IL SEGRETARIO DI STATO DI DONALD TRUMP INSEGNA IN VATICANO COME DIFENDERE LA LIBERTA’ RELIGIOSA.
La giornata romana di Mike Pompeo, segretario di stato USA, del 30 settembre, non è ancora archiviabile come canto del cigno del trumpismo, o al contrario, inizio del “gioco pesante”, in ideologia e nei fatti, delle vedute del mondo di Donald Trump in qualche modo conciliabili con le nostre, o quanto meno ben meno ostili di quelle, duole dirlo da italiano, di un fratello del commissario Montalbano o di un ex avvocato del popolo. Ciò dipende dall’ esito delle elezioni presidenziali del 3 novembre.
Mike Pompeo mi è poi particolarmente simpatico, perché non dà a vedere, con la sua aria bonaria ma scaltra ereditata dalle radici italiane nonché abruzzesi, l’ agguerritissima estrazione dal vertice della CIA. Ma il blitz romano è davvero eccezionale: è venuto a ad ammonire il nostro governo sui rischi di sicurezza dell’ Italia, e di ogni singolo italiano, derivanti dal 5G cinese; ma soprattutto e principalmente, ha tenuto in Vaticano una specie di lectio magistralis sulla libertà religiosa. Il cattolico Pompeo sembrava un cardinale, e il segretario di stato Parolin e monsignor Gallagher (quest’ ultimo il “ministro degli esteri” della Santa Sede) gli interlocutori laici, e filocinesi, di un uomo di chiesa estremamente agguerrito e identitario. Oggi (primo ottobre, ndr) ha poi incontrato a quattr’ occhi Parolin, con cui le distanze sono rimaste intatte.
Papa Francesco si è rifiutato di incontrarlo, come d’ altronde ha rifiutato di incontrare qualche giorno prima un cardinale cinese (uno vero, si intende) cioè il cardinale a riposo (emerito, si dice ora) di Hong Kong Joseph Zen che avrebbe voluto scongiurarlo di non consegnare i cattolici cinesi al regime ateo e tirannico di Pechino. Dobbiamo comunque onestamente dire che nel caso dell’ uno e dell’ altro, ormai, i giochi sono fatti, e tirarsi indietro, effettivamente, comporterebbe rappresaglie tremende ( questo, una persona del livello mentale di Pompeo lo sa benissimo).
Certo, se Pechino ne guadagna legittimazione internazionale e cattolici del dissenso consegnati nelle sue mani sperabilmente clementi, Roma che ne guadagna, a parte delle proprietà immobiliari confiscate dalla rivoluzione maoista e ammesso che siano ancora identificabili e rivendicabili? Misteri delle dinamiche mondialiste, di cui ormai la Santa Sede (termine ormai, credo, anacronistico per il bergoglismo) è attrice in qualità di principale e più prestigiosa ONG.
Ma torniamo a Pompeo: la sua retorica durante il convegno organizzato dall’ ambasciata USA presso la Santa Sede è stata fantastica nello spronare la Chiesa a difendere i cristiani dai tiranni più o meno anticristiani, ad avere il coraggio di San Giovanni Paolo II: “ «Gli stati fanno i compromessi ma la Chiesa si deve basare su verità eterne”: sembrano parole di Pio IX (papa Mastai Ferretti, 1846-1878) o di Pio XII (Papa Pacelli, 1939-1958). Ma Pompeo non ha limitato la difesa della libertà religiosa, ovviamente, solo ai cristiani ma l’ ha estesa, per quanto riguarda la Cina, anche alle minoranze musulmane e buddhiste.
Gallagher è riuscito a replicare, sensatamente, che anche nelle cosiddette società libere e democratiche, la libertà di culto e di opinione religiosa viene sempre più conculcata dal famigerato politicamente corretto e dal Pensiero Unico. Peccato che contro questi, l’ orientamento bergogliano sia non opporvisi, anzi sostanzialmente collaborare e bollare i cattolici intransigenti e coerenti, come “farisei” o peggio neonazisti, se si pensa al disprezzo spesso esternato verso qualunque sentore di populismo e sovranismo.
Oltre Tevere si dice che ricevere Pompeo, sarebbe stato prestarsi a una strumentalizzazione elettorale di Donald Trump. Credo però che un segretario di stato di un presidente USA democratico, fanaticamente abortista, mondialista, sorosiano e addirittura in odore di satanismo sarebbe stato ricevuto a braccia aperte; infatti questo identikit corrisponde esattamente a Hillary Clinton, sostenuta da Papa Francesco accanitamente (assieme a Matteo Renzi) nella corsa alla Casa Bianca del 2016.
A.Martino
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