1971. SUI GRANDI SCHERMI D’ ITALIA IRROMPE IL FENOMENO DARIO ARGENTO, GRAZIE A UN GATTO E QUATTRO MOSCHE.
Cinquanta anni fa, come già ho spiegato con innegabile venatura nostalgica, il Cinema in genere viveva ancora la sua età d’ oro, contrastato dalla televisione in modo tutto sommato marginale. Anzi, quello italiano aveva ancora molto da dire.
Ad esempio un certo cineasta romano di nome Dario Argento (classe 1940), si era già fatto notare con sceneggiature importanti quali Scusi lei è favorevole o contrario?, o la collaborazione alla sceneggiatura di Il buono il brutto e il cattivo. E nel 1970 passa con straordinario risultato di pubblico alla macchina da presa con L’ uccello dalle piume di cistallo, snobbato dalla critica.
Ma è nel 1971 che, con raro incalzare produttivo e pari tensione artistica (roba inconcepibile nell’anemia, se non agonia, cinematografica di oggi), con ben due film il mite sognatore di incubi ancestrali, dal volto stranamente in linea con un certo immaginario gotico, fa irruzione a Cinecittà e nel cinema mondiale.
Premetto che i due film sono dei thriller puri di indubbia scuola hitchcockiana almeno come linguaggio narrativo, pur se la loro violenza e crudezza fa intuire che Argento si muoverà su altri territori. Ma lo stesso Maestro angloamericano, nel 1972, al suo penultimo film Frenzy, sbotterà come a togliersi freni inibitori, nella violenza e nella sessuale perversione omicida (il Maestro si ispira allo straordinario Allievo?). Forse, ma non mi consta salvo smentite, che Hitchcock abbia visto le prime fatiche argentiane, e che tra i due vi sia stata una qualche corrispondenza diretta.
Dopo la transizione di Profondo rosso (1975) ormai costitutivo dell’ immaginario mondiale di massa e persino di un modo di dire relativo alla finanza (anche se si era pensato a La tigre dai denti di sciabola), arriverà la inattesa ma non imprevedibile svolta horror e metafisica con Suspiria del 1977 ; tuttavia Argento continuerà a operare su un doppio binario, non negandosi persino lo splatter da sceneggiatore e produttore ( la “demonica” duologia di Lamberto Bava, o la collaborazione produttiva con Romero negli States).
La collaborazione con i Goblin per le colonne sonore senza snobbare altri grandi come Ennio Morricone, è stata poi strordinariamente fortunata: chi ignora, anche analfabeta del pentagramma, l’organo elettrico agghiacciante di Profondo rosso o la stupenda melodia tra sabba e Carmina buriana di Suspiria?
A causa del successo dei primi tre film di Argento, diversi altri thriller e polizieschi dell’epoca ebbero titoli zoologici: La tarantola dal ventre nero, Il gatto dagli occhi di giada, Una farfalla con le ali insanguinate, etc. Scontate poi (ma anch’esse a modo loro segno di esuberante vitalità espressiva) le parodie pornografiche.
Il gatto a nove code è una coproduzione franco-italo-tedesco orientale (in DDR non vi erano solo meccanica, acciaierie e polizia segreta, evidentemente).
Franco Arno è un cieco che vive con la sua nipotina e si guadagna da vivere realizzando parole crociate. Una sera, passeggiando per strada ascolta la strana conversazione tra due uomini seduti in un’auto parcheggiata davanti ad un istituto in cui si praticano esperimenti genetici…….
Secondo la critica professionale, rappresenta un arretramento rispetto a L’ uccello. Comunque sia, tutto è imperniato sulla fantomatica anomalia cromosomica XYY. E sequenze come l’occhio del cieco contrapposto a quello psicotico dell’assassino o la gotica incursione notturna in cimitero, sono visionarie, originalissime, oggetto di citazione se non di benevolo plagio.
Quattro mosche di velluto grigio è, a mio modesto parere, almeno pari a Profondo rosso. Siamo insomma al vertice dell’Argento presuspiriano, ovvero prima della svolta gotico-horror.
La tensione è enorme fino al disagio.Anche qui il giovane regista romano si diverte a spacciare discutibili assiomi scientifici (lombrosiani nel Gatto, qui la storia neanche tanto improbabile dell’ultima immagine vista in vita catturata dalla retina); ohibò, la scienza è una cosa seria…Spiccano nel cast Mimsy Farmer e Bud Spencer stranamente non scazzottatore, meno noto Michael Brandon pur decisamente convincente come protagonista. Nientemeno che le decapitazioni in piazza dell’Arabia Saudita, forniranno nei suoi incubi la premonizione della fine dell’ incubo nella realtà ad occhi aperti, che lo perseguita da quando ha dovuto difendersi da un’aggressione. E dopo cinquanta anni, sembra ancora irrispettoso per il Maestro Argento svelare il finale…!
Quattro mosche è anche, ormai, un vero e proprio documento cinematografico sugli unici e irripetibili anni Settanta: l’ esplosione della pornografia anche cartacea, in fondo solitamente goliardica e gioiosa, la crisi della famiglia e l’ improvvisa problematicità delle sue dinamiche….
Dal 1971, tantissima acqua, forse troppa, è passata in Italia sotto i ponti non solo della settima arte. Ma apparve chiaro che Dario Argento ne sarebbe stato un protagonista di primissimo ordine, certo con le sue cadute di rendimento, ma sempre fedele alla sua ispirazione e messaggero degli incubi che l’ Uomo, in un mondo spesso malato e per nulla perfetto, porta nel suo intimo (vedi il mio IL CINEMA ITALIANO E’ ORMAI MORENTE, LA CHIUSURA DELLE SALE E’ SOLO IL COLPO DI GRAZIA. NON HA PIU’ SENSO IN UN MONDO DI EMOZIONI OMOLOGATE E CORRETTE, E IMMAGINARIO FORMATTATO. PARTE SECONDA: LA FOLLE E PROFETICA STAGIONE DELL’ HORROR ITALIANO del 4 marzo 2021).
A . Martino
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