TRAGICO FESTIVAL DI CANNES, CON UN CINEMA INNOCUO E MANTENUTO, FATTO DI STORIE INUTILI E INSIGNIFICANTI.

L’ ho detto e lo ripeto. Vedasi il mio IL CINEMA ITALIANO E’ ORMAI MORENTE, LA CHIUSURA DELLE SALE E’ SOLO IL COLPO DI GRAZIA. NON HA PIU’ SENSO IN UN MONDO DI EMOZIONI OMOLOGATE E CORRETTE, E IMMAGINARIO FORMATTATO del 28 febbraio 2021. A Cannes ne abbiamo avuto una impressionante conferma.

Proviamo a dare l’idea in modo più ironico, e vagamente parafrasando Woody Allen: il cinema italiano è morto, ma anche le altre cinematografie non stanno affatto bene.

Infatti i critici cinematografici ufficiali e di Sistema (costituzionali, avrebbe detto il grande Lucio Fulci) si commuovono per Cannes che ha attribuito al così impegnato che più impegnato non si può Marco Bellocchio il premio alla carriera oltre che presentare il suo Marx non può aspettare (la sua ultima fatica imperniata sulle vicende, anche tragiche, della propria famiglia peraltro rispettabilissima,ma che mi sembrano molto meno interessanti per impatto storico di una casa reale o di una dinastia del genere Agnelli o Kennedy).

O si infervorano per Benedetta, storia di badessa lesbica non so se del Cinquecento o Seicento che, ossessione LGBT e blasfemia anticattolica a parte, è in fondo e tecnicamente (grammatica dei cari vecchi “generi”), solo un pornosoft in chiave lesbica e a sfondo morbosamente e schifosamente mistico di cui non si avvertiva davvero l’esigenza. Il regista Paul Verhoeven ha dato senz’altro di meglio in Basic istinct col mitico accavallamento delle chilometriche gambe di Sharon Stone, e soprattutto con ciò che esse non nascosero.

O ancora, gli italici interpreti autentici della Settima Arte, hanno trepidato per un possibile “trionfo” del morettiano Tre piani : liti di condominio tra famiglie  problematiche in prestigioso stabile della Roma bene; accidenti, che trama e che problematica. Totale depressione piccolo-borghese al cui confronto Un borghese piccolo piccolo Di Monicelli con uno stratosferico Sordi, pare l’ Odissea in rapporto a Tex.

Almeno, il premiato con Palma d’ oro Titane salva qualcosa della residua dignità del Grande Schermo: la fatica di Julia Ducournau è un pugno nello stomaco di transumanesimo violentissimo e per nulla rassicurante. Ha scandalizzato alcuni critici “istituzionali”, quindi è probabilmente da vedere.

E veniamo al vero squallore della situazione del Cinema internazionale: la politica e le “istituzioni” se ne occupano e come decretando chiusure a intermittenza, favorendo sfacciatamente la serialità televisiva per lobotomizzati in pantofola, blocchi di produzione ecc. per la famosa o famigerata “pandemia”, ma esso, sotto scacco perché il Potere stringe e allarga ancora i cordoni di una borsa sempre meno pingue, si guarda bene dal disturbare il manovratore. Anzi, si è preso l’incarico non da poco di anestetizzare e distrarre: ecco quindi che non solo nessun film si occupa di COVID con annessi e connessi, ma addirittura nessuno degli interpreti di storie contemporanee, indossa la mascherina nella finzione scenica nonostante il numero impressionante di tamponi eseguito da chiunque bene o male sia riuscito a lavorarvi, e nonostante la realtà del mondo appena fuori da ogni set cinematografico e televisivo.

Mascherine e tamponi potrebbero indurre a riflessioni pessimistiche e poco conformi: ecco quindi che vanno meglio le splendide piante dell’androne del condominio morettiano, e persino le statuette sacre, usate meglio non dire come, nel film di Verhoeven.

Per le marchette comunque, c’è sempre disponibilità: basti pensare all’ agghiacciante spottone commissionato circa un anno fa da Arcuri nientemeno che a Giuseppe Tornatore sulla “stanza degli abbracci”. Fortunatamente lo si è visto per poco, rarissimo esempio di horror involontario con una madre che si dibatte tra pareti di platica trasparente e alla fine riesce ad, travolgente abbracciare la figlia (non senza mascherina entrambe).

Dalla ridente Baaria e dalla conturbante, travolgente Malena all’ “impegno” angosciante e lobotomizzatore di Distopìa. Grazie, Maestro Tornatore.

A. Martino

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