DINANZI ALL’AGGHIACCIANTE MORTE DI STEFANO CUCCHI, PROPRIO NON RIUSCIAMO A STARE “SEMPRE DALLA PARTE DELLE FORZE DELL’ORDINE”.
Il triplo grado di giudizio perché la sentenza passi in giudicato (tradotto per i non addetti ai lavori, perché divenga definitiva e immodificabile) non è una lungaggine tipica della giustizia italiana, ma una vera conquista di civiltà: non nel senso pannelliano del termine, ma in quello di punto di arrivo di secoli di vissuto giudiziario nella “culla del diritto” che sarebbe l’Italia sancito in tempi assolutamente estranei alle scopiazzature anglosassoni che hanno funestato il nostro sistema giudiziario e legale degli ultimi decenni.
Pertanto, i carabinieri condannati alcuni giorni fa in Appello per l’ omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi, per quanto riguarda me e noi de L’Ortis, sono innocenti fino alla pronuncia della Corte di Cassazione: sarà nel cosiddetto Palazzaccio che si deciderà una volta per tutte , il loro destino.
Ciò non toglie che la ostinata lotta della famiglia (sorella in primis) dello sfortunato geometra romano vinca una battaglia probabilmente decisiva. Ilaria Cucchi appare ormai oggettivamente non una calunniatrice incallita di onesti tutori dell’ ordine rei solo di aver avuto a che fare col fratello drogato e malato nei suoi ultimi giorni di vita, ma una donna implacabile nell’ inseguire la verità e nell’esigere la punizione di chi sarebbe venuto clamorosamente meno al suo giuramento, e alla deontologia di fondo di ogni polizia o gendarmeria del mondo, in ogni epoca : non ergersi a giudice e aguzzino o addirittura boia al tempo stesso. Parrebbe proprio che su Stefano Cucchi qualcuno si sia accanito forse per una parola di troppo, o per il cattivo umore di una giornata storta, o vallo a sapere. E con una rabbia incredibile persino crollato a terra, come testimoniato da un collega dei militari a giudizio in una fondamentale testimonianza.
Lo stesso Comandante Generale ha non solo espresso il suo dolore per la sentenza di condanna, ma rinnovato la vicinanza alla famiglia dall’ Arma. E questa già la espresse tempo fa, con una accorata lettera addirittura scritta tutta a mano, da ossequio di signore dei tempi andati. I Carabinieri non escono male, in fondo, da questa vicenda : ne hanno capito la gravità e hanno saggiamente rinunciato a difendere l’ indifendibile. Certo, sconcerta che nonostante le impressionanti fotografie del cadavere martoriato, si sia tentato ostinatamente fino a un certo punto,di incolpare medici o addirittura la proverbiale caduta dalle scale, ma tant’ è : meglio metterci una pietra sopra, per vera e propria carità di patria.
Anche se il baciamano del maresciallo a Ilaria Cucchi rischia di diventare una specie di foto dell’anno e mi appare assurdo quanto il bacio delle scarpe dei sud-sudanesi fatto da Papa Francesco.
Ma qualcuno, anzi tanti anzi troppi, è più realista del re. D’accordo, Stefano Cucchi non era un santo, si drogava, forse spacciava. D’accordo, pare che fosse sieropositivo (non una colpa, credo, ma semmai motivo di pietà). D’accordo, Ilaria è completamente fuori luogo nell’offrirsi candidata a sindaco di Roma per il PD ovviamente, sembra che negli ultimi giorni del fratello tanto vicina non gli sia stata, forse il tutto per lei dovrebbe portare molto lontano. D’altronde, l’Italia è piena di carriere giornalistiche e politiche originate da tragedie violente di un congiunto. E mi auguro che sia un fake l’esibizione da parte sua, della storia sbocciata col suo legale.
Ma cosa c’ entra tutto questo con l’enorme gravità del fatto in questione?
I social traboccano di rabbia e rancore contro Ilaria Cucchi, e di insulti contro Stefano sostanzialmente meritevole della sua fine atroce per essere “drogato e spacciatore”. Sembra che il mondo della cosiddetta Destra pur con noi così compatibile e ideologicamente attiguo, non perda occasione per difendere l’ indifendibile appena si scorga una qualche uniforme, ed esibire un benpensantismo vagamente sadico da bar della questura : salvo poi ravvedersi quando qualcosa del genere accade a un familiare, a un amico, a un collega se non a se stesso. Possibile che si debba sempre decidere se “stare sempre dalla parte delle forze dell’ordine”?
Il mondo del televisivo don Matteo fatto di parroci santi e carabinieri che poco ci manca tutti dediti al bene della comunità, allo stroncare il male, e al culto della Verità, non esiste e forse mai è esistito.
La realtà è che parrocchie e caserme, a volte, dico a volte, possono diventare un antro di orchi pedofli o una segreta di torture: è il mondo disturbato di oggi o forse di sempre, per cui infatti Cristo si è fatto crocifiggere . Non per questo bisogna né perdere la fede per qualche prete indegno, o disprezzare migliaia e migliaia di uomini in divisa che sbarcano il lunario per un mestiere enormemente più pericoloso di tanti altri, cercando di difenderci da delinquenti di ogni risma. E in questo senso siamo coerentissimi: chi dovesse risentirsi per questa posizione per nulla integralista, vada a rileggersi quanto nell’ ultima passata, convulsa estate, scrivemmo sia a proposito del sacrificio del carabiniere Mario Cerciello Rega sia del dolore della giovane vedova. E anche di quanto vorremmo più efficienti e attrezzate, le forze dell’ ordine tutte.
Ma per favore, guardiamo in faccia alla realtà: una divisa non rende intoccabile o non criticabile ma semmai carica di tante maggiori responsabilità.. E se siamo uomini e cristiani, togliamoci il cappello e inchiniamoci dinanzi a quelle fotografie del cadavere tumefatto e violaceo di un impressionante cadavere, scheletro già in vita.
A.Martino
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