IL DISASTRO DELL’AFGHANISTAN. OVVERO, L’ENNESIMO TRIONFO DELLA DEEP DIPLOMACY SULLA PELLE DEI POPOLI.

Figuratevi se qui a L’ Ortis qualcuno nutra simpatie per Joe Biden: sarebbe un po’ come  settacciare il Po per trovarvi una pagliuzza di oro.

Però, caricarlo della croce del ritiro dall’ Afghanistan è non solo fazioso ma storicamente falso. Unicuique suum: all’ attuale Casa Bianca innanzitutto non si può imputare la paternità dell’intera operazione Afghanistan, come di certo non al più diretto predecessore Donald Trump; ma neanche al “creatore” del presunto statista Biden, quel Barack Hussein Obama cui forse ancora vanno riportate tante scelte suggerite all’ ex vice.

Tutta l’operazione Afghanistan, con un minimo sforzo di memoria storica, va riportata in pratica letteralmente allo stesso giorno dell’ormai mitico 11 settembre 2001, in cui a fare le spese dell’incredibile sbriciolamento delle Torri Gemelle di New York furono l’Afghanistan talebano del Mullah Omar e il baathista Irak di Saddam Hussein.

 La sconfitta sul campo delle forze talebane, apparentemente, fu poco più di una passeggiata militare; in realtà i talebani non furono mai sradicati dalla complessa e tribale realtà afghana, e da allora fu uno stillicidio di sedicenti offensive risolutive da parte degli americani e degli eserciti degli stati e staterelli loro vassalli (ma non è che anche gli americani sono in fondo vassalli della NATO?); attentati sanguinari spesso suicidi (che orrore, quelle bambine) pensati solo per uccidere il più possibile; immensi affari (narcodollari o meno) sulla pelle del povero popolo afghano. Ricordate il tanto adulato fantoccio ex consigliere di amministrazione della società petrolifera Unocal che fu il presidente Karzai, con i suoi bei completi etnici da copertina di rivista patinata?

 E’a Bush il giovane e ai neocons che dobbiamo la decisione di comando costata anche all’ Italia miliardi di euro e non poche vite umane di tanti giovani lì non per gli interessi della Patria ma per quelli del mondialismo. Ed è a Donald Trump, nella sua impeccabile logica “America first” che si deve l’avvio del disimpegno, che Biden ha solo confermato. Solo che, se a concludere il tutto fosse stato il tycoon, i media main stream avrebbero gridato al povero Afghanistan sedotto e abbandonato e alla “follia isolazionista” di Trump, ora sono impegnati a coprire la narrazione dem sulla ineluttabilità dell’amaro passo.

Per quanto ci riguarda, i buoni Di Maio e Guerini hanno protocollato l’ ordine di servizio della NATO, ed è finita lì. A loro però, la grana di portarsi in Italia traduttori, cooperanti locali ecc. che gravitavano attorno alla nostra ambasciata, i nostri militari e i nostri servizi segreti: si diceva una volta, collaborazionisti.

Diciamo che Biden, dopo venti anni, si è ritrovato (ma che sfiga!) il cerino in mano che esaurito, gliela ha scottata. E che non si era previsto il livello di autoconservazione autonoma assurdamente basso del regime filooccidentale afghano: venti anni non sono bastati a farlo evolvere dal mero status marionettistico.

Ma anche presentate così, le cose non hanno molto senso. O fu una follia decidere di invadere l’Afghanistan nel 2001 col codazzo di eserciti fiancheggiatori, o lo è oggi il ritiro. O lo sono entrambi.

In realtà, il ritiro repentino di una grande potenza da uno stato fantoccio (ma quale “paese amico sostenuto contro i suoi nemici”) non è una novità: basti pensare al Vietnam della metà degli anni Settanta soprattutto, ma anche all’ evacuazione francese del Messico nel 1867. In entrambi i casi, l’affare era ormai solo in perdita in tutti i sensi per gli occupanti, e anche se la faccia la persero sia gli americani che i francesi, entrambii seppero trovare un minimo di garanzia economica attraverso trattative e compromessi sottobanco che appartengono alla vera diplomazia “profonda” di alto livello, che sta al deep state come la politica estera a quella interna (quella di cui si stenta a trovare traccia anche negli archivi declassificati).

Ad esempio, una ipotesi: gli americani potrebbero aver ottenuto dai talebani tramite il canale cinese, o magari indiano, che le le loro città e megalopoli non siano ulteriormente invase dagli stupefacenti oppiacei di cui i talebani si accingono a essere nuovamente controllori di produzione; e che il nuovo boom produttivo si riversi piuttosto dalle parti nostre….O ancora: l’ Afghanistan potrebbe essere stato sacrificato ai cinesi in cambio di un arretramento di questi su qualche fronte della guerra commerciale. Per carità, ripeto: sono solo ipotesi non provabili, ma come disse qualcuno ” a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca”.

Anche nel caso Vietnam come nel più remoto caso Messico, i più compromessi con le potenze occupanti furono gentilmente omaggiati di un biglietto navale o aereo assieme alle relative famiglie (almeno quello…!). Il povero imperatore Massimiliano d’ Asburgo scelse di non passare alla storia come patetico fantoccio di Napoleone III, e rimase in terra messicana. Ma questa è un’altra storia.

Bisognerebbe capire piuttosto chi davvero muova i fili di decisioni così contraddittorie e all’ apparenza persino capricciose, quali interessi reali esse vadano di volta in volta a soddisfare; e quale reale autonomia decisionale abbiano non solo procuratori e mandatari locali come i vari premier e ministri euroatlantisti, ma anche il cosiddetto “uomo più potente del mondo”, cioè l’inquilino della Casa Bianca.  

A. Martino

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