RIGUARDO LA MORTE DELL’AMBASCIATORE ATTANASIO E DELLA SUA SCORTA, QUALCOSA NON TORNA …

È impossibile non unirsi al coro di condoglianze che sempre più numeroso si leva per la prematura scomparsa, nelle foreste lontane del Congo, dell’Ambasciatore Luca Attanasio e del Carabiniere Vittorio Iacovacci.

Come possiamo non essere grati ed orgogliosi per il lavoro svolto da parte di questi due alfieri dell’italianità?

Una vita, la loro, certamente dedicata agli altri, al servizio, alla dimensione umana ma in queste poche righe noi de l’Ortis vogliamo occuparci di qualcosa che, in questa vicenda, ha destato la nostra attenzione, più di ogni altra cosa: lo strano omicidio del diplomatico italiano.

Infatti è raro, molto raro, anche in tempo di guerra, che un Ambasciatore venga passato per le armi, da qui il detto, e non vogliamo assolutamente far ironia sulla questione, “Ambasciator non porta pene”.

Se poi a questo aggiungiamo il fatto che, a quanto pare, gli assassini – sia che appartenessero alle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr-Foca), sia che fossero dei semplici banditi – miravano alla riscossione di una cospicua taglia, la cosa diventa ancor più strana.

Chiunque sia stato ora si è messo letteralmente in una marea di guai perché, è brutto da ammettersi, ma le morti, ahimè, non sono tutte uguali, non tutte hanno lo stesso valore.

Così, paradossalmente, l’omicidio di Luca Attanasio, politicamente, ha un valore di gran lunga superiore ad un’altra tragedia tutta italiana consumatasi sempre in Congo, esattamente 60 anni fa, con l’Eccidio di Kindu, dove 13 aviatori italiani trovarono ingiustamente la morte.

L’esecuzione dell’Ambasciatore Italiano può avere solo due significati, o è da considerarsi come:

  • Una dichiarazione di guerra di un gruppo terroristico o di una potenza straniera, nei confronti dell’Italia;
  • Un omicidio punitivo/esemplare per qualche sgarro ricevuto e, data l’autorevolezza e l’autorità della vittima, tale sgarbo dovrebbe essere veramente notevole.

Ma ciò che ha attirato più di tutto la nostra attenzione sono i seguenti elementi:

  • Come sia stato possibile che il nostro diplomatico e la sua scorta personale, viaggiassero, in una zona notoriamente pericolosa come il Parco Nazionale Virunga, senza un mezzo blindato;
  • Come sia stato possibile che la scorta del dott. Attanasio prevedesse un solo militare italiano e non anche un convoglio della Polizia Nazionale Congolese;
  • Come la Polizia Nazionale Congolese, secondo la propria dichiarazione, non fosse a conoscenza della presenza dell’Ambasciatore nella provincia del Nord Kivu.

A tutte queste incongruenze i Carabinieri dei ROS e le autorità Congolesi, dovranno dare una risposta, sperando che, come al solito, la cappa del politicamente corretto,  e le ingerenze atlantiste non abbiano la meglio.

Lorenzo Valloreja

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *