IL GARBO DELL’ALLEATO: LA MONARCHIA INGLESE INSEGNA, L’ITALIA DIMENTICA!

Benché non sia un estimatore della Gran Bretagna, né tantomeno della Corona inglese, devo ammettere che il discorso pronunciato in italiano da Carlo III durante la sua visita al Parlamento italiano mi ha colpito positivamente. Infatti, dall’alto dei miei cinquant’anni di vita, non credo di ricordare alcun altro Capo di Stato estero — ad eccezione di Ursula von der Leyen, che tuttavia non è un Capo di Stato — che, nella storia repubblicana, abbia mai tenuto un intero discorso nella lingua di Dante.

In passato, certo, ci sono stati altri leader stranieri, come Re Felipe VI di Spagna, che hanno introdotto i loro interventi in italiano, ma che puntualmente hanno poi proseguito nella loro lingua madre. Dunque, per una volta, vedere il capo della madrepatria della lingua ufficialmente globale inchinarsi all’italiano è stato un gesto di grande cortesia e signorilità — un gesto che solo un Re poteva compiere.

E questo mi porta ad apprezzare ancora di più, al di là delle polemiche, la qualità dell’istituto monarchico rispetto al pressappochismo delle classi dirigenti repubblicane.

Un altro aspetto che ho apprezzato è il fatto che, nel discorso di Carlo, non si sia mai menzionata né l’UE, né tantomeno il fatto che l’Italia faccia parte dell’Unione. Finalmente si è tornati a trattare l’Italia per quella che è: una Nazione sovrana, con una propria cultura, una propria storia, le proprie eccellenze — e non una mera espressione geografica, così come qualcuno vorrebbe che lo Stivale, attraverso le continue cessioni di sovranità, tornasse ad essere.

Ma se questa esteriorità colpisce il mio animo e liscia il pelo al mio orgoglio nazionalista, dall’altro lato la mia logica, il senso critico e quel cinismo che ormai ha raggiunto vette inenarrabili mi dice che Re Carlo non è venuto in Italia, in occasione del suo ventesimo anniversario di matrimonio, solo perché appassionato di Dante, dell’arte e della cucina italiana. È venuto anche — e soprattutto — perché siamo tornati nel tempo delle Nazioni. E ora che Trump, con la questione dei dazi, ha alimentato l’antiamericanismo tra le fila del deep state europeo, la Gran Bretagna, in competizione con la Francia e diffidente verso gli Stati Uniti, sembra voler estendere la propria anglosfera anche al nostro Paese.

Il messaggio, infatti, benché tra le righe, è chiarissimo: “Lasciate stare gli Stati Uniti, sono inaffidabili! Così come lasciate perdere i francesi, con i quali avete firmato sì un accordo — il Trattato del Quirinale — ma noi siamo meglio dei francesi. A differenza loro, vi abbiamo sempre favoriti, fin da quando ospitammo Mazzini e Cavour a Londra, passando per il maggio del 1860, quando Garibaldi sbarcò vicino a Marsala, in Sicilia, e due navi da guerra della Royal Navy erano lì a vegliare; o ancora quando combattemmo al fianco degli italiani nella Prima guerra mondiale. E poi, per liberare questo Paese dal nazifascismo, lasciammo sul campo, tra la Sicilia, Anzio e Montecassino, quasi 30.000 soldati del Regno Unito, più altri 45.000 provenienti dalle nazioni del Commonwealth. Noi siamo ancora una potenza, e infatti, al di là delle chiacchiere di Trump, io sono il re del Canada ed ho modi più civili ed umani di tutti gli altri leader. Io rispetto l’Italia, la tratto alla pari, come un vero alleato, tanto che rispetto ed onoro sia la vostra lingua che gli oltre 450.000 italiani che hanno scelto di vivere nel Regno Unito. Non date ascolto a chi non crede nel cambiamento climatico, o a chi vuole distogliervi dai nostri comuni impegni in Ucraina. Il riarmo è cosa buona e giusta, perché questo programma genererà migliaia di posti di lavoro nei nostri Paesi e testimonia la fiducia reciproca che ci unisce — come il nostro progetto congiunto di costruire il prossimo caccia di nuova generazione attraverso il Global Combat Air Programme, insieme al Giappone.”

Insomma, è fuor di dubbio che Re Carlo sia un grande diplomatico e sappia vendere bene i suoi argomenti. Tuttavia, mi verrebbe da chiedergli: tanta bontà dove si è persa quando, alla fine della Grande Guerra, mentre Londra e Parigi si impolparono letteralmente tutto l’impero coloniale prussiano e ottomano, all’Italia non garantirono nulla, favorendo così prima la nascita del mito della “Vittoria Mutilata” e poi l’ascesa del fascismo? E quando, nel giugno 1935, la Gran Bretagna firmò unilateralmente il Patto Navale Anglo-Tedesco, che consentiva alla Germania di ricostruire una flotta fino al 35% di quella britannica, dopo che solo nell’aprile dello stesso anno, alla Conferenza di Stresa, Chamberlain, Mussolini e Laval avevano sottoscritto un patto per il mantenimento dello status quo in Europa e il contrasto all’espansionismo nazista?

Perché, l’anno successivo, la Gran Bretagna isolò — insieme alla Francia — l’Italia con le sanzioni per la campagna d’Etiopia, gettandola così tra le braccia della Germania? Perché nel 1947 la Gran Bretagna non fece nulla, non dico per far sì che l’intera Istria rimanesse all’Italia, ma almeno perché venisse rispettata la Linea Morgan, e la Zona B dell’Istria insieme alla città di Pola restassero italiane? E ancora, perché non si fece nulla per garantire il trono a Umberto II?

Insomma, gli inglesi, per quanto sorridenti e di modi gentili, alla pari dei francesi, non sono affatto affidabili. E anzi, come e più dei francesi, forse sono rei anche di essere politicamente ciechi, perché la rivoluzione di Trump non è un vento passeggero, ma uno tsunami che ha modificato per sempre gli assetti geopolitici fin qui conosciuti. E il Regno Unito, mettendosi in competizione con la Francia, accelererà — senza ombra di dubbio — la propria decadenza e inconsistenza geopolitica.

Altra cosa è la situazione italiana, in questa tempesta.

Il nostro Paese non è paragonabile alla Gran Bretagna né alla Francia. Noi, rispetto a loro, siamo delle pulci. Ma, seppur militarmente più inconsistenti ed evanescenti, abbiamo dalla nostra, come direbbero gli amici siciliani, la consistenza del giunco. E dunque:

Càlati juncu ca passa la china”,

cioè: è meglio piegarsi come un giunco finché passa la piena.

Essere flessibili, duttili, adattabili: qualità che, per la loro struttura e arroganza, né Londra né tantomeno Parigi potranno mai possedere.

Tuttavia bisogna anche comprendere che tutti hanno da insegnarci qualcosa e in questo momento storico mi sento in dovere di ringraziare Re Carlo per due motivi principali:

Il primo è che, con il suo aplomb e la capacità oratoria e simbolica, ha dimostrato quanto l’Istituto Monarchico sia superiore a quello repubblicano ed a tal riguardo non posso non citare l’intervista rilasciata al Corriere della Sera pochi giorni fa da Aimone di Savoia-Aosta, legittimo pretendente al trono del Regno d’Italia, il quale con la stessa signorilità e capacità comunicativa di Carlo III ha commentato le dichiarazioni del Presidente Sergio Mattarella riguardo alla Russia e al conflitto in Ucraina. Nello specifico, Aimone di Savoia, che ha vissuto e lavorato per trent’anni a Mosca, ha espresso la sua opinione sul fatto che sia stato un errore non cercare un dialogo con Vladimir Putin, sottolineando l’importanza di comprendere la mentalità russa e di considerare i loro interessi. Riguardo poi alle critiche mosse da Mosca al Presidente Mattarella, Aimone ha affermato che il Presidente italiano è una persona di principi e non aveva intenzione di offendere nessuno, ma di sollecitare una riflessione. Ha aggiunto che la reazione della portavoce russa Maria Zakharova è stata scomposta e che non si può minacciare il Presidente Mattarella. Quindi è riuscito nell’arduo compito di difendere sia le ragioni russe che le prerogative di Mattarella senza pestare i piedi a nessuno, come appunto avrebbe dovuto fare ogni buon capo di Stato. Ragion per cui mi auguro sempre che la profezia di Padre Pio su Casa Savoia, per il bene del nostro Paese, possa sempre esaudirsi.

La seconda questione è che tutti i nostri problemi demografici ed economici sono legati proprio a quei 450 mila italiani in età fertile (maschi e femmine dai 20 ai 50 anni, nella stragrande maggioranza dei casi laureati e formati) che hanno deciso di trasferirsi nel Regno Unito: è nostro compito precipuo, per il bene dell’Italia, che maturino le condizioni affinché tutti costoro possano ritornare a vivere e lavorare nel Bel Paese … questa dovrebbe essere la priorità di ogni governo, altro che gli sbarchi …

Lorenzo Valloreja

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