BANZAI!

“Tenno banzai “: c’è chi traduce in “mille anni all’Imperatore”, chi invece come un augurio di lunga vita al sovrano nipponico; ma insomma la sostanza è quella.

E quello che più ci interessa, è che a settantaquattro anni dalla conclusione della seconda guerra mondiale (particolarmente catastrofica e tragica per il Giappone), il grido di battaglia dei militari giapponesi che si immolavano, spesso senza neanche un senso militare ma in una pura prospettiva metafisica di culto degli antenati e dell’ imperatore-dio difficilmente comprensibile per noi “occidentali”, risuona ancora solennemente a Tokio. Contro la violenza della Storia e della Forza.

Il primo ministro Abe lo ha urlato all’augusta presenza dell’imperatore e dell’ imperatrice simili più a delle statuine di porcellana da arte sacra che a delle persone in carne ed ossa, con i loro bimillenari abiti, circondati da oggetti la cui descrizione e comprensione richiederebbe un libro di Julius Evola o di un orientalista dell’antichità : lo scettro di legno o la fenice d’oro e tanti altri, il tutto nell’incredibile minimalismo dell’ arredamento e architettura d’ interni giapponese, in cui il sacro, il sacrale, il maestoso non sono sottolineati dall’opulenza e dallo sfarzo, ma irrompono nel vuoto, riempiono il Nulla.

Benché in carica da maggio all’abdicazione del padre Akihito, solo ora inizia ufficialmente la Era Reiwa (pace compiuta) di Sua Maestà Naruhito imperatore del Giappone, ultima terra ad avere un monarca con tale titolo , per quanto mi riguarda affascinante e suggestivo, quanto per il Pensiero Unico anacronistico e non si sa se più ridicolo o inquietante. Eppure la costituzione giapponese sotto stretta dettatura di un Mac Arthur che si presenta in camicia della divisa ma pur sempre camicia, dall’ imperatore Hirohito, dice dell’ imperatore solo che è “simbolo dello stato”: quindi , in una materialista visione occidentale e moderna (o modernista”), costui non “conta niente” anzi “non serve a nulla”.

E confesso che superficialmente e sbrigativamente, anche io la pensavo così. Ma l’immenso Nulla delle liberaldemocrazia  occidentali mi ha indotto a profondamente ripensare il Simbolo e soprattutto la Tradizione: certo, il Giappone è innegabilmente sottomesso e largamente americanizzato ora come nel 1945 ma tra noi e la Germania (gli altri grandi sconfitti del 1945) e il Sol Levante passa la stessa differenza che tra due leoni entrambi in gabbia, ma castrati e sedati e confusi, e l’altro apparentemente innocuo ma memore di ciò che è, dignitoso, fiero anche nella cattività e nella sottomissione. E forse anche pronto, un giorno, ad approfittare di qualche passo falso dei suoi carcerieri, o a ripensare l’ estremo sacrificio di un Mishima, grande scrittore apparentemente occidentalizzato e modernista che tentò di sollevare la patetica “forza di autodifesa” nel segno del riscatto nazionale e nel nome dell’imperatore. O anche ad affidare a quel “simbolo dello stato” un ruolo più per cosi’ dire, “operativo”.

Sta di fatto che la cerimonia odierna testimonia la sublime ambiguità giapponese e la contraddittorietà del suo animo moderno, che se da un lato si sono visti negare dallo stesso diretto interessato, costretto dal generale Douglas Mc Arthur, la natura divina dell’ imperatore, dall’altro ne hanno conservato intatti i gesti, i riti e i simboli. E nel Sol Levante si datano persino gli anni a partire dalla salita al trono, col nome dell’ Era imperiale: se questo è un sovrano rappresentativo, allora onore alla memoria di Hirohito, unico leader dell’Asse sopravvissuto e non spodestato, e alla sua resistenza così orientale e così spiritualista ai lanciatori di bomba atomica.

A.Martino

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