MORTO UN PAPA SE NE FA SEMPRE UN’ALTRO? RIFLESSIONI SU FRANCESCO, LA CRISI DELLA CHIESA E LO SPIRITO CHE GUIDA IL CONCLAVE

Ed alla fine, Francesco, il CCLXVI vicario di Cristo sulla Terra, se n’è andato: è tornato alla Casa del Padre così com’è arrivato, a sorpresa.
Alle 07:35 di un lunedì molto particolare – quello che ricorda l’angelo che annunciò alle pie donne, giunte all’alba al sepolcro del loro Maestro, che Gesù era risorto – ci ha lasciati. Un lunedì che, per i credenti, testimonia che la morte non è un destino ineluttabile, poiché anche noi, un giorno, risorgeremo in Dio.
Questo lunedì, a sua volta, era stato preceduto da una Pasqua altrettanto singolare: quella in cui la Pesach ebraica, la Pasqua cattolica e quella ortodossa sono cadute negli stessi giorni — un evento che si verifica, in media, ogni 20-30 anni e che porta con sé un forte valore ecumenico.
Un valore tanto più significativo in un tempo come il nostro, ancora segnato dalla guerra: sia in Terra Santa, sia in Ucraina.
Ma Dio, per chi sa riconoscerne i segni, è sempre l’unico vero Signore della Storia: colui che la guida, la accompagna e ne conosce il senso ultimo.
Non è un caso, dunque, che Francesco sia morto proprio ora, durante un Giubileo — come il suo predecessore Giovanni Paolo I — all’improvviso. E come questi, anche lui consegnerà il testimone a un altro grande Papa che, come Wojtyła, farà di sicuro la storia. Perché il suo tempo era giunto al termine. E come Mosè, che pur avendo tratto il popolo d’Israele dall’Egitto non fu ritenuto degno da Dio di attraversare il Giordano, così non sarà Bergoglio a scrivere la parola “pace” sui conflitti in atto, né a riempire nuovamente le chiese.
Perché è questa, forse, la cifra con cui i posteri ricorderanno il Papa venuto “dai confini del mondo”: un uomo dal profondo impegno personale, fisico e spirituale verso gli ultimi, verso i più poveri, verso il creato e per la pace. Ma anche, proprio per questo, un Papa spesso incompreso, divisivo, come accade con ogni autentico portatore dello “scandalo evangelico”.
La Chiesa, in fondo, è dai tempi del cardinale Pacelli e dei suoi concordati che cerca il proprio posto nel mondo, e per questo non sempre viene compresa appieno.
D’altronde, una parola che per taluni può sembrare troppo pesante o forte, per altri può apparire fin troppo leggera o debole, e viceversa.
Capita così che Bergoglio sia stato guardato con diffidenza dai vertici dell’Alleanza Atlantica quando disse che “l’abbaiare della NATO alle porte della Russia” aveva contribuito a scatenare la guerra. Così come fu giudicato con sospetto dal Cremlino quando, durante un’udienza generale del 6 aprile 2022, srotolò una bandiera ucraina proveniente dalla città martoriata di Bucha, dichiarando che il sangue innocente delle vittime “grida fino al cielo”, e invitando a mettere fine alla guerra e a pregare insieme per la pace.
Due gesti, questi ultimi, due dichiarazioni, l’una opposta all’altra, e certamente non classificabili secondo la metrica della politica umana. Ma, appunto, il Papa – per quanto sia un Re, l’ultimo monarca assoluto esistente, anche se Francesco non lo dava mai a vedere – non fa politica: il Vicario di Cristo è chiamato a fare il cristiano, e in questo caso, a lavorare per la pace e la concordia nel mondo, costi quel che costi.
E come il Re che egli era – un sovrano gesuita – Bergoglio, se in un’idea credeva, sapeva imporsi in maniera implacabile come pochi.
È stato così il trionfo della Teologia della Liberazione, il movimento teologico nato in America Latina e influenzato fortemente dal Concilio Vaticano II e dalla Conferenza di Medellín (1968), che mette al centro della riflessione cristiana la liberazione dei poveri e degli oppressi. Per i seguaci della Teologia della Liberazione, la Chiesa deve schierarsi dalla parte degli emarginati, non solo spiritualmente, ma anche e soprattutto materialmente e politicamente, in quanto Gesù Cristo è visto come colui che si fa prossimo ai poveri e lotta contro le strutture di peccato sia in chiave spirituale, sia personale e sociale. È un Dio, insomma, incarnato nella storia dei poveri, che vive nelle baraccopoli di Buenos Aires, così come nei barrios di Rio de Janeiro o tra i desaparecidos di Videla.
Tutte realtà che, ringraziando Iddio per quanto disastrato sia questo nostro vecchio continente, nessuno di noi ha mai vissuto. E questo fa sorgere il dubbio che una ricetta come quella di Bergoglio, per quanto genuina, in buona fede e ricca di intenzioni positive, non sia necessariamente applicabile o adatta a tutte le latitudini del pianeta.
Karol Wojtyła e Joseph Ratzinger, che infatti non erano sudamericani ma europei, contrastarono fortemente questa visione non per motivi campanilistici, ma perché non corrispondeva alla loro idea di comunità cristiana.
E ci può stare, anche perché la teologia non è la Parola di Dio, né la spiegazione che Dio dà di sé stesso. Perché il Signore non si spiega: si manifesta.
La teologia, semmai, è il linguaggio degli uomini: un tentativo — sempre parziale, sempre imperfetto — di comprendere e rispondere a questa manifestazione. In quanto costrutto umano, la teologia è per sua natura fallibile e fallace. Non può mai contenere Dio, ma solo balbettare qualcosa del Mistero divino. Se fatta in buona fede, è uno dei tanti mezzi della salvezza.
Tuttavia, proprio in quanto costrutto umano e quindi fallace, anche se predicata in buona fede, alla lunga, se basata su errori, può nuocere alla struttura, all’organizzazione e all’opera di evangelizzazione.
Se non fosse così, non si capirebbe come mai, nei primi anni 2000, l’Islam sia riuscito a superare la religione cattolica: 19,2% della popolazione mondiale per i seguaci di Maometto, contro il 17,2% dei fedeli che riconoscono l’autorità del Papa. Per non parlare poi dei punti persi nei confronti delle chiese evangeliche in America Latina e di quelle pentecostali e protestanti in Africa e Asia.
Neanche in Europa Occidentale le cose vanno bene: in Paesi come Belgio, Norvegia, Olanda, Spagna e Svezia, l’adesione alla Chiesa cattolica è diminuita di oltre 10 punti percentuali, con picchi superiori al 20% in alcuni casi. In Austria, Paese notoriamente cattolico, si è passati dall’89% della popolazione al 58% negli ultimi 50 anni, con una partecipazione attiva molto bassa, specialmente tra i giovani.
Insomma, l’innovazione di Papa Francesco – che tante simpatie sembrava aver attirato tra i laici e coloro che vivono ai margini della Chiesa – alla fine non ha sortito i risultati tanto sperati, e le chiese di tutto il mondo, complessivamente, continuano a svuotarsi, al di là della strategia evangelica della “Chiesa in uscita”.
Poteva andare meglio? Certo che sì! Poteva andare peggio? Assolutamente sì. E in questo mi sento di dire grazie a Papa Francesco che, benché afflitto da notevoli problemi di salute, non dimettendosi e svolgendo il proprio ministero fino all’ultimo secondo, non ha ripetuto l’errore di Papa Benedetto XVI. Infatti, se anche Bergoglio si fosse ritirato, l’istituzione Chiesa sarebbe diventata ancora meno credibile.
Un altro errore di Joseph Ratzinger è stato quello di non aver ordinato un numero tale di porporati da permettere la prosecuzione della propria teologia, molto più raffinata e colta di quella di Papa Francesco, che anche in questo frangente ha dimostrato il proprio piglio decisionista, nominando più Principi della Chiesa di quanto previsto dalla “Costituzione Apostolica Romano Pontifici Eligendo”, redatta da Papa Paolo VI nel 1975, e che prevedeva un numero di “berrette” non superiore alle 120 unità: Francesco ne ha nominati ben 108, cioè l’80% del totale, portando così il conclave al numero di 135 porporati. I cardinali ancora elettori (cioè sotto gli 80 anni di età) nominati da Ratzinger sono solo 22, e quelli creati da Giovanni Paolo II, miracolosamente, 5.
Chiara anche la geopolitica del Re dei gesuiti, per il quale il futuro della Chiesa è tutto in Asia, Oceania e Africa, continenti in cui, seppur sensibilmente, il numero assoluto dei cattolici e le relative percentuali sono cresciute, lenendo le perdite nel Vecchio Continente e nelle Americhe: Filippine, Vietnam, Corea del Sud, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone sono le nuove ferventi comunità, prolifiche tanto per le anime quanto per le nascite, così come la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria, l’Uganda, la Tanzania e il Kenya.
Ma si sa, “chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova” … ed allora, francamente, se mi è concesso esprimere la mia idea, non ha senso concedere la berretta a comunità come quelle dell’Algeria e del Marocco, in Africa, che rappresentano rispettivamente 4.700 cristiani la prima e 25.000 persone la seconda, pari l’una allo 0,1% e l’altra allo 0,07% dell’intera popolazione; così come nominare cardinali i vescovi dell’Iran e della Mongolia con i loro 21.000 cristiani persiani (cioè pari allo 0,02% della terra degli ariani) e i 1.500 abitanti della Steppa (pari allo 0,05% della popolazione totale), a discapito di comunità certamente in crisi come quella irlandese e austriaca, ma che da sempre hanno avuto numeri importanti e per le quali, a questo conclave, nessuno voterà.
Ma le piccole comunità appena citate non sono le uniche a essere state rappresentate in conclave. È sempre stato Bergoglio a dare peso, ad esempio, a realtà che nei loro Paesi non arrivano neanche all’1% del totale della popolazione. È questo il caso di: Giappone, Cina, Thailandia, Iraq, Pakistan ed Etiopia.
Vogliamo dunque abbandonare al loro destino di scristianizzazione Paesi come il Belgio, l’Olanda, la Francia, la Germania, la Spagna, la Svizzera e, udite udite, il Guatemala?
Penso proprio di no, ed il futuro Papa, oltre alle tante turbolenze in atto — dal fenomeno delle migrazioni alle guerre — sarà chiamato anche a rilanciare la Chiesa in tutto il mondo.
Certo, con i numeri imposti da Francesco, il successore dovrebbe continuare nel solco del suo predecessore, ma si sa, in conclave, alla fine, è lo Spirito Santo a dettare legge ed avere l’ultima parola. E chissà se coloro i quali con Bergoglio hanno condiviso una visione — e per questo elevati alla berretta cardinalizia — alla fine resteranno fedeli al loro confratello o sposeranno idee e strategie a noi totalmente sconosciute … “Deus tantum scit.”
Lorenzo Valloreja
Lo Spirito Santo guiderà il conclave per la migliore scelta possibile