LE TRAGICHE IPOCRISIE E LA FEBBRE ESPANSIONISTICA DEL SISTEMA EUROATLANTISTA SI CONSUMANO SULLA PELLE DEGLI ULTIMI, SUL CONFINE BIELORUSSO-POLACCO
Cerchiamo di capire qualcosa di più nel complesso puzzle della crisi sull’asse Varsavia-Minsk.
Origine storica: l’eterna rivalità e l’inevitabile attrito slavo-germanico proiettato sulle immense vastità, che superata la catena degli Urali non finiscono che sulle sponde dell’Oceano Pacifico settentrionale, a nord del Giappone via mare e della Cina via terra. E’ su questo immenso blocco euroasiatico che si decide la grande storia degli ultimi, esattamente, duecentonove anni (li conto dal 1812, anno di inizio del disastro russo di Napoleone). E’ esattamente in questa chiave, che vanno inquadrate le telefonate tra Angela Merkel e Vladimir Putin, già intelligentemente analizzate dal nostro direttore; senza scomodare i cavalieri teutonici, o i tedeschi del Don, o l’ “impero” polacco-lituano degli Jagelloni, altrimenti ci vorrebbe un bel trattato.
In sintesi estrema: abbiamo da un lato una super potenza nucleare che dopo la caduta del Muro di Berlino gli elaboratori della politica estera euroatlantista si ostinano a definire “potenza regionale” (alla faccia, ma dell’Europa o dell’Asia…?), e dall’altro uno strano conglomerato sovrastatuale detto Unione europea che tutto sommato stenta a eliminare gli stati membri, e che li vorrebbe fagocitare del tutto. Questo fu creato nel dopoguerra per prevenire altre guerre disastrose, ma nell’ottica di un condominio franco-tedesco; tutto il resto è propaganda. E’ chiaro quindi, alla luce di quanto sopra, che i rapporti con la Russia sono realmente gestiti da Berlino, certo sentita Parigi e soprattutto Washington (non dimentichiamo la capitale dell’ euroatlantismo); e bontà sua, informando e rendendo partecipi i vari ascari di Roma, Madrid, Lisbona, Atene ecc. Da questo punto di vista, a Mosca è tutto più semplice: al massimo può essere il caso che senta cosa ne pensa Pechino, ma entrambe (Russia e Cina) sono gli ultimi grandi stati indipendenti; non lo sono in un certo senso, neanche gli USA, in fondo anch’essi sotto il tacco della NATO.
Crollata l’Unione Sovietica, ogni repubblica di tale unione divenne, con un automatismo un po’ assurdo, indipendente tra la sera e il mattino successivo. Tra cui anche la Bielorussia, più o meno a forza pur essendo “ la più russa assieme alla Russia”. E Ucraina, Moldavia, Estonia, Lettonia, Lituania, ecc. . Esse, assieme ai paesi di quello che fu il blocco del socialismo reale a sudditanza sovietica, avrebbero dovuto costituire dai primi anni Novanta, un cospicuo blocco di stati cuscinetto tra il sistema euroatlantico e la Russia ex sovietica. Ma fallita l’annessione clintoniana della Russia a causa della rinascita russa sotto Putin, gli occidentali hanno fagocitato quasi tutti gli stati cuscinetto, con notevole arroganza e spregio delle regole diplomatiche classiche, attraverso due fondamentali strumenti di controllo: appunto, Nato (militarmente) e Unione europea (per tutti gli altri aspetti). Addirittura, si deve solo al buon senso e alla sostanziale moderazione russa se altri stati cuscinetto (Donbass, Transnistria) sono stati creati proprio per evitare il peggio, e naturalmente, sempre secondo lo stile di Bruxelles e Berlino improntato a unilateralismo e volgare filosofia dell’asso pigliatutto nella manica del baro, essi sono non riconosciuti ed economicamente aggrediti anche a livello di farmaci e alimentari.
Se l’Ucraina ha visto l’opera dell’annessionismo occidentalista da anni in mezzo a un pantano appiccicoso perché lì la Russia ha dovuto necessariamente reagire riprendendosi tra l’altro la Crimea dove stava per scatenarsi la caccia alla maggioranza russofona, è al confine della Bielorussia che la marea blustellata si è, finora irrimediabilmente, bloccata. Nonostante UE e NATO abbiano persino preparato la lista dell’ auspicato nuovo governo bielorusso, nonostante abbiano scatenato e finanziato le solite “manifestazioni per la democrazia”, e nonostante non abbiano riconosciuto la rielezione di Lukashenko dato che si arrogano di controllare le elezioni in tutto il mondo (e come se da nessuna parte in Europa avvengano brogli e condizionamenti del voto, peraltro esso sempre più per pochi intimi). E nonostante ormai, veda la sua politica verso Russia e Bielorussia come una questione di quali e quante sanzioni decretare. Salvo poi scandalizzarsi e allarmarsi verso le ritorsioni esattamente speculari della dirigenza moscovita.
Da qualche giorno, però, subentra a complicare il tutto, il fattore Polonia unito…a quello Afghanistan. Certo, perché si è amalgamato il primo disastro in politica estera di Biden con la ambiguità di una Polonia che un mese è ai ferri corti con Bruxelles sfiorando la “Polexit” (e abbiamo già esternato a riguardo tutta la possibile simpatia), e che il mese dopo, non appena ha qualche problema con Russia o dintorni, scappa strepitando in quel di Bruxelles e Washington, magari sperando persino in un attacco nucleare. Sono probabilmente riflessi condizionati di un vissuto storico, anche non remoto (vedi fosse di Katyn); le possiamo comprendere, però mi pare che anche guardando verso la Germania, la Polonia dovrebbe avere ricordi inquietanti. Il nazionalismo polacco è vagamente sospetto di infiltrazione da parte dei “soliti noti”, nel suo strabismo; proprio come quello ucraino, d’altronde. Noto che le oceaniche folle nazionaliste fanno notizia se bruciano bandiere europee, ma non quando gridano incitamenti a sparare contro dei poveri disgraziati affamati, infreddoliti, letteralmente senza una patria.
Comunque sia, da una settimana circa, migliaia di profughi afghani o non meglio identificati, premono sul confine della Bielorussia contro la Polonia. Da dove sono arrivati? Che percorso hanno seguito, quale rotta aerea e/o navale? Ci sono dietro delle ONG ? O proprio dei governi? La Turchia ci ha messo lo zampino? E’ difficile rispondere a queste domande, data la caoticità, l’anomalia della situazione e chiare veline di reticenza delle agenzie di stampa main stream.
Accusa della Polonia, tornata intrepido bastione orientale dell’Europa “dalla parte giusta”, nonostante non ricordo quanti milioni al giorno di multe dall’eurocrazia: attraverso un’incredibile marcia euroasiatica e la complicità (ovviamente) di Vladimir Putin e di vari ed eventuali, il tiranno di Minsk ci scarica questi afghani per “destabilizzare” noi e tutta l’Europa. Accusa francamente nebulosa, isterica e paradossalmente slavofoba.
Cosa dire? Evidentemente, il rispetto della parola data anche se non scritta (i cari vecchi gentlemen’s agreements) e uno straccio di coerenza morale e ideologica sono patetici, anacronistici, in fondo ridicoli nella furba, territorialmente bulimica Europa delle banche e della finanza usuraia: a maggior ragione in tempi di pandemia e “nulla sarà come prima”. Alludo all’ impegno di Francia, Gran Bretagna e USA nel 1990 a non invadere il “cortile di casa russo” in via di decomunistizzazione, quando la Germania si riunificò e questi assiema alla Russia, si ritirarono dalle rispettive zone berlinesi di occupazione.
Ma anche alla retorica immigrazionista che grida allo scandalo e ai “comuni valori occidentali”, ai diritti umani, all’ accoglienza e inclusione bla bla bla quando le navi delle ONG si presentano con i loro carichi umani dinanzi ai porti siciliani. E che però, dinanzi alle maniere più che decise delle forze polacche, si gira dall’altra parte. E in una intervista alla televisione russa Rossiya 24, infatti, Vladimir Putin ha buon gioco nell’ affermare: “Quando al confine tra la Bielorussia e la Polonia le guardie di frontiera e i militari polacchi picchiano questi migranti, sparano con armi da combattimento sopra le loro teste e accendono sirene e luci di notte nei luoghi dove alloggiano, dove ci sono bambini e donne negli ultimi mesi di gravidanza… Ebbene, questo non è proprio in linea con le idee di umanesimo che sono presumibilmente il fondamento della politica dei nostri vicini occidentali”.
E il Vaticano tace. Questi, forse, non sono migranti degni di accoglienza? Eppure, la Polonia vive una stagione di cattolicesimo ben poco bergogliano.
Quanta ipocrisia. Che tragica, immensa ipocrisia. E non solo dell’eurocrazia.
A. Martino
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