A CITTA’ SANT’ANGELO, ITALIA NOSTRA CERCA DI PRESERVARE IL DIALETTO LOCALE

La rivoluzione informatica ha certamente reso il mondo un posto più piccolo: i nostri ragazzi, infatti, possono tranquillamente chattare e parlare, con coetanei residenti in ogni parte del mondo.

Attraverso i collegamenti aerei, poi o progetti come l’”Erasmus”, piuttosto che il “Progetto Marco Polo”, così come il “Programma Fulbright”, i nostri giovani possono ritrovarsi a vivere, lavorare e studiare, fianco a fianco, con i loro coetanei finlandesi, cinesi, americani, piuttosto che spagnoli o turchi.

Insomma il mondo è diventato veramente un villaggio globale e a seguito della Pandemia, la consapevolezza che nessuno possa salvarsi da solo, è ora più che mai presente in ognuno di noi; tuttavia, tutte queste belle premesse non rappresentano altro che una delle due facce della medaglia.

L’altra, quella più nera e fosca della globalizzazione, è l’appiattimento culturale, l’omologazione di tutto il genere umano, ad un unico grande modus vivendi.

In altri termini usi, costumi, tradizioni, lingue, abitudini alimentari, altro non sono che orpelli, zavorre che ostacolano questo progresso.

In buona sostanza, per questa inesorabile globalizzazione, tutti dovremmo consumare gli stessi alimenti (ed in parte già è così con le tanche catene di ristorazione che, fanno si che i ragazzi mangino le stesse cose, in barba alla cucina tradizionale, da Oslo fino a Sidney, da Tokio a Los Angeles), tutti dovremmo vestire allo stesso modo (e nelle grandi città già e così, infatti, sia nei centri commerciali, che, nei negozi d’abbigliamento, in centro, ritroviamo in vendita sempre e solo le stesse marche d’abbigliamento), ma soprattutto, tutti dovremmo parlare la stessa lingua.

A tal riguardo si è fatto un grande lavoro nella scuola italiana per far si che i nostri studenti, come i propri colleghi comunitari e non solo, studiassero l’inglese fin dalla scuola d’infanzia e quindi diventassero bilingue.

Sommessamente, però, dovremmo ricordare che, in Paesi più avanzati di noi su questa frontiera, come la Germania, piuttosto che l’Olanda o i Paesi Scandinavi, la lingua nazionale è quasi completamente scomparsa, in altri termini, in Germania, gli eredi di Kant e Goethe, quasi non parlano più il tedesco.

Certo, in Italia non siamo ancora arrivati a questi livelli, ma è fuori di dubbio che le grandi vittime, degli ultimi anni, sono stati certamente i vari dialetti regionali.

Relegati dalla società contemporanea come linguaggio usato da parte dei ceti più bassi e poveri, della popolazione italiana, in realtà, i vari dialetti regionali, hanno pari dignità della lingua nazionale, l’italiano.

Non a caso, uno dei più grandi scrittori e poeti italiani del 900, Pier Paolo Pasolini, scrisse a tal riguardo: “Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà” infatti “la verginità del dialetto, con quanto di equivoco può in essa sussistere, correda subito di una ragione poetica … gli oggetti che semplicemente vengono. […] Per quanto mediocre essa sia … pone sempre di fronte a un fatto compiuto, con tutta la fisicità di una nuvola o di un geranio” ed ancora “la differenza esterna tra l’uso del dialetto nella poesia e l’uso del dialetto nella narrativa è che nel primo caso è totale, nel secondo variamente parziale, frammentario. […] Nella letteratura, il dialetto può entrare – a incastro, a inserzione, a reagente – con due diverse funzioni: una che potremmo chiamare soggettiva, e un’altra oggettiva. Del primo caso abbiamo un esempio così tipico e clamoroso, che basta da solo a colmare un piatto della bilancia. È il caso di Carlo Emilio Gadda … nella mimetizzazione del suo monologo interiore: chi monologa è Gadda. … Gadda s’impossessa con una vorace zampata di un brandello di anima dialettale-realistica e la schiaffa sanguinolenta e piccante nel mosaico. L’altro caso, quello a funzione oggettiva … comprende la produzione neorealistica, ed è di origine e forma interna verghiana … Da ciò risulta chiara la sua funzione oggettiva: il calarsi cioè dell’autore al livello del suo oggetto”.

I nostri dialetti hanno una loro grammatica, hanno una loro storia ed è solo un caso che la nostra lingua nazionale sia derivata principalmente dal dialetto toscano, lingua d’origine del Sommo Poeta, Dante Alighieri, piuttosto che dal siciliano, lingua principale della cosiddetta “Scuola Siciliana”, corrente letteraria, quest’ultima, antecedente al Dolce Stil Novo, e rappresentata da personaggi del calibro quali, ad esempio, Jacopo da Lentini e Cielo d’Alcamo.

L’abruzzese, il toscano, il friulano, il veneto, sono tutte vere e proprie lingue, con una propria dignità e bellezza, e per la precisione, romanze, come, d’altronde, l’italiano.

Ed è quindi un peccato che, in nome di una presunta modernità, esse vengano dimenticate e cancellate dalle future generazioni.

A tal riguardo è senz’altro meritoria un’iniziativa portata avanti in Abruzzo da una sezione di Italia Nostra, quella di Città Sant’Angelo, dove, presso il Teatro Comunale di uno dei Borghi più belli d’Italia, si sta tenendo una tre giorni sulla “DIFFUSIONE E CONOSCENZA DEL DIALETTO ANGOLANO”.

Protagonisti dell’evento, oltre la sezione dell’associazione crociana, sono gli studenti del locale Istituto Omnicomprensivo.

A tal riguardo la Presidentessa della Sezione di Italia Nostra, la Sig.ra Gabriella Valentini, si è così pronunciata: “Negli ultimi trent’anni, purtroppo, il Dialetto è stato bandito dalle famiglie…parlare dialetto è come se sminuisse e classificasse in negativo le persone…ma non è così! … Il Dialetto rappresenta la nostra carta d’identità, ci identifica …ci dice chi siamo e da dove veniamo…il Dialetto collega ognuno di noi alla storia, alla geografia, all’antropologia (usi – costumi e tradizioni) …ci fa sentire parte di una comunità e risalire al nostro DNA. Il Dialetto fa parte del nostro bagaglio culturale e, come tale, deve essere tramandato e mai dimenticato. Ecco perché la scomparsa dei dialetti ci impoverisce…cancellando nel tempo quella diversità che è stata fondamentale e preziosa risorsa del genere umano. Il Dialetto è stato riconosciuto “patrimonio culturale dell’umanità”, per questo non dimentichiamo mai che si può essere cittadini del mondo pur conservando le proprie origini! Il Dialetto però continuerà ad esistere se verrà usato e valorizzato…se tante persone lo adotteranno come lingua di comunicazione… se il senso di appartenenza avrà sempre dentro di noi un posto d’onore! … La Sezione di ITALIA NOSTRA di Città Sant’Angelo, ha inteso portare nelle Scuole questo progetto affinché i ragazzi, travolti dal linguaggio dei social e depistati da una discutibile convinzione delle famiglie che ritengono il Dialetto un modo scorretto di esprimersi, comprendano appieno l’importanza della salvaguardia della storia, della cultura, delle tradizioni del territorio di appartenenza e scoprano, con orgoglio, le loro radici, conservando … divulgando … e parlando il Dialetto che li identifica”.

Parole sagge, quelle della Valentini, che ci fanno ben sperare in un mondo in cui, i vari dialetti italiani, in qualità di baluardo della nostre tante piccole storie locali, possano ancora avere un futuro.

D’altronde, se, in un libro pieno di insegnamenti etici come la Sacra Bibbia, attraverso il racconto della Torre di Babele, Dio ci ha mostrato la propria predilezione per la diversità linguistica, un motivo ci sarà …

Lorenzo Valloreja   

One Response to A CITTA’ SANT’ANGELO, ITALIA NOSTRA CERCA DI PRESERVARE IL DIALETTO LOCALE

  1. Gabriella Valentini ha detto:

    Condivido appieno l analisi di. Lorenzo valloreia ed aggiungo che. La. Diversita’ umana e l unica. Arma contro la deflagrazione del. Pensiero .Italia nostra csa merita veramente un. Plauso

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