ECCO IL DISCORSO INTEGRALE DI VLADIMIR PUTIN: “L’UCRAINA INVENZIONE DI LENIN”.
Ringraziando Il Giornale (non un’agenzia di stampa russa, tanto per intenderci) per la sua traduzione integrale dello storico discorso di Vladimir Putin in Mondovisione di ieri 21 febbraio (a cui ho apportato dei miglioramenti lessicali nella nostra lingua), mi permetto solo di far notare che esso va ben oltre l’arrogante se non delirante minaccia di cui parla il main stream, offrendo una interessante analisi storica non solo della geopolitica postsovietica e della realtà dei nuovi stati, ma anche di certe stesse dinamiche fondative della stessa URSS. Inquietante inoltre, tra l’altro, la denuncia da parte russa di armi atomiche in mano a Kiev, e illuminante il fatto che, a dire di Putin, l’Ucraina sarebbe già operativamente di fatto integrata nella NATO. Comunque sia, chi scrive auspica che alla fine, la diplomazia foriera di quella Pace bene supremo, abbia comunque la meglio. Ecco l’integrale discorso del Presidente Putin. Ognuno tragga le proprie conclusioni.
A. Martino
“Il mio discorso riguarda gli eventi in Ucraina e la ragione per cui sono importanti per noi, Russia. Il mio messaggio, chiaramente, è anche rivolto ai nostri compatrioti in Ucraina.
La questione è molto seria e c’è bisogno di discuterne in maniera approfondita. La situazione nel Donbass è entrata in una fase critica, grave. E oggi vi sto parlando non soltanto per spiegarvi che cosa sta accadendo, ma anche per informarvi delle decisioni che stanno venendo prese e dei possibili passi che potrebbero seguire.
Vorrei enfatizzare ancora una volta che l’Ucraina non è semplicemente un Paese confinante per noi. È una parte inalienabile della nostra storia, della nostra storia e del nostro spazio spirituale. Lì si trovano i nostri compagni, quelli a noi più cari – non soltanto colleghi, amici e persone che un tempo hanno servito insieme, ma anche parenti, gente legata dal sangue, famiglie.
È da tempo immemorabile che coloro che vivono nel sud-ovest di quella che è stata storicamente terra russa si riferiscono a se stessi come russi e cristiani ortodossi. È stato così da prima del 17esimo secolo, quando una porzione di questo territorio si riunì allo Stato russo, e lo è stato dopo.
In generale, noi diamo questi fatti per scontati, qualcosa di conosciuto da tutti. Eppure, è necessario dire almeno qualche parola in più in merito alle origini di questa questione: affinché sia possibile capire cosa sta succedendo oggi e per spiegare i motivi delle azioni della Russia e ciò che ambiamo a conseguire.
Dunque, comincerò dal fatto che l’Ucraina moderna è stata creata per intero dalla Russia o, per essere più precisi, dai Bolscevichi, dalla Russia comunista. Questo processo ebbe inizio subito dopo la Rivoluzione del 1917 e fu esperito in maniera estremamente brutale da Lenin e compagni – separando, recidendo quella storicamente fu terra russa. Nessuno domandò ai milioni di persone che vivevano lì cosa ne pensassero. Poi, sia prima sia dopo la Grande guerra patriottica, Stalin incorporò nell’Unione Sovietica e trasferì all’Ucraina alcune terre in precedenza appartenute a Polonia, Romania e Ungheria – nel fare ciò, diede alla Polonia una parte di quella che era stata tradizionalmente terra tedesca come risarcimento. E nel 1954, per qualche motivo, Krusciov prese la Crimea dalla Russia e la diede all’Ucraina. È così, in effetti, che si è formato il territorio dell’Ucraina attuale.
Ma, adesso, vorrei focalizzare l’attenzione sul periodo iniziale della formazione dell’Unione Sovietica. Credo che sia estremamente per noi. E dovrò cominciare dal principio.
Dopo la Rivoluzione di ottobre del 1917, e la successiva guerra civile, i Bolscevichi iniziarono a costruire un nuovo Stato. Tra loro vi era un notevole disaccordo su come procedere. Stalin, che nel 1922 occupava le posizioni di Segretario generale del Partito comunista e Commissario popolare per gli affari etnici, propose di costruire un Paese basato sui principi dell’autonomia, ovvero: dare alle repubbliche – le future entità territoriali e amministrative – dei vasti poteri con l’entrata in uno stato unico.
Lenin, che era critico nei riguardi di questo piano, suggerì di fare delle concessioni ai nazionalisti, ai quali ci si riferiva a quel tempo come “indipendentisti”. Le idee di Lenin sul significato di stato confederale e sul diritto all’autodeterminazione delle nazioni, inclusa la secessione, diventarono le fondamenta della statualità sovietica. Furono inizialmente confermate nella Dichiarazione sulla formazione dell’Unione Sovietica del 1922 e, in seguito, dopo la morte di Lenin, cristallizzate nella Costituzione sovietica del 1924.
Quegli eventi sollevano molte domande. La prima è anche la principale: era davvero necessario scendere a patti con gli indipendentisti, appagando quel crescendo incessante di ambizioni nazionalistiche alle periferie dell’ex impero? A che pro trasferire a nuove unità amministrative, spesso formate in maniera arbitraria, dei territori vasti e che nulla avevano a che fare con loro? Lasciate che lo ripeta di nuovo: furono trasferiti territori, con tanto di popolazione, appartenuti storicamente alla Russia.
Per di più, a queste unità amministrative furono concessi, de facto, lo status e la forma di entità statali nazionali. E questo solleva un’altra domanda: perché fu necessario fare dei regali tanto generosi, inimmaginabili anche per i nazionalisti più ambiziosi, e, oltre a ciò, dare alle repubbliche il diritto incondizionato di secedere dallo stato unificato?
Questo, a prima vista, può apparire incomprensibile, persino folle. Ma soltanto a prima vista. Perché esiste una spiegazione. L’obiettivo principale dei bolscevichi, nel dopo-rivoluzione, era uno: restare al potere, a qualsiasi costo. A qualsiasi costo. E fecero di tutto per rimanervi.
A prima vista, questo, può apparire incomprensibile, persino folle. Ma soltanto ad uno primo sguardo. Perché esiste una spiegazione. L’obiettivo principale dei bolscevichi, nel dopo-rivoluzione, era uno: restare al potere a qualsiasi costo. A qualsiasi costo. E fecero di tutto per questo scopo: accettarono l’umiliante Treatto di Brest-Litovsk, nonostante la situazione economica e militare nella Germania del Kaiser e dei suoi alleati fosse drammatica e l’esito della Prima guerra mondiale fosse ampiamente pronosticabile, e soddisfarono ogni domanda e desiderio dei nazionalisti all’interno del Paese.
Quando si parla del destino storico della Russia e dei suoi popoli, i principi di sviluppo statale di Lenin non erano soltanto degli sbagli: erano, come si dice, peggio di uno sbaglio. E ciò è divenuto palese dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991.
Non possiamo cambiare gli eventi del passato, è vero, ma dobbiamo perlomeno avere il coraggio di ammetterli apertamente e con onestà, senza riserve né magheggi politici. Personalmente, desidero aggiungere che nessun fattore politico, per quanto impressionante o profittevole possa sembrare in un dato momento, potrebbe o dovrebbe essere utilizzato come principio fondamentale della statualità.
Non sto cercano di addossare la colpa a nessuno. La situazione nel Paese a quel tempo, sia prima sia dopo la Guerra civile, era incredibilmente complicata; era critica. L’unica cosa che mi piacerebbe dire qui, oggi, è come stanno le cose effettivamente. È un fatto storico. In effetti, come ho già detto, l’Ucraina sovietica è il risultato delle politiche bolsceviche e può essere giustamente definita “l’Ucraina di Vladimir Lenin”. Lui è stato il suo creatore e il suo architetto. E questo trova pieno e totale riscontro nei documenti in archivio, incluse le rigide istruzioni di Lenin sul Donbass, che fu incorporato all’Ucraina. E, oggi, la “grata progenie” va rovesciando i monumenti di Lenin in Ucraina. La chiamano decomunistizzazione.
Volete la decomunistizzazione? Molto bene, ci sembra giusto. Ma perché fermarsi a metà strada? Siamo pronti a mostrarvi cosa la vera decomunistizzazione significherebbe per l’Ucraina.
Tornando indietro, vorrei ripetere che l’Unione Sovietica prese il posto dell’ex Impero russo nel 1922. Ma, nei fatti, si rivelò sin da subito impossibile preservare o governare un territorio tanto vasto e complesso sui principi amorfi della confederazione. Erano tanto distanti dalla realtà quanto dalla tradizione storica.
Logicamente, il Terrore rosso, il rapido cadere nella dittatura di Stalin, il dominio dell’ideologia comunista, il monopolio del potere del Partito Comunista, nazionalizzazioni ed economia pianificata – tutte queste cose – trasformarono i principi di governo, formalizzati ma non effettivi, in niente più che una mera dichiarazione. In realtà, le repubbliche dell’unione non ebbero mai nessun diritto alla sovranità: nessuno. Il risultato pratico, infatti, fu la creazione di uno stato assolutamente unitario e fortemente centralizzato.
Nei fatti, ciò che Stalin implementò non furono i principi di governo di Lenin, ma i propri. E li implementò senza produrre emendamenti di rilievo ai documenti fondativi, alla Costituzione, senza revisionare formalmente i principi di Lenin sui quali si fondava l’Unione Sovietica. Dal suo punto di vista, del resto, non ce n’era bisogno: tutto sembrava funzionare bene nel regime totalitario, e appariva persino meraviglioso, attraente e super-democratico.
Eppure, fu un grande peccato non ripulire le basi fondative e formalmente legali del nostro Stato da quelle fantasie utopiche e odiose ispirate dalla rivoluzione, che sono assolutamente distruttive per ogni stato normale. Come spesso è accaduto nella storia del nostro Paese, nessuno si preoccupò di pensare al futuro.
Sembra che la dirigenza del Partito Comunista fosse convinta di aver creato un solido sistema di governo e che le loro politiche avessero risolto le questioni etniche per il meglio. Ma il traviamento, lo spaesamento e la manipolazione dell’opinione pubblica hanno un costo molto alto. Il virus delle ambizioni nazionalistiche era ancora tra noi, e la mina piazzata durante le prime fasi per distruggere l’immunità statale alla malattia del nazionalismo stava ticchettando. Come ho già detto, la mina era il diritto alla secessione dall’Unione Sovietica.
A metà degli anni Ottanta, il crescendo di problemi socioeconomici e l’apparente crisi dell’economia pianificata aggravarono la questione etnica, che non era stata scatenata dai sogni e dalle aspettative incompiuti dei popoli sovietici ma, primariamente, dai crescenti appetiti delle élite locali.
Ad ogni modo, anziché analizzare la situazione, prendendo le misure appropriate, prima di tutto nell’economia e dopo di che trasformando gradualmente il sistema politico e di governo in maniera bilanciata e ben studiata, la dirigenza del Partito Comunista non si impegnò che in un dibattito ambiguo relativo al disseppellimento del principio leninista dell’autodeterminazione nazionale.
Per di più, nel corso della lotta di potere all’interno dello stesso Partito Comunista, ognuna delle parti, nel tentativo di espandere la propria base elettorale, cominciò a incitare e a incoraggiare senza criterio ai sentimenti nazionalistici, manipolandoli e promettendo ai potenziali sostenitori tutto ciò che desideravano.
Sullo sfondo della retorica populistica e superficiale sulla democrazia e sul futuro lucente basato o su un’economia di mercato o su una pianificata, ma nel mezzo di un vero impoverimento della gente e di diffuse carenze di beni, nessuno di coloro al potere stava pensando alle tragiche e inevitabili conseguenze per il Paese.
Successivamente, intrapresero il percorso già battuto ai primordi dell’Unione Sovietica e assecondando le ambizioni delle élite nazionalistiche, alimentate dall’interno dal partito. Ma nel fare questo, si dimenticarono che il Partito non aveva più – grazie a Dio – gli strumenti per rimanere al potere, come il terrore di stato e una dittatura di tipo staliniano, e che il noto ruolo-guida del Partito stava scomparendo senza lasciar traccia, come nebbia mattutina, davanti ai loro occhi.
Poi, alla sessione plenaria del Comitato centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica del 1989 si approvò un documento realmente fatale: la cosiddetta politica etnica del Partito nelle condizioni moderne, la piattaforma del PCUS. Che includeva punti come questi che vi cito:
- Le repubbliche dell’Unione Sovietica debbono possedere tutti i diritti adeguati al loro status di stati socialisti sovrani.
- I corpi rappresentativi supremi delle repubbliche dell’Unione Sovietica possono sfidare e sospendere l’operatività sul loro territorio delle direttive e delle risoluzioni del governo sovietico.
- Ogni repubblica dell’Unione Sovietica dovrebbe avere una propria cittadinanza, applicabile alla totalità dei suoi residenti.
Non era chiaro loro dove tali formule e decisioni avrebbero condotto? Ma non è questo il momento né il luogo per approfondire argomenti attinenti al diritto nazionale o costituzionale, o definire il concetto di cittadinanza. Ma uno potrebbe chiedersi: perché fu necessario scuotere ancor di più un Paese in una situazione già complicata? I fatti restano.
Il fato dell’Unione Sovietica era stato predeterminato due anni prima della dissoluzione. E oggi radicali e nazionalisti, inclusi e primariamente quelli in Ucraina, stanno prendendo credito per aver ottenuto l’indipendenza. Come possiamo vedere, ciò è assolutamente sbagliato. La disintegrazione del nostro Paese unito fu provocata dai tragici errori storici commessi dai leader bolscevichi e dalla dirigenza del PCUS. Errori commessi nella costruzione statale e nelle politiche economiche ed etniche in epoche diverse. Il collasso della Russia storica, nota come Unione Sovietica, pesa sulle loro coscienze.
Nonostante tutte queste ingiustizie, menzogne e saccheggi oltraggiosi della Russia, fu il nostro popolo ad accettare la nuova realtà geopolitica emersa nel dopo-dissoluzione dell’Unione Sovietica e a riconoscere i nuovi stati indipendenti. Non soltanto la Russia riconobbe questi Paesi, ma aiutò i suoi partner della Comunità degli Stati Indipendenti, pur essendo essa stessa in una situazione terribile. E questo includendo i nostri colleghi ucraini, che si rivolsero a noi molte volte per del supporto finanziario dal momento dell’indipendenza. Il nostro Paese assicurò quest’assistenza rispettando la dignità e la sovranità dell’Ucraina.
Secondo le stime degli esperti, confermate da un semplice calcolo dei nostri prezzi energetici, i prestiti agevolati erogati dalla Russia all’Ucraina, insieme ai trattamenti preferenziali in economia e commercio e ai benefici complessivi per il bilancio ucraino dal 1991 al 2013, ammontano a 250 miliardi di dollari.
Comunque, c’è molto di questo. Alla fine del 1991, l’Unione Sovietica era in debito di circa cento miliardi di dollari con altri Paesi e fondi internazionali. Inzialmente, ci fu quest’idea che tutte le ex repubbliche sovietiche pagassero questi prestiti insieme, per spirito di solidarietà e in proporzione al loro potenziale economico. Ma la Russia scelse di ripagare da sola tutti i debiti sovietici e mantenne fede a questa promessa completando questo processo nel 2017.
In cambio, i neo-stati indipendenti avrebbero dovuto cedere alla Russia parte degli assetti stranieri sovietici. Un accordo, a questo proposito, fu siglato con l’Ucraina nel dicembre 1994. Ma Kiev prima non ratificò questi accordi e dopo si rifiutò semplicemente di onorarli avanzando richieste di partecipazione nel Fondo dei diamanti, nelle riserve auree, così come su ex proprietà sovietiche e altri assetti all’estero.
Eppure, nonostante tutte queste sfide, la Russia ha sempre lavorato con l’Ucraina in maniera aperta e onesta e, come ho già detto, rispettandone gli interessi. Abbiamo sviluppato i nostri legami in una molteplicità di campi. Nel 2011, inoltre, l’interscambio bilaterale superava i cinquanta miliardi di dollari. E notate che nel 2019, cioè prima della pandemia, il volume dell’interscambio commerciale dell’Ucraina con tutti i Paesi dell’Unione Europea era inferiore a quel dato.
Allo stesso tempo, è stato sorprendente vedere come le autorità ucraine abbiano sempre preferito trattare con la Russia in una maniera che assicurasse loro di godere di ogni diritto e privilegio pur rimanendo libere da ogni obbligo.
Le autorità a Kiev hanno sostituito il partenariato con un’attitudine parassitaria, agendo talvolta in maniera molto sfacciata. Sia sufficiente, a questo proposito, richiamare i continui ricatti sui transiti energetici e il fatto che abbiano letteralmente rubato del gas.
Posso aggiungere, poi, che Kiev ha cercato di utilizzare il dialogo con la Russia come merce di scambio nelle relazioni con l’Occidente, usando la minaccia di legami più ravvicinati con la Russia per intimidire l’Occidente e assicurarsi trattamenti di favore dichiarando che altrimenti la Russia avrebbe avuto un’influenza maggiore in Ucraina.
Al tempo stesso, le autorità ucraine – vorrei enfatizzarlo – hanno cominciato a costruire la loro statualità sulla negazione di tutto ciò che unisce gli ucraini a noi, cercando di distorcere la mentalità e la memoria storica di milioni di persone, di intere generazioni che stanno vivendo in Ucraina. Non sorprendente, dunque, che la società ucraina sia stata testimone dell’ascesa del nazionalismo di estrema destra, che rapidamente è degenerato in un’aggressiva russofobia e nel neonazismo. Fenomeno sfociato nella partecipazione dei nazionalisti e dei neonazisti ucraini e in gruppi terroristici nel Caucaso settentrionale e in un crescendo di rivendicazioni territoriali verso la Russia.
Un ruolo in tutto questo è stato giocato da forze straniere, inserite in un circuito ramificato di organizzazioni non governative e servizi segreti, che hanno alimentato i loro clienti in Ucraina e portato i loro rappresentanti ai seggi del potere.
Andrebbe fatto notare che l’Ucraina, in realtà, non ha mai avuto delle tradizioni stabili di reale statualità. Perciò, nel 1991, optò per un’emulazione scriteriata dei modelli stranieri, privi di legami con la storia o la realtà ucraina. Le istituzioni governative e politiche sono state riaggiustate tante volte per assecondare i sempre più numerosi clan e gli interessi egoistici, che nulla avevano a che fare con gli interessi del popolo ucraino.
In sostanza, la cosiddetta scelta civilizzatrice filo-occidentale fatta dalle autorità ucraine oligarchiche non aveva e non ha l’ambizione di creare condizioni migliori per e migliorare il benessere del popolo, ma aveva e ha l’ambizione di gestire quei miliardi di dollari che gli oligarchi hanno rubato agli ucraini, e che custodiscono nei loro conti in banche occidentali, e di assecondare con riverenza, nel frattempo, i rivali geopolitici della Russia.
Alcuni gruppi finanziari e industriali e partiti e politici sul loro libro paga hanno avuto dipendenza dai nazionalisti e dai radicali sin dall’inizio. Altri dicono di essere favorevoli a buone relazioni con la Russia, alla diversità culturale e linguistica, e sono ascesi al potere con l’aiuto di cittadini – inclusi i milioni residenti nelle regioni sudorientali – che ne hanno supportato sinceramente le decantate aspirazioni. Ma una volta ottenuto il seggio desiderato, queste persone hanno immediatamente tradito i loro votanti, ritirando le promesse elettorali e, al loro posto, portando avanti una politica condizionata dai radicali e, talvolta, perseguitando gli ex alleati – cioè le organizzazioni pubbliche che supportavano il bilinguismo e la cooperazione con la Russia. Queste persone hanno approfittato del fatto che i loro elettori erano in gran parte dei cittadini rispettosi della legge, con delle visioni moderate e fiduciosi nelle istituzioni, e che, a differenza dei radicali, non agirebbero aggressivamente né farebbero impiego di strumenti illegali.
Nel frattempo, i radicali sono diventati sempre più sfrontati nelle loro azioni e ogni anno hanno aumentato le loro pretese. Per loro è stato facile piegare alla loro volontà le deboli autorità, infettate dai virus del nazionalismo e della corruzione, sostituendo magistralmente i veri interessi sociali, economici e culturali della gente e la vera sovranità dell’Ucraina con varie speculazioni etniche e attributi etnici formali.
Una statualità stabile non ha mai preso piede in Ucraina: le procedure elettorali e politiche servono come copertura, uno schermo per la redistribuzione del potere e delle proprietà tra i vari clan oligarchici.
La corruzione, che resta sicuramente una sfida e un problema per molti Paesi, inclusa la Russia, ha superato le normali dimensioni in Ucraina. Ha letteralmente permeato e corroso la statualità ucraina, l’intero sistema e tutti i rami del potere.
I nazionalisti radicali hanno profittato del legittimo malcontento pubblico e cavalcato le proteste di Maidan, portandole al culmine in un colpo di stato nel 2014. E hanno ricevuto assistenza diretta da stati stranieri. Secondo i rapporti, l’ambasciata degli Stati Uniti ha dato un milione di dollari al giorno per supportare il campo di protesta in Piazza dell’Indipendenza a Kiev. In aggiunta, grandi quantità di denaro sono state trasferite con impudenza direttamente nei conti bancari dei capi dell’opposizione: decine di milioni di dollari. Ma la gente che ha sofferto realmente, le famiglie di coloro che sono morti negli scontri provocati nelle strade e nelle piazze di Kiev e nelle altre città, cos’hanno ottenuto loro alla fine? Meglio non chiedere.
I nazionalisti che hanno preso il potere hanno dato il via ad una persecuzione, una vera campagna di terrore contro coloro che si opponevano alle loro azioni incostituzionali. Politici, giornalisti e attivisti pubblici sono stati aggrediti e umiliati pubblicamente. Un’ondata di violenza ha avvolto le città ucraine, inclusa una serie di omicidi di alto profilo rimasti impuniti. Fa rabbrividere il ricordo della terribile tragedia di Odessa, dove dei dimostranti pacifici furono brutalmente assassinati, bruciati vivi nella Casa dei sindacati. I criminali che hanno commesso quell’atrocità non sono mai stati puniti e nessuno li sta neanche cercando. Ma noi sappiamo i loro nomi e faremo di tutto per punirli, trovarli e portarli davanti alla giustizia.
Maidan non ha reso l’Ucraina più vicina alla democrazia e al progresso. Una volta compiuto il colpo di stato, i nazionalisti e quelle forze politiche che li hanno supportati hanno trascinato l’Ucraina in una situazione di stallo, portando il Paese nell’abisso della guerra civile. Otto anni dopo, il Paese è diviso. L’Ucraina sta fronteggiando una grave crisi socioeconomica.
Secondo le organizzazioni internazionali, nel 2019, quasi sei milioni di ucraini – sottolineo –, cioè circa il 15% non della forza lavoro ma dell’intera popolazione del Paese, erano andati all’estero alla ricerca di lavoro. La maggior parte per lavori saltuari. E questo fatto è rivelatorio: dal 2020, più di 60mila dottori e altri lavoratori sanitari hanno abbandonato il Paese nel mezzo della pandemia.
Dal 2014, le bollette dell’acqua sono aumentate di quasi un terzo, mentre quelle dell’energia sono cresciute diverse volte e il prezzo del gas per le famiglie è salito una dozzina di volte. Molte persone, semplicemente, non hanno il denaro per pagare le bollette. Lottano letteralmente per sopravvivere.
Cosa è accaduto? Perché tutto questo sta succedendo? La risposta è ovvia: hanno speso e dilapidato il legato ereditato non soltanto dall’era sovietica, ma anche dall’Impero russo. Hanno perduto decine, centinaia di migliaia di posti di lavoro che permettevano alla gente di avere un’entrata dignitosa e generare entrate fiscali, tra le altre cose grazie alla cooperazione ravvicinata con la Russia. Settori come la costruzione di macchinari, l’ingegneria strumentale, l’elettronica, la cantieristica navale e aerea sono stati minati o distrutti anch’essi. Ma è esistito un tempo in cui non soltanto l’Ucraina, ma l’intera Unione Sovietica, era orgogliosa di queste compagnie.
Nel 2021, il cantiere navale del Mar Nero di Nikolayev è uscito dal mercato. I suoi primi moli risalivano all’epoca di Caterina la Grande. Antonov, il famoso costruttore, non ha prodotto un singolo aereo commerciale dal 2016, mentre Yuzhmash, una fabbrica specializzata in strumenti spaziali e missilistici, è vicina alla bancarotta. L’acciaieria di Kremenchung è in una situazione simile. E questo elenco triste potrebbe continuare ancora e ancora.
Per quanto riguarda il sistema di trasporto del gas, fu costruito interamente dall’Unione Sovietica e oggi è tanto deteriorato che usarlo implica dei rischi rilevanti e comporta un costo elevato per l’ambiente.
Questa situazione fa nascere la domanda: povertà, mancanza di opportunità, e perdita di potenzialità tecnologiche e industriali – è questa la scelta civilizzatrice filo-occidentale che da anni utilizzano per ingannare milioni di persone con la promessa di pascoli paradisiaci?
Tutto ha avuto come esito un’economia ucraina in frantumi, un vero e proprio saccheggio ai cittadini del Paese, mentre l’Ucraina veniva posta sotto controllo esterno, diretto non soltanto da capitali occidentali, ma anche dal basso, attraverso un intero circuito di consiglieri stranieri, organizzazioni non governative e altre istituzioni presenti in Ucraina. Hanno un’influenza diretta in tutte le nomine e i licenziamenti e in tutti i rami del potere ad ogni livello, dal governo centrale alle municipalità, così come nelle compagnie statali e nelle corporazioni, incluse Naftogaz, Ukrenergo, Ukrainian Railways, Ukroboronprom, Ukrposhta e l’Autorità dei porti marittimi ucraina.
Non esiste nessun potere giudiziario indipendente in Ucraina. Le autorità di Kiev, su richiesta dell’Occidente, hanno delegato il diritto prioritario di selezionare i membri dei corpi giudiziari supremi, il Consiglio di giustizia e la Commissione delle alte qualifiche giudiziari, alle organizzazioni internazionali.
Per di più, gli Stati Uniti controllano direttamente l’Agenzia nazionale per la prevenzione della corruzione, l’Ufficio nazionale anticorruzione, l’Ufficio speciale della procura contro la corruzione e l’Alta corte contro la corruzione. Tutto questo è fatto dietro il nobile pretesto di dare man forte agli sforzi contro la corruzione. Va bene, ma dove sono i risultati? La corruzione sta fiorendo come mai prima di oggi.
Gli ucraini sono consapevoli che questo è il modo viene gestita il loro Paese? Realizzano che il loro Paese non è stato neanche ridotto in un protettorato economico o politico ma in una colonia con un regime fantoccio? Lo stato è stato privatizzato. Il risultato è che il governo, che si autodefinisce il “potere dei patrioti”, non agisce più in una capacità nazionale e spinge l’Ucraina verso una perdita costante di sovranità.
La politica di sradicamento della cultura e della lingua russa procede, mentre la promozione dell’assimilazione va avanti. La Verkhovna Rada ha prodotto un profluvio di leggi discriminatorie, e la legge sui cosiddetti popoli indigeni è già entrata in vigore. Persone che si identificano come russe e vogliono preservare la loro identità, la loro lingua e la loro cultura stanno ricevendo un messaggio: non siete i benvoluti in Ucraina.
Le leggi sull’istruzione e sull’ucraino come lingua di stato hanno estromesso il russo dalle scuole, dagli spazi pubblici, persino nei negozi. La legge sul cosiddetto controllo dei funzionari, insieme alle purghe tra i ranghi, ha creato un quadro per il “trattamento” dei dipendenti pubblici indesiderati.
Vi sono sempre più atti che permettono a forze dell’ordine e forze armate di reprimere la libertà di parola, di dissenso, di perseguire l’opposizione. Il mondo conosce la pratica deplorevole dell’imposizione di sanzioni unilaterali illegittime contro i Paesi e gli individui e le entità legali stranieri. L’Ucraina, in questo, ha superato i suoi padroni occidentali inventando sanzioni contro i propri cittadini, compagnie, canali televisivi, mezzi di comunicazione e persino membri del parlamento.
Kiev continua a preparare la distruzione della Chiesa ortodossa ucraina del Patriarcato di Mosca. Non si tratta di un giudizio emotivo: decisioni concrete e documenti sono la prova di tutto questo. Le autorità ucraine hanno cinicamente trasformato la tragedia dello scisma in uno strumento di politica statale. Le autorità attuali non reagiscono agli appelli del popolo ucraino per l’abolizione delle leggi che violano i diritti dei credenti. Come se non bastasse, presso la Verkhovna Rada sono state registrate nuove bozze legislative dirette contro il clero e i milioni di parrocchiani della Chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca.
Alcune parole sulla Crimea. La gente della penisola ha deciso liberamente di stare con la Russia. Le autorità di Kiev non possono sfidare una decisione chiaramente statuita dalla gente, perciò hanno optato per l’azione aggressiva, per l’attivazione di cellule estremistiche, incluse organizzazioni terroristiche islamiste, per l’invio di agenti sovversivi coi quali condurre attacchi terroristici contro infrastrutture critiche e rapire cittadini russi. Abbiamo prove fattuali che queste azioni aggressive vengano condotte con il supporto dei servizi segreti occidentali.
Una nuova strategia militare è stata adottata in Ucraina nel marzo 2021. Il documento è dedicato quasi interamente al confronto con la Russia e stabilisce l’obiettivo di coinvolgere stati stranieri in un conflitto contro il nostro Paese. La strategia prevede l’organizzazione di ciò che può essere descritto come un movimento terroristico di retroguardia nella Crimea russa e nel Donbass. E delinea, inoltre, i contorni di una potenziale guerra, che dovrebbe concludersi, secondo gli strateghi di Kiev, “con l’assistenza della comunità internazionale in termini favorevoli per l’Ucraina”, e – ascoltate attentamente, ve ne prego –, “con il supporto militare straniero nel confronto geopolitico con la Federazione russa”. Tutto questo non è altro che preparazione per ostilità contro il nostro Paese, la Russia.
Come sappiamo, è stato già detto oggi che l’Ucraina ha intenzione di dotarsi di armi nucleari proprie, e non soltanto per “vantarsi”. L’Ucraina possiede tecnologia nucleare di origine sovietica e i veicoli per trasportare tali armi, inclusi aerei, così come i missili tattici di precisione Tochka-U – il cui raggio è di oltre cento chilometri. Ma possono fare di più; è soltanto questione di tempo. Hanno le basi per farlo sin dall’era sovietica.
In altre parole, dotarsi di armi nucleari tattiche sarebbe più facile per l’Ucraina che per altri Paesi che non citerò qui, e che stanno conducendo tali ricerche, specialmente se Kiev riceve supporto tecnologico straniero. E non possiamo neanche escludere che ciò accada.
La comparsa di armi di distruzione di massa in Ucraina cambierebbe la situazione nel mondo, in Europa, e specialmente per noi, Russia, per i quali il cambiamento sarebbe particolarmente radicale. Non possiamo non reagire a questo pericolo reale, specialmente, ripeto, in considerazione del fatto che i padroni occidentali potrebbero contribuire a far apparire tali armi in Ucraina per creare un’altra minaccia al nostro Paese.
Vediamo in continuazione come avviene il potenziamento militare del regime di Kiev. Dal 2014, gli Stati Uniti da soli hanno allocato miliardi di dollari a questi scopi, incluso il rifornimento di armi, strumentazione e addestramento specialistico. Nei mesi recenti, armi occidentali hanno cominciato a entrare in Ucraina a flussi regolari, in segno di sfida, davanti al mondo intero. E sappiamo molto bene in cosa i consiglieri stranieri stiano aiutando le forze armate e i servizi segreti dell’Ucraina.
Negli anni recenti, con il pretesto delle esercitazioni, contingenti militari dei Paesi Nato sono stati presenti in maniera quasi costante nel territorio dell’Ucraina. Il sistema di controllo e comando delle truppe ucraine è stato già integrato in quello della Nato. Questo significa che il comando delle forze armate ucraine, anche a livello di unità e subunità, può essere direttamente esercitato dai quartieri generali della Nato.
Gli Stati Uniti e la Nato hanno cominciato a trasformare il territorio dell’Ucraina in un potenziale teatro di operazioni militari. Gli esercizi congiunti che hanno cadenza regolare hanno un chiaro focus antirusso. Soltanto l’anno scorso, più di 23mila persone vi hanno preso parte.
Una legge è stata già adottata, nel 2022, sull’ammissione delle forze armate di altri Paesi nel territorio dell’Ucraina per partecipare a esercitazioni multinazionali. Ed è chiaro che stiamo parlando primariamente di truppe della Nato. E il prossimo anno sono previste almeno dieci manovre congiunte.
È ovvio che tali eventi servano per mascherare il rapido ammassamento di un dispositivo militare della Nato sul territorio ucraino. Inoltre, l’insieme delle strutture per il trasporto aereo potrebbe, con l’aiuto americano, rendere possibile il trasferimento di unità militare in breve tempo. Lo spazio aereo dell’Ucraina è aperto a voli strategici e di ricognizione degli Stati Uniti, e aerei a pilotaggio remoto vengono impiegati per monitorare il territorio della Russia.
E aggiungo che il Centro per le operazioni navali di Ochakovo, costruito dagli americani, possibilità di azioni da parte della flotta Nato, incluso l’uso di armi ad alta precisione contro la Flotta russa del Mar Nero e contro la nostra intera infrastruttura costiera.
Un tempo, gli Stati Uniti intendevano creare simili strutture anche in Crimea, ma i crimeani hanno mandato all’aria questi piani. Lo ricorderemo per sempre.
Ripeto: un centro simile è già in essere, è stato già costruito a Ochakovo. Lasciate che vi ricordi che nel 18esimo i soldati di Aleksandr Suvorov combatterono per questa città. Ed è grazie al loro coraggio che diventò parte della Russia. Poi, nel 18esimo secolo, le terre della regione del Mar Nero, inglobate dalla Russia a seguito delle guerre con l’Impero ottomano, assunsero il nome di Novorossiya. E oggi vorrebbero condurre queste pietre miliari di storia nell’oblìo, insieme ai nomi dei militari dell’Impero russo, senza il cui sacrificio l’Ucraina moderna non avrebbe né tante grandi città e neanche uno sbocco nel Mar Nero.
Di recente è stato demolito un monumento ad Aleksandr Suvorov a Poltsava. Cos’avete da dire? Volete rinunciare al vostro passato, all’eredità dell’Impero russo?
Inoltre. Vorrei farvi notare che l’articolo 17 della Costituzione dell’Ucraina non consente la presenza di basi militari straniere sul suo territorio. Ma è saltato fuori che si tratti di una convenzione piuttosto facile da aggirare. In Ucraina si trovano missioni di addestramento della Nato. E queste, nei fatti, sono delle basi militari straniere. Soltanto che chiamano le basi missioni – e il gioco è fatto.
Kiev ha proclamato a lungo la volontà di aderire alla Nato. Sì, certamente, ogni Paese ha il diritto di scegliere il proprio sistema di sicurezza e di concludere alleanze militari. Ma c’è un “ma”. I documenti internazionali statuiscono espressamente il principio della sicurezza equa e indivisibile, che, come è noto, include l’obbligo a non rafforzare la sicurezza di uno stato a spese della sicurezza degli altri stati. Potrei anche fare riferimento alla Carta per la Sicurezza europea dell’OSCE del 1999, adottata a Istanbul, e alla Dichiarazione dell’OSCE di Astana del 2010.
In altre parole: la scelta di tutelarsi non dovrebbe porre una minaccia agli altri stati, e l’entrata dell’Ucraina nella Nato è una minaccia diretta alla sicurezza della Russia.
Lasciate che vi ricordi che nell’aprile 2008, al vertice dell’Alleanza Atlantica di Bucarest, gli Stati Uniti enunciarono la volontà che Ucraina e Georgia diventassero dei membri della Nato. Molti alleati europei degli Stati Uniti erano a conoscenza di tutti i rischi di una tale prospettiva, ma furono forzati ad aderire ai voleri del loro partner maggiore. Gli americani semplicemente li utilizzavano per perseguire una pronunciata politica antirussa.
Molti stati membri dell’Alleanza continuano a essere scettici circa l’entrata dell’Ucraina nella Nato. Al tempo stesso, riceviamo segnali da alcune capitali europee di questo tipo: “qual è il problema? Non succederà domani”. Si tratta della risposta dei nostri partner americani. “Beh”, rispondiamo noi, “se non domani, allora sarà dopodomani. Ma cosa cambia questo da una prospettiva storica? Nulla, in sostanza”.
Per di più, conosciamo la posizione e le parole della dirigenza degli Stati Uniti, per i quali le ostilità in corso nell’Ucraina orientale non escludono la possibilità che il Paese aderisca alla Nato nel caso soddisfi i requisiti dell’Alleanza Atlantica e sconfigga la corruzione.
Al tempo stesso, cercano di convincerci di continuo che la Nato è un’alleanza puramente difensiva e amante della pace. Ossia: non pone nessuna minaccia alla Russia. Ci offrono la loro parola. Ma sappiamo quanto valgano queste parole. Nel 1990, in occasione del dibattito sull’unificazione della Germania, alla dirigenza sovietica fu promesso dagli Stati Uniti che non ci sarebbe stata nessuna espansione della giurisdizione e della presenza militare della Nato di un millimetro più ad est. Esattamente questo.
Parlarono, diedero rassicurazioni verbali, e tutto si rivelò un contenitore di frasi vuote. Più tardi, iniziarono a rassicurarci sul fatto che l’entrata nella Nato dei Paesi dell’Europa centro-orientale avrebbe migliorato le relazioni con Mosca, liberandoli dalle paure di una pesante eredità storica, e che, di nuovo, si sarebbe venuta a creare una cintura di stati amichevoli verso la Russia.
È accaduto esattamente l’opposto. Le autorità di alcuni Paesi est-europei, facendo leva sulla russofobia, hanno portato i loro complessi e gli stereotipi sulla minaccia russa direttamente nell’Alleanza, insistendo sul rafforzamento delle potenzialità della difesa collettiva, che avrebbe dovuto essere dispiegata principalmente contro la Russia. Inoltre, questo accadde durante gli anni Novanta e i primi anni Duemila, quando, grazie all’apertura e alla nostra buona volontà, le relazioni tra Russia e Occidente erano ad un livello alto.
La Russia ha rispettato i propri obblighi, incluso il ritiro delle truppe dalla Germania, dagli stati dell’Europa centro-orientale, e ha dato un enorme contributo al superamento dell’eredità della Guerra fredda. Abbiamo proposto varie opzioni a scopo di cooperazione, incluso un formato Nato-Russia e in sede Osce.
Inoltre, dirò qualcosa adesso che non ho mai detto pubblicamente, la dirò per la prima volta. Nel 2000, durante una visita a Mosca dell’uscente presidente americano Bill Clinton, gli chiesi: “Come si sentirebbe l’America ad avere la Russia nella Nato?”.
Non rivelerò tutti i dettagli di quella conversazione, ma la reazione alla mia domanda era sembrata, diciamo, molto contenuta, e come gli americani realmente hanno reagito a quest’opportunità può essere visto nelle loro azioni pratiche verso il nostro Paese. Come il supporto aperto ai terroristi nel Caucaso settentrionale, l’indifferenza alle nostre domande e alle nostre preoccupazioni per la sicurezza a causa dell’espansione della Nato, il ritiro dal Trattato anti-missili balistici, e così via. Uno vorrebbe chiedersi: perché, perché tutto questo, per cosa? Non vogliamo che ci vediate come degli amici e degli alleati, ma perché fare di noi dei nemici?
Esiste una sola risposta: non si tratta del nostro regime politico, non riguarda qualcosa di altro, semplicemente non vogliono un Paese indipendente tanto grande come la Russia. Questa è la risposta a tutte le domande. Questa è la fonte della tradizionale politica americana verso la Russia. Da qui l’approccio a tutte le nostre proposte nel campo della sicurezza.
Oggi, è sufficiente uno sguardo alla mappa per vedere quanto i Paesi occidentali abbiano mantenuto le loro promesse di evitare l’espansione a est della Nato. Il loro è stato un inganno. Abbiamo assistito a cinque ondate espansive della Nato, una dopo l’altra: nel 1999 Polonia, Repubblica Cececa, Ungheria, nel 2004 Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia, nel 2009 Albania e Croazia, nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia del Nord.
Il risultato è stato che l’infrastruttura militare dell’Alleanza è giunta sino ai confini della Russia. E questo è uno dei fattori-chiave della crisi securitaria europea, avendo avuto un impatto perlopiù negativo sull’intero sistema delle relazioni internazionali e conducendo alla perdita di fiducia reciproca.
La situazione continua a deteriorare, inclusa nella sfera strategica. Inoltre, Romania e Polonia, come parte di un progetto americano per la creazione di un sistema di difesa missilistico globale, stanno schierando sistemi antimissilistici sui loro territori. Ed è risaputo che quelle postazioni, lì localizzate, possono essere utilizzate per lanciare dei missili da crociera Tomawahk – un sistema per attacchi di natura offensiva.
In aggiunta, gli Stati Uniti stanno sviluppando il missile universale Standard-6, che, una volta risolti i problemi nella difesa aerea e nella difesa missilistica, potrebbe colpire obiettivi sia a terra sia in superficie. Ovvero: man mano che il presunto sistema di difesa missilistico degli Stati Uniti si espande, nuove capacità offensive vanno emergendo.
Le informazioni in nostro possesso ci danno ragione di credere che l’entrata dell’Ucraina nella Nato e il successivo schieramento di strutture Nato siano una conclusione prevedibile, una questione di tempo. E sappiamo bene che in un tale scenario, il livello delle minacce militari alla Russia aumenterebbe drammaticamente, molto di più rispetto a oggi. E, a questo dedico speciale attenzione, il pericolo di un attacco improvviso contro il nostro Paese aumenterà di molte volte.
Lasciate che vi spieghi che i documenti (i documenti!) di pianificazione strategica degli Stati Uniti contengono la possibilità dell’attacco preventivo contro i sistemi missilistici nemici. E chi sia il nemico principale di Stati Uniti e Nato lo sappiamo anche: è la Russia. Nei documenti Nato, si dichiara ufficialmente e direttamente il nostro Paese come la minaccia principale alla sicurezza euroatlantica. E l’Ucraina servirà come trampolino di lancio per questo attacco. Se i nostri antenati lo avessero saputo, probabilmente non ci avrebberoro creduto. E oggi non vogliamo crederci neanche noi, ma è vero. Voglio che questo sia inteso sia in Russia sia in Ucraina.
Molti aeroporti ucraini sono localizzati in prossimità dei nostri confini. L’aviazione tattica della Nato ha stazionato qui, inclusi i trasportatori di armi ad alta precisione, e sarebbe capace di colpire il nostro territorio fino alle profondità della linea Volgograd-Kazan-Samara-Astrakhan. Il dispiegamento di assetti per il riconoscimento a mezzo radar sul territorio ucraino consentirebbe alla Nato di controllare da vicino lo spazio aereo della Russia fino agli Urali.
Infine, dopo che gli Stati Uniti hanno stracciato il Trattato sulle forze nucleari a medio raggio, il Pentagono ha sviluppato un’intera gamma di armamenti da attacco dal suolo, inclusi missili balistici capaci di raggiungere obiettivi ad una distanza di 5.500 chilometri. Se questi sistemi venissero installati in Ucraina, sarebbero capaci di colpire oggetti dal territorio della Russia europea a oltre gli Urali. Il tempo di volo verso Mosca per un missile da crociera Tomahawk sarebbe inferiore ai 35 minuti, per un missile balistico dalla regione di Kharkov 7-8 minuti, e per un missile ipersonico 4-5 minuti. Questo si chiama avere il “coltello alla gola”. E loro, senza dubbio, si aspettano di realizzare questi piani, come hanno ripetutamente fatto negli anni scorsi, espandendo la Nato verso est, muovendo infrastruttura ed equipaggiamento militare lungo i confini russi e ignorando completamente le nostre preoccupazioni, le nostre proteste e i nostri moniti.
E, certamente, loro hanno anche intenzione di continuare a comportarsi secondo il noto detto: i cani abbaiano e la carovana passa. Lo dirò chiaramente: non siamo d’accordo su questo e mai lo saremo. Al tempo stesso, la Russia ha sempre sostenuto e sostiene che i problemi più difficili possono essere risolti con metodi politici e diplomatici, al tavolo negoziale.
Siamo ben consapevoli della nostra colossale responsabilità per la stabilità regionale e globale. Nel 2008, la Russia avanzò la proposta di concludere un Trattato di sicurezza europea. L’obiettivo era di impedire che singoli stati ma anche organizzazioni internazionali come l’Alleanza Atlantica potessero rafforzare la loro sicurezza a detrimento altrui. Ad ogni modo, la nostra proposta fu rigettata di punto in bianco: è impossibile, dissero, permettere alla Russia di limitare le attività della Nato. Inoltre, ci fu detto esplicitamente che soltanto i membri dell’Alleanza Atlantica possono avere delle garanzie securitarie legalmente vincolanti.
Lo scorso dicembre, abbiamo consegnato ai nostri partner occidentali una bozza di trattato tra la Federazione russa e gli Stati Uniti sulle garanzie per la sicurezza, insieme ad una bozza di accordo su misure per garantire la sicurezza della Federazioen russa e degli stati membri della Nato.
Tante le parole comuni nelle risposte provenute da Stati Uniti e Nato. Tutto riguardava i punti secondari, sembrava un tentativo di alterare gli argomenti, di divergere la discussione.
Abbiamo risposto in maniera appropriata, evidenziando che siamo pronti a seguire la strada della negoziazione, ma a condizione che tutti i punti vengano discussi come un insieme, come un pacco, senza essere separati l’uno dall’altro. E i punti erano tre. Il primo: evitare un’ulteriore espansione della Nato. Il secondo: il rifiuto dell’Alleanza di dispiegare sistemi di arma offensivi lungo i confini russi. E, infine, il ritorno all’infrastruttura e al potenziale militare del blocco precedente al 1997, quando l’accordo fondativo Russia-Nato fu siglato.
Sono precisamente queste proposte fondamentali da parte nostra che sono state ignorate. I partner occidentali, ripeto, ancora una volta hanno espresso le formule preconfezionate sul fatto che ogni stato ha il diritto di scegliere liberamente come garantire la propria sicurezza e di entrare in alleanze e alleanze militari. In pratica, la loro posizione non è cambiata di un millimetro, neanche sulla famigerata politica della porta aperta della Nato. Per di più, stanno nuovamente cercando di minacciarci, ci minacciano di nuovo con le sanzioni, che, se introdotte, non faranno che rafforzare la sovranità della Russia e la forza del nostro esercito. E un pretesto per un altro attacco a base di sanzioni può sempre essere trovato, o semplicemente fabbricato, al di là della situazione in Ucraina. L’obiettivo è soltanto uno: rallentare lo sviluppo della Russia. E lo faranno, come hanno fatto in passato, anche senza un pretesto formale.
Vorrei dirlo chiaramente e direttamente: alla situazione attuale, con le nostre proposte per un dialogo equo su temi fondamentali che sono rimaste senza una risposta da parte degli Stati Uniti e della Nato, con il livello di minacce al nostro Paese che va crescendo in maniera significativa, la Russia ha tutto il diritto di adottare misure ritorsive a garanzia della propria sicurezza. Ed è precisamente questo che faremo.
Per quanto riguarda lo stato delle cose nel Donbass, vediamo che l’élite al governo a Kiev dichiara pubblicamente e costantemente di non essere intenzionata a implementare il Pacco di misure di Minsk per risolvere il conflitto, e che non è interessata a una soluzione pacifica. Al contrario, sta cercando di organizzare un nuovo blitzkrieg nel Donbass, come già accaduto nel 2014 e nel 2015. E ricordiamo quale esito abbiano avuto tali avventure.
Oggi non si ha un giorno, in pratica, che passi senza che vengano bombardati dei villaggi nel Donbass. I gruppi militari utilizzano costantemente droni, armi pesanti, razzi, artiglieria e lanciarazzi. L’assassinio di civili, gli abusi contro le persone, inclusi bambini, donne e anziani, non si fermano. E non intravediamo la fine di tutto questo.
E il cosiddetto mondo civile, dei quali i nostri colleghi occidentali si sono autoproclamati gli unici rappresentanti, preferiscono non dare notizia di questo, come se tutto questo orrore, il genocidio, al quale sono esposte quasi quattro milioni di persone, non esistesse, e soltanto perché queste persone non hanno supportato il colpo di stato supportato dall’Occidente in Ucraina nel 2014, opponendosi alla salita negli alti ranghi dello stato di nazionalisti e neonazisti. E perché stanno combattendo per i loro diritti elementari – vivere nella propria terra, parlare la propria lingua, preservare la propria cultura e tradizioni.
Quanto a lungo potrà questa tragedia continuare? Quanto a lungo potrete sopportarla? La Russia ha fatto di tutto per preservare l’integrità territoriale dell’Ucraina, lavorando pazientemente e insistentemente per l’implementazione della Risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha consolidato il Pacchetto di misure del Gruppo di Minsk del 12 febbraio 2015, al fine di risolvere la situazione nel Donbass.
Tutto è stato vano. I presidenti e i deputati della Rada cambiano, ma l’essenza, il carattere aggressivo e nazionalistico, del regime che ha assunto il controllo di Kiev non cambia. È un prodotto del colpo di stato del 2014, e coloro che hanno intrapreso il percorso della violenza, dello spargimento di sangue, dell’illegalità non riconoscevano e non riconoscono altra soluzione alla questione del Donbass, eccetto che quella militare.
A questo proposito, ritengo necessario prendere la decisione attesa da tempo di riconoscere immediatamente l’indipendenza e la sovranità delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk.
Chiedo all’Assemblea federale della Federazione russa di supportare questa decisione e di ratificare il Trattato di amicizia e mutua assistenza con entrambe le repubbliche. Questi due documenti verranno preparati e firmati nel prossimo futuro.
E a coloro che hanno assunto e detengono il potere a Kiev, chiediamo l’immediata cessazione delle ostilità. Altrimenti, ogni responsabilità per la possibile continuazione dello spargimento di sangue ricadrà interamente sulla coscienza del regime al governo nel territorio dell’Ucraina.
Confido che le decisioni prese oggi riceveranno il supporto dei cittadini della Russia e di tutte le forze patriottiche del Paese.
Grazie per la vostra attenzione”.
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