ORA CHE IL MAESTRO NON C’È PIÙ VOGLIO RACCONTARVI IL MIO BATTIATO.
Franco Battiato è sicuramente uno dei miei cantanti preferiti perché nella sua arte non ho trovato solo la bellezza della musica, ma quella visione del mondo a cui, da ragazzo, agognavo.
Infatti, avevo 16 anni nel 1991, ero già iscritto al Fronte della Gioventù, e tra i miei compagni di scuola risultavo un po’ demodé perché, più che ascoltare gli ultimi successi del Festivalbar, mi piaceva sentire, De Andrè, De Gregori, Dalla, il Venditti dei vecchi tempi e chiaramente Franco Battiato.
In quell’anno, ricordo molto bene, uscì l’album “Come un cammello in una grondaia” e all’interno di questa long-playing vi era la canzone “Povera Patria”: era un vero e proprio inno per un nazionalista convinto come me.
Erano anni, infatti, che non sentivo nessuno “piangere” così, musicalmente, per la nostra amata Patria.
Una canzone, quest’ultima, che mi fece capire, immediatamente, che eravamo sulla stessa onda emotiva e che, ahimè, se la si ascolta oggi, sembra essere stata scritta qualche minuto fa, tanta e tale è, la situazione difficile che sta attraversando l’Italia nel XXI secolo.
Poi, nel 1992, in pieno embargo all’Irak di Saddam, venne il mitico concerto a Bagdad … dove il maestro, seduto su di un tappeto persiano, disteso sul palcoscenico del teatro nazionale iracheno, cantava, in arabo, il brano “l’Ombra della Luce”: una canzone, o meglio una preghiera, dedicata a Dio.
Penso che – temporalmente, prima della visita di Giovanni Paolo II alla Grande Moschea degli Omayyadi a Damasco e solo dopo, per importanza, rispetto al sopraddetto viaggio – il concerto in Mesopotamia sia stata la più Mediterranea delle idee messe in pratica.
Non un ideale ponte tra due mondi, come sostengono in molti, ma un vero e proprio manifesto politico a cui ho subito risposto presente!
È, d’altronde, la regola della Luce: essa, infatti, scaccia le tenebre e solo quando non vi è, il male trionfa.
Il suo sguardo, poi, verso l’altra sponda del Mare Nostrum era quasi ossessivo, costante, come lo si può ben percepire da questo medley di versi: << Mare mare mare voglio annegare, portami lontano a naufragare, via via via da queste sponde, portami lontano sulle onde … Pieni gli alberghi a Tunisi, Per le vacanze estive, A volte un temporale, Non ci faceva uscire … Un uomo di una certa età, Mi offriva spesso sigarette turche, ma … Profumi indescrivibili, Nell’aria della sera, Studenti di Damasco, Vestiti tutti uguali … Carico di Lussuria si presentò l’Autunno di Bengasi, Lo sai che è desiderio della mano, L’impulso di toccarla, Ho scritto già una lettera al Governatore della Libia … I desideri mitici di prostitute libiche, Il senso del possesso che fu pre-alessandrino >>.
Ecco cos’è stato Battiato, non solo un cantante, ma, un uomo che, più di molti altri, aveva capito che con l’Islam, prima o poi, bisogna fare i conti, confrontarsi, rispettarsi.
Infatti è inconcepibile, per un Paese come il nostro, che risulta essere nel cuore del Mediterraneo, che le sponde di un mare che furono culturalmente unite per ben 7 secoli di fila siano rimaste divise per i successivi 13.
Ma Franco non era solo il cantante dotto, altero, quasi ieratico, era anche e soprattutto, un uomo, un personaggio, con i propri vizi e le proprie virtù, di quell’Italia maschia e vincente che oggi non c’è più, ed anche e soprattutto, per questo sono, sinceramente, un suo ammiratore.
A testimoniarlo, in tal senso, è Luca Bizzarri che, raccontando un dietro le quinte di Sanremo 2011, ci ha svelato un Maestro inedito: << In quinta ci siamo io, Paolo e Belen. Arriva Battiato, noi emozionantissimi nel vederlo, a me e Paolo non ci ca*** di pezza e a Belen le chiede l’autografo per un qualche suo nipote. Battiato a Belen. Già lo stimavo molto, da quel momento ho capito il senso della parola Maestro … >>
Lorenzo Valloreja
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