LA FOLLIA DELLA CANCEL CULTURE COLPISCE AL CUORE I SIMBOLI DEL VECCHIO, ORGOGLIOSO SUD. RIMOSSA LA STATUA DEL GENERALE LEE A RICHMOND.

Robert Edward Lee (1807-1870) ebbe l’enorme onere, più che l’onore, del comando supremo delle truppe della Confederazione americana (dette sudiste) che tra il 1861 e il 1865 si opposero con valore e disperata determinazione alle armate unioniste (dette nordiste).

La lotta fu impari a causa dell’apparato industrial-militare del Nord, e un po’ come per i nostri eroi di El Alamein, nella guerra di secessione (o guerra civile) americana mancò ai soldati in uniforme grigio-cenere la fortuna, non il valore. Quando Lee ratifico la resa dell’Armata del Potomac, in un certo senso videro la luce i nuovi Stati Uniti d’ America: meno gentiluomini e molto più affaristi, e fu la campana a morto per i nativi americani di “pelle rossa”. Ogni energia (e affare militare) fu concentrata nella loro cancellazione dalla geopolitica del Nuovo Mondo.

La rigida osservanza del liberalismo massonico divenne lentamente la religione laica degli USA (insomma i primordi del Pensiero Unico), laddove prima vi era stato solo un esoterismo massonico di fondo nelle simbologie architettoniche della capitale, e nella mitizzazione liberomuratoria dello stesso padre della patria George Washington; nonché indubbiamente, nella stesura costituzionale. La rivoluzione francese, forse, non sarebbe mai avvenuta senza quella americana contro la Corona inglese.

La polemica antischiavistica (foglia di fico dell’espansionismo capitalista degli stati del Nord contro il Sud cotoniero e in effetti schiavistico), solo nella seconda metà del Ventesimo secolo si tramutò nel veleno del politicamente corretto. Ma nella Storia, specie quando non si conoscono rivoluzioni ufficiali come nel caso della vita USA, le cesure traumatiche sono molto graduali. Ed eccoci al Black lives matter, agli inginocchamenti e alla Cancel culture.

Per oltre un secolo e mezzo, l’America glorificò il vincitore unionista e i suoi ideali (come sempre reali o presunti). Ma fu ammirevole l’esser riusciti a conciliare ciò con l’assoluto rispetto per i vinti, non proprio glorificati ma certo dal valore onorato: nel folklore, nel cinema e nella letteratura come nell’ arredo monumentale urbano. Figuratevi se i caduti borbonici fossero stati così onorati qui da noi in tal modo, creando una memoria risorgimentale condivisa.

Era assolutamente normale, che Richmond capitale della Virginia e del Vecchio Sud, avesse nel suo centro un così imponente, e artisticamente non da poco, omaggio al vecchio Lee che trascorse la sua vecchiaia in onorata serenità non perdendo occasione di invitare alla riconciliazione nazionale.

Questi pazzi fanatici e ignoranti forse, stanno già facendo a pezzi il bronzo che dal 1890, con lo sguardo pacato e signorile da Marco Aurelio del Nuovo Mondo, dominava il traffico di Richmond.  

Povera America. Quando avrà il nuovo John Wilkes Booth? A proposito di costui, chi vuole si documenti su quello che la sera del 14 aprile 1865 compì al Ford Theater in Washington: “Sic semper tyrannis” !

A. Martino

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