Di lavoro in Italia ce n’è in abbondanza, l’Europa, però, non ti mette in condizione di poterlo espletare
Con più di 50 mila giovani italiani emigrati all’estero fino a tutto il 2016 e 5 milioni di poveri assoluti alla fine del 2017 viene spontaneo chiedersi se ci sia più lavoro in Italia per i nostri connazionali. A leggere questi dati sembrerebbe proprio di no ed invece, se si analizzano bene le cose, molto probabilmente ci si renderebbe conto che ci sarebbero più opportunità lavorative in Italia che qualsiasi altro Paese europeo.
Il condizionale in questo caso è d’obbligo e lo è perché la ripresa ci viene preclusa da un unico grande fattore: l’Europa!
L’UE con i suoi stramaledetti patti di stabilità, regolamenti bizantini e regole di salvaguardia ci sta completamente soffocando.
Prendiamo ad esempio la tragedia del Ponte Morandi di Genova. Ebbene la struttura venuta giù il 14 agosto scorso non è l’unico viadotto ad avere avuto una scarsa manutenzione, in Italia i cavalcavia che si trovano nella medesima situazione sono circa 10 mila e metterli tutti in sicurezza costerebbe qualcosa come 20 miliardi di Euro. Una cifra senz’altro importante che l’Europa ci impedirebbe di spendere timorosa com’è che il nostro Paese possa sforare la famosa soglia del 3% nel rapporto tra PIL e Debito Pubblico. A questi 20 miliardi poi bisognerebbe sommare anche tutti i fondi necessari per asfaltare nuovamente i nostri 845 mila km di strade, più le varie opere di consolidamento stradale, per evitare smottamenti e bradisismi vari, come pali, muri di contenimento, cunette, ecc. ecc.
Se volessimo mettere mano a tutte le nostre strade ci sarebbe occupazione per: geologi, ingegneri, architetti, geometri, manovali, muratori e quant’altro per i prossimi 100/150 anni.
Se poi applicassimo la norma interna che a dover lavorare su questi cantieri devono essere esclusivamente ditte con la ragione sociale in Italia, che occupino esclusivamente personale italiano, credo a buona ragione, che arrivati al 40% dei cantieri dovremmo necessariamente assumere anche manodopera straniera perché la manodopera locale sarebbe pienamente occupata e non basterebbe più.
Qualcuno potrebbe obbiettare che così andremmo ad accrescere il debito pubblico ma non è esattamente così, perché, in questo caso, le opere pubbliche fungerebbero da partita di giro, in che modo?
Se le ditte appaltatrici sono italiane vuol dire che queste ultime pagheranno le tasse in Italia, investiranno in beni mobili ed immobili in Italia, quindi contribuiranno ad aumentare la ricchezza del nostro Paese.
Allo stesso modo, se le ditte adopereranno esclusivamente personale italiano vuol dire che questi lavoratori faranno la spesa in Italia, compreranno casa in Italia, investiranno i propri risparmi qui ed anche loro contribuiranno ad aumentare la ricchezza del nostro Paese.
Tutto ciò però, è bene ricordarlo, ad oggi non è possibile perché l’Europa, in nome del libero mercato, ci potrebbe sanzionare.
E la cosa si fa ancora più amara se pensiamo che, il paradiso terrestre da me prospettato potrebbe essere replicato anche nella manutenzione delle linee idriche, ridotte ahimè a veri colabrodi. Quante persone potrebbero lavorare intorno ad un bene prezioso come l’acqua? Senz’altro centinaia di migliaia.
Il lavoro in definitiva in Italia non manca! Non manca, purtroppo, per i tanti, troppi, nostri connazionali autistici che hanno estremamente bisogno di personale qualificato che li possa accudire e terapizzare sia a scuola così come a casa. Non manca negli ospedali, nelle caserme, in ogni dove. Ed è assurdo, in tale situazione, constatare che tanti, troppi, giovani siano costretti ad emigrare per costruirsi un futuro migliore.
L’Italia può tornare a crescere ma ciò passa necessariamente solo attraverso l’affrancamento da questa Europa.
Prima lo capiamo e meglio sarà per tutti.
Lorenzo Valloreja
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