LA SECONDA PASQUA DELLA DITTATURA SANITARIA CI REGALA LA CONTESSA PIA MAZZANTI SERBELLONI VIEN DAL MARE 2.0
Dopo la contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare, nella seconda e chissà se ultima Pasqua pandemica, abbiamo la contessa Antonella Carnelli de Micheli Camerana. Curioso esempio di “Italia della tradizione”: nel senso che si ha un bel parlare di seconda, terza, quarta o settima repubblica o di sovranismo o globalismo, ma certo bestiario è sempre quello. E’ l’ Italia, ad esempio, del Lei non sa chi sono io, purtroppo.
La contessa fantozziana poteva sembrare un personaggio fumettistico, ma era vero come in fondo era vero, anche se caricaturale ed estremizzato, tutto il fantastico universo fantozziano-fracchiano scaturente dalla penna di Paolo Villaggio, dall’ interpretazione cinematografica dello stesso e dalle regie di maestri come non solo Luciano Salce ma anche un grande “capomastro del cinema” come Neri Parenti. D’ altronde, era ispirata chiarissimamente da Marta Marzotto, protagonista delle cronache mondane della prima repubblica, e poi aureolata dalla discutibile gloria di amante del pittore Renato Guttuso.
Tragico o mostruoso erano gli aggettivi più ricorrenti nelle avventure dell’impiegatuccio frustrato con figlia scimmiesca, mogliettina ancora più frustrata del marito e una Bianchina da lui teneramente vista come una Porsche. Paolo Villaggio è il cantore del disastro dell’uomo qualunque nonché “lavoratore dipendente”, che nelle dimensioni imponenti dei suoi mille fallimenti quotidiani, incontra una specie di riscatto epico. Ma anche gli apparentemente vincenti incorrono in disastri e straordinarie imbranataggini (basti pensare al famoso varo della nave, e alle vittime che vi fa la nostra contessa): è un mondo di falliti e mentecatti, la differenza la fanno solo la posizione sociale e i soldi.
Tragica e mostruosa è anche la figura che sulla Rete (ignota a Fantozzi o Fracchia) ha fatto la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare 2.0 .
La contessa Antonella Carnelli de Micheli Camerana è una signora che assai difficilmente è riconosciuta per strada, ma non è affatto una Signora nessuna, anzi: anche se non conosciamo e non vogliamo conoscere i suoi estratti conto di banca, la sua posizione catastale, le sue partecipazioni societarie, e ci mancherebbe altro.
Ma che cosa avrebbe fatto di così irritante da creare tanta polemica sui socials? Ebbene, innanzitutto il giornale, anzi giornalone del gruppo GEDI, La Repubblica, ha presentato la sua intervista come ad una certa Antonella Camerana, una quasi qualunque villeggiante a Portofino (presidente però di una Onlus, discreto indizio ) , e non come a uno degli azionisti della società editrice (e soprattutto, come da scatola cinese, azionista di rilievo assieme a familiari del potentissimo gruppo Exor-FCA, cassaforte controllata dalla famiglia Agnelli).
E in questa intervista, ha raccontato il “dramma” di un esodo da Milano alla sua villa di Portofino, da uno squallore di zona rossa all’altro. Innanzitutto, a onor del vero, la suddetta non si è mai detta “prigioniera” nonostante il virgolettato dell’articolo contenente l’intervista.
Però ha affermato “Qui non si vede nessuno, c’è il deserto“. Appare triste per la “calma innaturale” del borgo marinaro tanto frequentato dai vip e immortalato da pittori in decine e decine di tele o grafiche che però “è pur sempre Portofino, c’è il mare e poi c’è la natura”.
“Mi piace molto di più la Portofino normale, amo la gente, i bar aperti, dove incontri gli amici. Anche qui vedere questo vuoto, è molto deprimente. Mi alzo, non vado nemmeno in piazzetta, sto con la mia famiglia, magari vedo un’amica”.
Non è il caso di gonfiare più di tanto la polemica, ma due cose sono certe.
Innanzitutto, che La Repubblica non va ad intervistare i proprietari di palestre chiuse ormai da un anno, o i camerieri di ristorante la cui speranza è appesa solo al blocco dei licenziamenti (roba da populisti, ovvio).
E poi, che Paolo Villaggio alias Fantozzi rag. Ugo aveva capito la società italiana meglio di tanti sociologi, e soprattutto dei teorici della “società aperta”. Confermandoci la grandezza del nostro cinema cosiddetto minore che fu.
A. Martino
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