Pescara: città laboratorio culturale e politico, o borgo filisteo di classe ma conformista?
Vi sono momenti in cui gli eroi distruggono i ponti alle loro spalle, e gli amici li seguono. Questa genìa che il mondo dice di apprezzare e onorare, ma in realtà disprezza o deride, nel campo dell’intelletto e della cultura, è sempre “cooperator veritatis”, come recitava il motto pontificio di Benedetto XVI.
Lorenzo Valloreja è un eroe dell’intelletto, e io mi onoro di appartenere al novero dei suoi amici, e di seguirlo fino in fondo in questa avventura di patriottismo e di sano europeismo dell’ Ortis, ed altro.
Se mi sono formato come opinionista digitale sul forum di Sputnik e se nonostante tutto mi ritengo in debito di Zuckerberg e compagni per gli spazi che sui socials le nostre idee possono avere, è perché grazie a Lorenzo sono stato folgorato sulla via di Damasco (che poi porta sopratutto a Mosca, in ogni senso).
Siamo pescaresi (io di consolidatissima adozione, Lorenzo non esattamente, le sue radici sono nella operosa, sana, più schietta provincia), e vi garantisco che Pescara che fu il borgo dell’ Immaginifico D’Annunzio, e del principe degli uomini di spirito Flaiano che ne deprecò gli “orrendi palazzoni del centro” figli della speculazione edilizia della Ricostruzione, è una cartina al tornasole dell’Italia di oggi, con i suoi ponti cool di dubbia utilità,e una ruota panoramica-giocattolone sulla scia delle imitazioni in scala ridotta della londinese.
Politici cattocomunisti e amministratori avidi con ambizioni nazionali trascinati nella polvere giudiziaria da migliaia e migliaia di pagine di atti giudiziari, giustificanti il loro tenore di vita di momenti finanziariamente misteriosi e opaci con la generosità di una zia, risorgenti come araba fenice con verdetti assolutori; destra e sinistra tali solo per uno smaccato gioco delle parti stabilito nei salotti di oligarchi agroalimentari o edilizi , “professionisti” rotariani o massoni ignoranti, i cui denari ne consentono intrallazzi e corruttele ma non ne evitano la lobotomizzazione alla pari delle masse che mai potranno concedersi le loro auto, i loro Rolex, o le loro rifattissime consorti.
“Intellettuali” di professione di scarse letture ma fitto presenzialismo, ras di premi letterari e arbitri di qualunque visibilità culturale, vegliardi ma saldamente ancorati alle loro “poltrone”acquisite per organicità al progetto gramsciano-togliattiano, o beneficiari della loro trasmissione per diritto ereditario: organici ovviamente a stampa locale piddina e rigorosamente pro gender ed europeista, che dei miei millesettecento commenti finora apparsi sul forum di Sputnik, ne avrebbe pubblicati dieci o venti.
A Pescara c’è un ipermercato aperto tutti i giorni dell’anno per ventiquattro giorni su ventiquattro, ma le scuole chiudono se piove per più di due ore.
Avremmo una spiaggia magnifica, ma è diventata “finta”: non esisterebbe senza i continui ripascimenti dell’arenile; l’elite frequenta le spiagge tropicali, e i pescaresi comuni prediligono ormai gli stabilimenti balneari con piscina a causa dell’inquinamento. Il turismo non solo balneare resterebbe l’eterna risorsa, potenziale minera d’oro il cui filone non si riesce veramente a intaccare ; qui e nei dintorni (Francavilla al mare, Ortona, ecc.) si potrebbe commercializzare l’indotto legato a D’Annunzio, Flaiano, Tosti, Michetti, la dinastia artistica dei Cascella; a Salisburgo hanno sfruttato la figura e le opere di Mozart come il corpo del maiale, qui non si va oltre gli arrosticini (succulenti spiedini di carne di pecora) o la concorrenza tra pizzette rotonde, e i Premi Flaiano di routine e di Sistema teleculturale.
Abbiamo una squadra di calcio di piccola nobiltà (cioè oscillante tra la massima serie e quella cadetta), come i vitelloni sceneggiati da Flaiano pensando alla sua città, non a Rimini come poi volle Fellini, ondivaghi tra scatti di orgogliosa euforia, sogni di gloria, e provinciale frustrazione madre di spleen.Preti bergogliani, ansiosi di non apparire abbastanza vicini alla teologia della liberazione, o ai musulmani o ai nomadi o a chiunque non sia italiano.
Il pescarese estabilishment, provinciale ma per nulla bonario e tollerante, stronca ogni tentativo politico patriottico, non affaristico, e autenticamente popolare; censura il confronto delle idee ghettizzando, ridicolizzando, disprezzando e umiliando; fa terra bruciata col clientelismo elettorale delle promesse e delle illusioni da borghese piccolo piccolo, tanto più squallido in tempi di negazione del lavoro ai giovani. Si riesce a scoraggiare con esosi balzelli e cavilli vari persino i mercatini periodici dell’antiquariato e simili.
Eppure, garantisco che nonostante tutto, vivere a Pescara è bello, almeno per quelli fino alla mia generazione: il ricordo dei rutilanti anni settanta e ottanta dai cento negozi degni della Milano da bere, delle ragazze disinibite ma senza esagerare con le loro sensuali minigonne e pettinature vaporose, del folle e corsaro calcio di Galeone (ormai solo un nome, per gli attuali tifosi ventenni bestemmiatori e avvinazzati), ci aggredisce a ogni angolo e vi ci crogioliamo con decadentistica voluttà.
In questo pretenzioso ma dignitoso squallore civile chiamato Pescara,non molto conosciuto retroterra adriatico e transmontano di Suburra, capitale dell’italica provincia dell’impero euroatlantista, un intellettuale ha aperto la finestra per farvi entrare la fresca aria dell’est, e non si è vergognato di pensare con la propria testa, di analizzare, di riflettere, di provocare.
Valloreja c’è, a tentare di salvare questa povera Italia, i suoi amici pure, e lo dimostreranno sempre più. Non vedo finora Veneziani o Buttafuoco, tanto per fare due nomi.
Antonio Martino
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