DONALD TRUMP C’E’ E NON MOLLA, SOLO IL CAMPO PROGRESSISTA NON VUOLE AMMETTERLO
Se Donald Trump (“The Donald) non ci fosse, bisognerebbe inventarlo.
Sì, so benissimo delle opacità delle sue dichiarazioni dei redditi; di quanto siano imbarazzanti le sue per nulla raffinate frequentazioni femminili messe a tacere a suon di bonifici degli avvocati, alla olgettina maniera; di quanto sia profondamente tycoon, imprenditore e uomo d’affari anzi affarista, poco politico e forse per niente statista,come tale sollecito a vendere il prodotto che rende e a disfarsi di quelli in perdita (vedi relazioni con la Russia o armi ai sauditi) ; ricordo benissimo il suo agghiacciante discorso al giuramento di inizio mandato, che si rivelò un puro e semplice comizio elettorale, come se non si rendesse conto di cosa era diventato ; di come sia legato mani e piedi alle lobbies ebraiche , a quelle pistolere ecc.
Ma diamo anche merito a quest’uomo di cui, tra i suoi primissimi atti appena insediato, figura l’aver eliminato dal sito web della Casa Bianca ogni sponsorizzazione della galassia LGBT; non aver fatto apertamente guerra a nessuno se si eccettuano quei simbolici missili anti Assad; essere pro life ; costituire il nemico numero uno dell’immensa macchina dell’informazione main stream mondiale e mondialista, che però non è riuscita né a impedirne l’elezione, né (almeno in due anni) a determinarne le dimissioni o la messa in stato di accusa. Con una Hillary Clinton presidente, la pressione del Pensiero Unico e della catechesi mondialista sarebbe stata non insopportabile come in effetti ancora è, ma addirittura asfissiante e letale (il trionfo democratico in Kansas nel mid term consiste nell’ involontaria comicità, di una pedanteria tutta da manuale politicamente corretto, dell’elezione al Congresso di Sharice Davids quale prima “nativa americana” nonché lesbica con relativa compagna eletta in New Mexico ; peccato che non sia pure invalida…). E probabilmente, qualcosa di gravissimo se non di irreparabile sarebbe già accaduto contro il pacifico orso russo, pericolosissimo però se insidiato nella sua tana e ben poco paziente verso le provocazioni troppo ravvicinate.
Donald Trump non è, come Vladimir Putin, l’erede al contempo di Lenin e Stalin come del titanico Pietro, o del padre padrone Alessandro III o dello sfortunato autocrate Nicola II, ma più modestamente l’erede della minimizzata eredità paterna perché si propagandasse il classico mito del self made man o al massimo dei tranquilli presidenti USA dell’ Ottocento solitamente intellettuali quel che bastava per incantare farmers e filistei , molto gentiluomini di campagna, spicci nelle esternazioni, con umanissimi e in fondo accettabili vizi e sbandierate virtù.
Queste elezioni di metà mandato lo hanno sì reso “anatra zoppa” con un Congresso a maggioranza democratica pronto a metterlo in stato di accusa per l’assurda storia del Russiagate o qualche cavillo da leguleio costituzionalista, ma laddove si è speso in effervescenti comizi e kermesse da America profonda da film di Clint Eastwood, i democratici non hanno sfondato come in Texas sul filo di lana o in Florida;pur danneggiatone, ha retto all’accusa di essere razzista,fomentatore di odio e addirittura di pacchi bomba spediti da un pazzo; in conferenza stampa post elettorale ha redarguito aspramente un giornalista con accredito cui lo ha immediatamente ritirato; ha orgogliosamente affermato di non aver mai profferito frasi razziste in vita sua (ne è proprio sicuro? ) . Con una mossa a sorpresa, a seggi elettorali non ancora smontati, ha improvvisamente silurato Jeff Sessions, ministro della Giustizia reo di essersi astenuto nel Russiagate, dando il pro tempore a un fedelissimo della prima ora con l’intuibile mandato di sabotare legalmente la “caccia alle streghe”, come dice.
Il Senato resta in maggioranza repubblicano, e l’impeachment per i democratici, in cui la condanna richiede un voto a due terzi, rischia di essere un Vietnam parlamentare per i promotori, con lo scontato vittimismo di Trump verso il corrotto estabilishment e i menzogneri giornaloni, lontani dalla gente ecc. ecc. I repubblicani soffrono certo l’avanzare della multietnicità nelle zone urbane, la grancassa del neofemminismo e del delirio pensierounicista e omosessuali sta (dall’anno prossimo a New York sarà vietato dichiarare con quali attributi genitali nasca un figlio o figlia), ma Obama, ex presidente clamorosamente e scorrettamente coinvolto in campagna elettorale da salvatore delle sorti della patria ( e sottratto a conferenze e forum dal cachet da top rockstar), non è riuscito a provocare la disfatta di Trump e del trumpismo. E nel campo del partito che fu di Lincoln non emerge una reale leadership alternativa a Trump; gli indecorosi inciuci da anime elette in supremo spirito repubblicano (alta cucina di stile francese ) simboleggiati dalla caramella di Bush junior a Michelle Obama ai funerali di Mc Cain che il nostro Direttore giustamente notò, si sono rivelati per ciò che sono, cioè la riprova che destra e sinistra oggi non esistono, ma sono solo casacche che il mondialismo finanziario di volta in volta assegna al potente cooptato di turno. Se il Great Old Party vuole avere un futuro e un senso per la società americana e la scena mondiale, è costretto a essere trumpiano oggi, e nell’immediato domani almeno.
Donald Trump, ormai, ha una statura politica, è cresciuto e ha capacità di manovra : chiunque, deve ormai ammetterlo.
Antonio Martino
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