ARRIVA DALLA ZECCA DI ROMA UN OMAGGIO DA UN CHILO DI ARGENTO A MICHELANGELO. MA NON E’ UNA VERA MONETA, QUELLE SI METTONO IN CIRCOLAZIONE E NON SI VENDONO…..

Il sommo artista Michelangelo Buonarroti (1475-1564, uno dei principali interpreti della creatività italiana e tale in un’epoca in cui l’Italia era ben lungi dalla unità politica), non è affatto nuovo a interesse da parte della numismatica; a prescindere dal magnifico biglietto di banca da 10.000 lire che tra il 1962 e il 1977 frequentò le nostre tasche.
Ciò tanto in prima persona, quanto attraverso le sue opere pittoriche, architettoniche e scultoree che appartengono al Bello universale, e che tale riconoscimento non stentarono affatto a ottenere praticamente da subito, ancora il Divin Maestro in vita.
A parte tutta una serie di medaglie e monete sia italiane che papali e non solo, vorrei ricordare la 1000 lire argentea del 1970 raffigurante la pavimentazione e la pianta della piazza del Campidoglio, e la 500 lire sempre nel pallido metallo (emessa nel 1975 solo per collezionisti e raffigurante la Sibilla delfica del celeberrimo immenso affresco del Giudizio universale nella Cappella sistina, emissione assolutamente comune e di infimo valore commerciale).
Oggi la zecca di Roma (ufficialmente Istituto poligrafico e zecca dello stato), officina monetale dalla tradizione intuibilmente maestosa, ha deciso di esagerare, emettendo nel cinquecentocinquantesimo dei natali in Caprese del Sommo non solo “normali” pezzi da 5 euro in argento e 10 euro in oro (che comunque non spenderemo mai), ma soprattutto uno da nominali 25 euro pesante ben un chilogrammo. L’operazione commerciale si iscrive nella tendenza ormai pluridecennale di diverse zecche (soprattutto quelle di Londra e dell’area Commonwealth) a coniare monete-lingotto, anche di peso esorbitante come il suddetto se non superiori.
La “moneta” dalla tiratura di appena 200 esemplari rappresenta sul diritto un ritratto dell’artista rinascimentale avente per sfondo la suddetta piazza del Campidoglio; sul rovescio l’ormai pop raffigurazione del gesto creativo dell’Onnipotente (il dito divino genera quello umano).
Per possedere l’ingombrante nummo si dovranno sborsare millecinquecento euro, altro che venticinque. La somma appare a mio modesto parere, eccessiva. Pur dando atto della esiguità dei pezzi coniati che dovrebbero fare la rarità, alla quotazione di mercato un chilogrammo di argento quota oggi 950-1000 euro. Ed è da vedere se un pezzo del genere, in fondo più medaglia che moneta e creato per motivi commerciali che non gli daranno mai il fascino dell’essere passato di mano in mano fra persone che non ci sono più, anche di epoche remote, scatenerà tanta passione numismatica. Potrebbe anche trovarsi a essere quotato, semplicemente, per il valore dell’argento contenuto.
Considerate anche le oscillazioni del valore commerciale dell’argento, una garanzia di valore legale a venticinque euro appare francamente beffarda: avrebbero potuto stabilire il corso legale almeno a 500 euro.
Per quanto mi riguarda, la più pesante, e vera, moneta vista in Italia resta paradossalmente proprio la prima coniata dalla zecca di Roma nei primi secoli della repubblica: ovvero, lo aes grave (o aes librale). Il pesante nummo era in bronzo ed inizialmente fuso, per poi passare successivamente alla battitura con mazza. Il valore del bronzo che conteneva era legato alle unità di peso romane con un valore iniziale di una libbra latina (273 g), che poi passò ad essere pari ad una libbra romana (327 g).

A. Martino
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