CENTO ANNI FA MUORE A MONACO DI BAVIERA MARIA SOFIA ULTIMA REGINA DELL’ITALIA DEL SUD E…SIGNORA DEGLI ANARCHICI

Cento anni fa moriva a Monaco di Baviera (nella sua terra natale) Sua Maestà delle Due Sicilie la ottantaquattrenne Regina vedova Maria Sofia. Ella è l’ultima regina legittima (secondo visione borbonica e secondo diritto istituzionale legittimista, nonché per sentimento tradizionalista) dell’ Italia che va da Teramo fino a Siracusa ovvero di quello che fu il Regno delle Due Sicilie.

Tale stato, di cui già il re napoleonida di Napoli, Gioacchino Murat, si era proclamato re del tutto nominalmente essendo la Sicilia saldamente in mano britannica, fu ufficializzato con il Congresso di Vienna che esortò ( o a costui impose)  Ferdinando di Borbone, al ritorno da Palermo, di reinsediarsi a Napoli come appunto, Ferdinando I delle Due Sicilie e non più come titolare e della corona napoletana e di quella sicula . Nella metà meridionale d’ Italia, dai confini continentali praticamente intatti fin dalla remota dinastia normanna, popolazioni dai dialetti abbastanza simili, di straordinaria religiosità e fedeltà a Roma fino persino al fanatismo o alla superstizione, vissero per secoli le identiche sorti (o sventure) tra cui anche il lungo periodo di viceregno spagnolo che non fu esattamente o almeno non per tutti o non dovunque, una decadenza civile e morale secondo la visione protomodernista del Manzoni.

Ma anche la Sicilia, laddove avrebbe potuto frammentarsi in non so quante signorie o in tre o quattro principati, aveva conosciuto, dopo la dominazione islamica, ormai secoli e secoli di compattezza amministrativa e politica.

Tutto questo preambolo, per dire, ignorando la diatriba sul sacco piemontese sì o no, che laddove si parli o scriva di Regno di Napoli o di Sicilia o delle Due Sicilie come di staterelli governati da satrapi più o meno tirannici e più o meno ridicoli, si farebbe meglio a (ri)collegare la bocca (e la mano) alla realtà storica e non a una “fiction” per telemasse. E si vada a vedere le fotografie di un monetone di oro puro da trenta ducati, che se dovessimo prendere a simbolo economico allora mancheremmo di carità di patria repubblicana verso la famosa monetina d’argento da cinquecento lire comprabile oggi a non so se dieci o quindici euro.

A Ferdinando I figlio del grande Carlo III monarca di Napoli e poi di Spagna (scomparso proprio duecento anni fa) successe lo scialbo Francesco I re per appena cinque anni, cui succederà l’energica, patriarcale bestia nera dei liberali di tutto il mondo Ferdinando II. Egli, purtroppo, quando ai primi del 1859 suo figlio primogenito (e di primo letto) Francesco duca di Calabria imminente Francesco II sposerà (per procura, forse ultimo sovrano d’Europa a farlo) la principessa bavarese (non di titolo) Maria Sofia Amalia, era già gravemente malato e morirà, tra grandi sofferenze cristianamente portate, a maggio mentre infuriava la guerra franco-austro-piemontese ribattezzata Seconda guerra d’indipendenza sui libri di scuola.

La diciottenne ragazza bavarese si troverà quindi, con praticamente nullo apprendistato da principessa ereditaria, sì con la corona del “paese più bello del mondo” ma anche in un momento complicato e straordinariamente ostile a tale trono (si veda anche a tale proposito l’eccellente articolo del direttore Valloreja di qualche settimana fa), a fianco di un marito non certo stimolante ed entusiasmante. Infatti, quello che passerà alla storia col nomignolo Franceschiello tremendamente caricato di ridicolo e compatimento e non di affetto, non era uno stupido e un inetto ma rispondeva alla straordinaria immagine di Tomasi da Lampedusa del “seminarista vestito da generale”; e, dal suo punto di vista soprattutto, non era ancora capace di consumare il matrimonio per una problematica fisica risolta chirurgicamente solo nel periodo del primo esilio romano. 

Ciò che fa di Maria Sofia una figura straordinariamente interessante e moderna, al di là delle incrostazioni mitologiche cui non rimase indifferente neanche il D’Annunzio dell’ “aquiletta bavara”, è la evoluzione ideologica persino vagamente inquietante per molti ma per me affascinante, maturata pienamente dopo la scomparsa del suo re nel 1894 in Trentino e quindi in una maggiore libertà di movimento e iniziativa. Tale straordinaria intuizione politica la portò a fare della sua mini corte in esilio di Neuilly sur Seine alle porte di Parigi, uno dei più importanti e oscuri centri di eversione internazionali, crocevia di anarchici di assoluto spessore intellettuale (basti pensare a Enrico Malatesta) come di finanziamenti cospicui quanto misteriosi nelle fonti. Arrigo Petacco nel suo “ Maria Sofia. La Regina del Sud” cercò di fare un po’ di luce in questo viluppo tra la penna di Ken Follett e quella più romantica di Alexandre Dumas.

D’altronde già all’epoca, si sapeva bene (e anche in svariati rapporti di polizia) di questi agganci parigini con l’anarchia, ma la stampa e l’opinione pubblica main stream dell’epoca, anche e soprattutto quella sedicente conservatrice, non li presero mai sul serio più di tanto ritenendoli assurde e patetiche manifestazioni di una donna sull’orlo della vecchiaia, straniata dall’esilio e dalle sventure familiari (una per tutte il regicidio dell’amata sorella Elisabetta imperatrice austro-ungarica detta Sissi proprio ad opera di un anarchico “cane sciolto”). Non si avvertiva quindi, o piuttosto si cercava di ridimensionare, il potenziale esplosivo dell’intreccio fra residue velleità legittimiste in Italia e azione anarchica ormai decise a passare dai conciliaboli francesi con la misteriosa “signora” di cui nei carteggi fra leaders anarchici, ai fatti concreti.

E quando la selvaggia repressione dei moti milanesi per il carovita nel 1898 fa sembrare i tempi propizi, ecco che un certo anarchico al nome Gaetano Bresci, certo non un soggetto di spicco ma ben noto tanto alle autorità statunitensi quanto alle italiane, uccide nel 1900 re Umberto I secondo re dell’Italia unita. Ma se per gli anarchici fu una cambiale all’incasso per la strage milanese e la medaglia al “macellaio” generale Bava Beccaris, tuttora nei loro ambienti mitizzata, per i legittimisti e quindi Maria Sofia si risolse in una vendetta fine a sé stessa. Il nuovo monarca costituzionale d’ Italia Vittorio Emanuele III ebbe un lampo di genio: la non vendetta a sua volta, e il rafforzamento democratico delle istituzioni liberali.

Ma la ex regina non si diede per vinta: ancora tanti i progetti di macchinazioni, massima parte di cui mai si saprà grazie anche a tante pagine di atti di polizia e ministeriali “stranamente” scomparsi. Con Giolitti, a causa del rifiuto francese di collaborazione, il governo di Roma fu costretto a ricorrere persino a investigatori privati.

 Né si diedero per vinti i più irriducibilmente vagheggianti una sempre meno probabile riscossa dell’Italia legittimista e cattolica, i più legati al partito che a Vienna faceva capo all’ erede al trono Francesco Ferdinando (figlio di Maria Annunziata sorellastra di Francesco II).

E arriviamo alla prima guerra mondiale. Come non pensare a questa irriducibile tremenda vecchia, quale “mente” di gravi sabotaggi dopo l’ intervento italiano e l’espulsione dalla Francia quale cittadina tedesca? Le Regie navi Leonardo Da Vinci al largo di Taranto e Benedetto Brin a Brindisi perirono con centinaia di marinai per mai davvero spiegate esplosioni tra il 1915 e il 1916, e la Regina Margherita andò dritta non su una mina ma in un campo di mine; a Napoli l’acquedotto fu avvelenato.

Furore teutonico? Paranoia vendicativa di una vecchia regina detronizzata che in fondo, per ben poco e da ragazza, si era goduta il suo bellissimo reame? Non me la sento di escluderlo del tutto, non parliamo di una santa e nella sua famiglia reale di Baviera dei Wittelsbach (Sissi e Ludwig in primis) non si brillava per pacatezza dei comportamenti e delle visioni.

La vittoria, fra il 1917 e il 1918, parve alla portata degli imperiali eserciti di Vienna e Berlino, pur sacrificando al neogiacobinismo in edizione russa il regno più esteso del mondo.

Ma la realtà fu ben altra. Il terreno del mondo monarchico e tradizionale europeo, in lento ma continuo smottamento, in quell’ autunno 1918 crollò rovinosamente e di schianto una volta per tutte: senza rimedio e possibilità alcuna di restaurazione. Intorno a Maria sofia, quindi, macerie ovunque: solo ricordi come da secoli precedenti e non da decenni. Ma persino tra quelle macerie riuscì a “rimanere in piedi”, per dirla con l’ Evola. Osservatrice dei tumulti rivoluzionari in Monaco di Baviera in cui sta per nascere l’astro di un certo reduce di guerra di origini austriache, l’affascinante vecchia signora intervistata da Ansaldo per il Corriere della sera è ormai solo e semplicemente il venerabile punto di riferimento degli ultimi principi europei, spodestati o “rappresentativi”; è incuriosita da questo “signor Mussolini”. E non riesce ad evitare, neanche allora, una specie di maledizione verso Casa Savoia profetizzandone la caduta.

A margine delle sue cene col Nunzio apostolico in Baviera mons.Pacelli, futuro Pio XII, avrà mai confessato tutti quei marinai italiani periti sulle loro navi o il regicidio di Monza? Forse, o forse no: la sua coscienza era probabilmente del tutto tranquilla come quella di qualunque soldato perché ella tale si sentì fino all’ultimo come quando sfidava il fuoco piemontese sugli spalti di Gaeta. Maria Sofia fu l’ultimo dei soldati delle Due Sicilie. Ma avrebbe preferito essere solo una regina: la regina del suo Franceschiello, che dopo averla vista non faceva che mormorare quanto fosse bella.

Anche questo, ha potuto il mondo moderno: trasformare una leggiadra principessa delle favole in ex regina terrorista.

A. Martino                     

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