LA STRETTA DI MANO, CON BACI ED ESPANSIVITA’ VARIE, E’ UFFICIALMENTE UNA DELLE PRIME VITTIME DEL CORONAVIRUS. TRILUSSA NE GIOIREBBE.
Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri (1871 – 1950), dal ben più noto nome d’ arte (anagrammato) di Trilussa, non ebbe assolutamente un rapporto tranquillo col regime fascista, anzi in altro sonetto derise proprio il saluto romano che un umile portiere doveva esibire a ogni passaggio dinanzi alla sua guardiola, di un esponente fascista in odore di usuraio.
Però in questo ( “La stretta de mano”) è presente una semplice ironia , nell’ apprezzarlo per il suo distacco fisico da soggetti sconosciuti, che a volte potrebbero benissimo essere indegni di una tale confidenza.
D’ altronde, lo stesso Mussolini è immortalato dare la mano a soggetti allergici a tale manifestazione “politicamente corretta” relativamente all’ epoca, quali personalità straniere , il re o i principi di Casa Savoia.
Mi ha colpito, come primaria disposizione governativa, l’abolizione repentina e drastica della stretta di mano sancendone ufficialmente la non igienicità. E il rifiuto di un membro importante del governo federale tedesco di stringere la mano ad Angela Merkel. Ma allora, come ci si deve salutare?
Con un ondeggiamento della mano un tantino lezioso e ridicolo , che solo i reali inglesi riescono a eseguire con disinvoltura? Col saluto “orientale”, come i mass media definiscono impropriamente il leggero inchino della testa? Le direttive diramate dalle “veline” verso web e televisione sembrano suggerire delle mossette strane e goffe, da subcultura metropolitana globale (come il contatto dei fianchi o dei gomiti).
Mi sembra molto interessante a proposito, il video dello hashtag #iorestoacasa, in cui un ragazzo e una ragazza sfiorano il saluto romano (o meglio legionario) tendendo il braccio l’uno verso l’altra a dimostrazione della distanza di sicurezza : attenti però, non fosse mai, a evitare la mano tesa tendendola in verticale.
A titolo di correttezza storica, si sappia comunque che il saluto più diffuso tra i romani non in armi era la stretta dell’ avambraccio; e che i militi praticavano anche, in segno di obbedienza e lealtà, il pugno leggermente battuto sul cuore. Il braccio e la mano in tensione orizzontale erano un segno ancestrale di difesa, di blocco di flussi maligni ; allo stesso modo il pugno chiuso rimanda alla minaccia, aall’ aggressività sfidante.
Ecco il sonetto del grande poeta romanesco, che lasciamo alla riflessione, e alle distaccate conclusioni di ciascuno di noi. Dell’ ironia intelligente, in queste circostanze così tese e drammatiche, vi è bisogno come del pane.
Quela de da’ la mano a chicchessia
nun è certo un’usanza troppo bella:
te pô succede ch’hai da strigne quella
d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.
Deppiù la mano, asciutta o sudarella,
quanno ha toccato quarche porcheria,
contiè er bacillo d’una malatia
che t’entra in bocca e va ne le budella.
Invece, a salutà romanamente,
ce se guadagna un tanto co’ l’iggene
eppoi nun c’è pericolo de gnente.
Perché la mossa te viè a di’ in sostanza:
— Semo amiconi… se volemo bene…
ma restamo a una debbita distanza. —
Lascia un commento