CENTO ANNI DALLA NASCITA DI GIULIO ANDREOTTI, ULTIMO DEI GRANDI ROMANI .

Il quattordici gennaio 1919 viene al mondo a Roma Giulio Andreotti: il più significativo e discusso politico della cosiddetta Prima Repubblica italiana, anzi probabilmente di tutta la storia repubblicana della nostra Patria pare scegliere un momento cruciale, in giorni in cui si assiste alla praticamente simultanea fondazione di Partito popolare e Partito fascista.

Ripercorrere sia pure sinteticamente il suo cursus honorum sarebbe impresa improba, più da storico divulgativo della contemporaneità che da  opinionista. Basti dire che ascende al sottosegretariato della Presidenza del consiglio dei ministri sotto Alcide de Gasperi suo mentore e padre politico nel 1947, per abbandonare la  “valle di lacrime” nel 2013 da senatore a vita come da nomina nel 1991: esattamente sessantasei anni di vita politica, un lasso di tempo che negli USA copre la Presidenza Truman (succeduto a Roosvelt defunto mentre Hitler era circondato a Berlino) come, alla fine, quella di Barack Obama.

Innumerevoli gli incarichi ministeriali mai di “serie B” e diverse le premierships, tra cui diversi di durata ragguardevole se si pensa alla durata media di un governo italiano di ogni epoca, compresi anche quelli del Regno : ricorderò solo il mandato tra il 1976 e il 1979 con la tremenda esperienza del rapimento di Aldo Moro (che contribuì non poco alla sua “leggenda nera”) , i ben sette anni (dico sette) di ministro della Difesa tra 1959 e 1966, e la titolarità della Farnesina tra il 1983 e il 1989 sotto i premier Craxi, Fanfani, Goria e De Mita). Impressionanti segni di radicamento e interpretazione personalistica delle istituzioni che, se da un lato suscitava nella mia generazione un inevitabile, fastidioso senso di sostanziale immutabilità italiana e di percepito, per nulla occultato clientelismo, dall’altro induceva a una specie di odio-amore verso entità quasi metafisiche come il “diccì psi pri” della mitica “Nun te reggae più” di Rino Gaetano, o la Democrazia Cristiana in particolare di cui il Divo Giulio ma anche Fanfani, il povero Moro o Forlani o Cossiga ecc. costituivano il visibile apparato umano.

 Anche quando si proclamava di combatterla, la Democrazia Cristiana era come un male inevitabile . Era il logico coronamento di duemila anni di cattolicesimo approdato al modernismo moderato ( Democrazia Cristiana era una delle principali associazioni moderniste sciolte da san Pio X), era il benefico calmante dopo l’esperienza fascista e il cataclisma bellico mondiale di cui l’Italia, piaccia o no, fu tra i principali motori. Non fu l’ex Maresciallo d’ Italia Rodolfo Graziani ad abbracciare clamorosamente nella pubblica piazza della sua Arcinazzo, in una campagna elettorale, Giulio Andreotti ? E da allora, chi sentì Andreotti accalorarsi in reprimende del fascismo e di Mussolini, certo mai esaltandoli ?

Ma non avremmo mai pensato che la Repubblica fosse non solo macchiata ma addirittura costituita sulla corruzione partitocratica, e non credemmo mai, e in questo non ci sbagliavamo, che addirittura Giulio Andreotti, autore delle più severe norme antimafia, fosse un semplice boss mafioso reclutato in quel dei sette Colli : tanto furore iconoclastico di una magistratura accusatrice improvvisamente giacobina con strane coincidenze geopolitiche (caduta del Muro di Berlino, Nuovo Ordine Mondiale con eliminazione degli eretici filoarabi e dalla scarsa tolleranza neocon  verso esternazioni del Nostro quali “la Germania sta bene così come si trova”) è secondo me alla base di un radicato insopprimibile e ormai congenito scetticismo verso le istituzioni pubbliche e disincanto da perdita dell’innocenza collettiva tra l’altro determinante un tasso di assenteismo elettorale in continua espansione.

Tale congiuntura internazionale fu  probabilmente fatale al Divo Giulio cui viene prima strategicamente sfilata la Presidenza della Repubblica, e su cui poi fu riversata una terrificante ondata di fango, dall’essere mandante di omicidio di un giornalista scomodo fino appunto, all’associazione mafiosa (il famoso “bacio a Riina). Gli ultimi venti anni circa del senatore a vita trascorrono tra udienze di giudizi pesantissimi, interventi in Senato come se niente fosse, fino al riacquisto più o meno completo dell’onore assistito da una provvidenziale longevità non senza conoscere la decrepitezza fisica dinanzi a cui la mitica gobbetta appariva un piccolo problema posturale. Tra le ultime lettere di una rubrica che tenne per “Il Tempo” ricordo con una sorta di tenerezza la confessione a un lettore, di non saper cosa dire dinanzi alla problematica delle nozze gay. E infatti, questa Italia degli ultimissimi anni, si è sentita orfana di Pannella, non certo di Andreotti, che riesce ad assistere all’ascesa al Soglio di Papa Francesco, tesserato d’onore del Partito Radicale (dico sul serio, non è fantasiosa ironia).

A proposito : Giulio Andreotti era davvero molto religioso, non “bigotto” come il pregiudizio radicale di massa ha inculcato nelle masse lobotomizzate. Ciò non toglie che nel suo operato vi siano ombre, anzi notti tali da scriverci libri che ormai nessuno ha più voglia di scrivere, tanto da un pezzo la Sinistra che ritiene di misurare il potere dall’odio che grazie all’egemonia gramsciana semina, si è creata altri bersagli ultimo dei quali Matteo Salvini. Cattolico di finissima cultura, autore di svariati libri di storia (specie sugli ultimi anni del potere temporale di Pio IX , basti pensare alla “Sciarada di Papa Mastai” o a “Ore 13 : il ministro deve morire), o di cronaca parlamentare o di memorialistica mai troppo polemica, maligna o faziosa che avrebbero dovuto far intuire l’assurdità di certe truci accuse, per quanto mi riguarda gli addebito un solo grande rimprovero : essere stato un grande , magistrale uomo di manovra e manovre finalizzate al Potere, ma non aver impedito il nostro scivolamento tra le sabbie mobili del depredamento del patrimonio pubblico con le privatizzazioni, il divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia, la lenta perdita della sovranità . Col senno di poi il filoarabismo stesso appare più una astuta arma di pressione verso gli alleati-padroni, poi ritortasi contro, che una vera strategia geopolitica. Ma erano i limiti imposti dal sistema euroatlantista in cui si muoveva, che però perfidamente, avvertendolo in fondo estraneo all’estabilishement profondo secolarizzato e finanziario, si divertì , come il Nostro ebbe a dire, ad addebitargli tutto tranne le guerre puniche.

Peccato che fosse un democristiano.

Antonio Martino

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