse attribuibile ad uno degli allievi del maestro toscano:Giovanni Antonio Boltraffio. Gli altri 3 esperti, invece, non si pronunciarono affatto, ma tanto bastò alla National Gallery, oltre l’assicurazione che il quadro non fosse in vendita, per includere il Salvator Mundi nella mostra.
D’altronde come dargli torto?
La mostra è stata un vero successo e la National Gallery, tra il 09 novembre 2011 ed il 05 febbraio 2012, ha superato il target di affluenza, indicato a budget in 260mila presenze. A fine mostra i biglietti venduti sono stati 280.727, mentre complessivamente è stata visitata da 323.897 presenze (+125% rispetto al target). Tale era la richiesta da parte del pubblico di accedere alla mostra che, sin dalle prime ore del mattino, si formavano davanti al museo lunghe code per ottenere i 500 biglietti disponibili quotidianamente presso la biglietteria, ed il buon Luke Syson, allettato dal personale successo, ha abbandonato, per l’occasione, i panni dell’esperto per dar luogo ad una mezza specie di reality dell’arte dove il giudizio che conta, riguardo l’autenticità dell’opera, non deve essere dato dai professionisti del settore, ma dal pubblico. Infatti il curatore ha dichiarato: “Lasciamo che sia il pubblico a decidere!” e riferendosi alle tante immagini parodiche del quadro che, all’epoca, circolavano in rete, forse credendo di fare il simpatico ha affermato: “I critici, i più intelligenti, gli hanno messo persino tra le dita un joint di marijuana!”
Ah ah ah, che ridere mi verrebbe da dire in senso sarcastico …
Ma stiamo scherzando???
In nome del Dio denaro si accetta che un gruppo di decelebrati metta alla berlina un’opera che era nata per esaltare la figura più grande che la storia abbia mai incontrato: Gesù Cristo … roba da matti!
Ma si sa, al peggio non c’è mai fine, così finita la mostra, buttata nel cesso la parola data a Syson, Robert Simon, che nel mentre, per sostenere le spese, era diventato socio di un altro mercante, Warren Andelson, tentarono di vendere il Salvator Mundi per 180 milioni di $ e tra i vari acquirenti fu contattato anche il Vaticano che, però, come gli altri potenziali compratori rifiutò l’offerta.
A questo punto la strana coppia di mercanti si rivolse a Sotheby’s e la cosa è stata riportata anche da Nicolas Joly, Ex vice Presidente di Sotheby’s Francia, in una sua intervista. Joly a tal riguardo ha dichiarato: “è un dipinto che mi ha lasciato piuttosto freddo perché pesantemente sopra verniciato e non mi sono posto la domanda se fosse un dipinto interessante, se fosse stato il caso di contattare i proprietari … Certo la Modestini ha fatto qualcosa di incredibile, spettacolare. Il quadro è nuovo, restaurato, impeccabile, e probabilmente era quello che ci voleva per venderlo, ma non qui da Sotheby’s”.
A questo punto succede qualcosa di veramente inaspettato: Dmitry Rybolovlev, un oligarca russo residente nel Principato di Monaco si invaghisce del Salvator Mundi e manda in avanscoperta un suo faccendiere, Yves Bouvier, per vedere se può acquistarlo.
A raccontare l’episodio è proprio il ginevrino Bouvier, il quale in un intervista ha detto: “dissi al signor Rybolovlev che il quadro era stato pesantemente ridipinto e che molti collezionisti lo avevano rifiutato e lo invitai a non comprarlo ma lui lo voleva perché è nella sua natura ritenere di avere un occhio superiore rispetto agli altri, inoltre il quadro rappresentava Cristo e Rybolovlev è molto credente e quindi inevitabilmente si innamorò di quel dipinto. A questo punto mi chiese quanto poteva costare il quadro secondo me ed io gli dissi 130 milioni di dollari”
Quest’ultimo, furbescamente, dopo un estenuante trattativa con Simon e Andelson, riuscì ad accaparrarsi l’opera per 83 milioni di $, cioè ben 47 milioni in meno di quanto aveva preventivato all’oligarca ma, si guardò bene dal comunicarlo a Rybolovlev. Infatti, all’appassionato d’arte russo, il faccendiere comunicò di aver pagato ben 125 milioni, ai quali dovevano essere aggiunti ulteriori 2,5 milioni per la propria commissione. In realtà, Bouvier, così facendo si era intascato 44,5 milioni di dollari, molto di più della solita commissione del 2%
L’anno seguente, nel 2014, Rybolovlev venne a sapere da un’inchiesta giornalistica la verità e sentendosi truffato, preso in giro ed offeso, nel 2016 decide di disfarsi del quadro e lo fece attraverso la casa d’asta di Christie’s nella persona di Loic Gouzer, responsabile per l’arte contemporanea.
Il colpo di genio del magnate russo fu proprio nella scelta di vendere il presunto Leonardo insieme a delle opere di arte contemporanea.
Ciò perché in un’asta di sola arte antica le persone sono certamente più precise e sicuramente avrebbero espresso, tra di loro, pareri contrastanti, invece in questo modo ci si è aperti ad un nuovo pubblico che non ha dimestichezza con la pittura, con l’attribuzione o il restauro e che quindi, prima di tutto, avrebbero puntato ad acquistere un nome.
Dal canto suo, Christie’s, per facilitare la vendita omise scientemente la parola bottega, e puntò tutto sull’immagine romantica di Leonardo Da Vinci schiavo del suo quadro, che lavora alacremente per completarlo, mentre, nella realtà, all’epoca, le botteghe d’arte non erano altro che delle fabbriche dove si realizzavano in serie e collegialmente, dei quadri.
Inoltre, la nota casa d’asta inglese, per questa vendita, si avvalse per la prima volta di una società di comunicazione esterna, la quale si incaricò di organizzare una mostra presso la sede newyorchese di Christie’s nella quale, chiunque, di qualsiasi ceto sociale, mettendosi semplicemente in fila, avrebbe potuto visionare l’opera e nel mentre la visionava una telecamera nascosta avrebbe ripreso le varie espressioni facciali del visitatore. Vi furono persone, che in tale circostanza, ebbero una specie di Sindrome di Stendhal scoppiando in lacrime davanti al quadro e l’agenzia usò queste immagini al rallentatore, con un’adeguata colonna sonora, a scopo di marketing.
Tra questi visitatori vi erano anche alcuni che sapevano di essere ripresi, ed uno di essi era Leonardo Di Caprio.
Ora dopo tutto questo battage il quadro era pronto per la vendita e, nel 2017, il Salvator Mundi fu battuto a New York, da Christie’s, per 450 milioni di Dollari, la più grande cifra mai pagata in un asta per una singola opera d’arte.
Ad aggiudicarsi il presunto Leonardo fu Mohamed Ben Salman, Principe ereditario del trono di Arabia Saudita.
Questi, nel sito di Al Ula, vuole costruire un nuovo Louvre e per fare ciò ha intenzione di acquisire una serie indeterminata di grandi opere d’arte, anche attraverso l’aiuto di mercenari come Cris Dercon, come egli stesso si definisce pur essendo Presidente della “Reunion des musèe nationaux” che in un intervista dichiara: “Loro hanno i soldi e quindi comprano e poi è sempre un quadro di Leonardo Da Vinci … se vuoi costruire 5 musei come il Metropolitan Museum da qualche parte devi pur iniziare”.
Ma siccome il mondo è tondo ed anche se hai risorse ingentissime non sai mai quello che può accadere, nella primavera del 2018, un altro ricercatore di Oxford, Matthew Landrus, sostenne che il Salvator Mundi non poteva essere attribuito al solo Leonardo, ma ad uno dei propri collaboratori: Bernardino Luini, l’unico in grado di produrre quel modellato sfumato.
Affermare ciò equivaleva a bruciare 450 milioni di Dollari, così Ben Salman, per salvare la faccia e l’investimento, tentò la carta francese.
Infatti, arrivato in visita ufficiale a Parigi nell’aprile del 2018, cercò di fare pressioni sul governo francese, come si evinse dal discorso tenuto, in una conferenza congiunta con Macron, il 10 dello stesso mese: “Gli interessi Sauditi e Francesi sono numerosi in politica, difesa, intelligence, economia e cultura. La Francia svolge un ruolo molto importante nella protezione di siti turistici, nel settore dell’archeologia e del tempo libero e dell’ospitalità, quindi vogliamo che la Francia sia il nostro partner principale in Al Ula, si possono fare grandi cose!”
In tale frangente fu firmato un accordo con Macron per lo sviluppo di Al Ula e in tale circostanza il Principe decise di inviare il dipinto a Parigi affinché fosse esposto al Louvre a fianco della Monna Lisa.
Un’operazione di marketing senz’altro impeccabile se fosse riuscita, ma le autorità francesi non acconsentirono affinché ciò avvenisse perché analizzarono l’opera attraverso tutti i mezzi scientifici che avevano a loro disposizione e comunicarono alle autorità saudite che il quadro non era stato realizzato dal solo Leonardo.
L’artista italiano, secondo il Louvre, aveva solo contribuito in parte alla realizzazione dell’opera.
A questo punto, Macron per non offendere oltremodo il Principe ereditario invitò la direzione del Louvre ad essere più accomodante ed il grande museo francese acconsentì all’esposizione del Salvator Mundi purché fossero rispettate le proprie condizioni.
I Sauditi allora iniziarono ad offrire sempre più denaro per ottenere l’esposizione del quadro vicino “La Gioconda”, ma dato che pagavano male anche ad Al Ula, l’Eliseo decise che il gioco non valeva la candela, e così il Louvre ritirò definitivamente l’invito giacché, esporre un quadro come un vero Leonardo quando in realtà questo non lo è, non solo avrebbe discreditato le istituzioni ma sarebbe equivalso a riciclare 450 milioni di Dollari.
Da quel lontano 2018 il Salvator Mundi è scomparso, nessuno sa più dove sia e di chi sia oggi, fatto sta che un quadro vergognosamente conteso per soli fini economici in realtà cela in se un messaggio universale di pace e di speranza che troppo spesso, questi omuncoli chiamati potenti, non conoscono e non comprendono.
Sul fatto poi che un quadro, realizzato da italiani, debba trovarsi oggi, prigioniero, al di fuori dei nostri confini nazionali, è un fatto veramente aberrante che grida giustizia dinnanzi agli uomini e a Dio.
L’ARTE, in definitiva, non può essere ricchezza, ma, deve solo arricchire gli spiriti e prima lo capiremo e meglio sarà per tutti
Lorenzo Valloreja
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