A COSA MIRA REALMENTE, E QUALI SONO GLI SCOPI, DEL CICLONE DEI DAZI DI TRUMP?

D.J.Trump, come ampiamente annunciato in campagna elettorale e allo stesso insediamento del 20 gennaio, sta iniziando a rivoltare come un calzino (o almeno ci prova) il mondo, soprattutto dal punto di vista economico e commerciale. Ma certo, è abitudine politica occidentale che ciò che si dice in campagna elettorale, serva solo ad acchiappare i voti del popolino: la conquista del potere, poi, omologa vincitori e perdenti producendo una specie di manuale per l’uso invariato quanto meno dall’inizio della grande globalizzazione coincidente con l’irruzione della Cina “fabbrica del mondo” negli anni Novanta.

Si sono svolte le più grandi proteste dall’inizio del suo mandato, non direi proprio imponenti ma in tante diverse città degli States (ovviamente, indette e coordinate dalla sinistra sorosiana e globalista che ha avuto cura di coinvolgere tutti i cinquanta stati). Esse protestano contro ben più che la semplice colossale operazione Liberation day dei dazi, ma naturalmente anche per la difesa dei “diritti” (all’immigrazione fai da te compresa) e in genere contro tutta l’impalcatura del Trump bis.

Sia il ministro del Tesoro che Elon Musk alla guida del DOGE (dipartimento per l’efficienza governativa) sembrano prossimi alle dimissioni.

Musk in collegamento con un evento leghista, si è detto sperare, in pratica, nella rimozione dei dazi (non è proprio una svolta moderata se si tiene conto delle sue dichiarazioni circa un prevedibile, non ho capito bene perché, boom terroristico in Europa). Ma teniamo conto che, ad oggi (vallo a sapere, tra un mese o uno o due anni), se fosse stata eletta la Harris e non Trump, lo scotto pagato all’appoggio massiccio e invasivo a The Donald sarebbe stato sicuramente inferiore ai dividendi (in danni e non in profitti) della vittoria.

Boicottaggio delle auto Tesla con atti di terrorismo verso le concessionarie e i proprietari delle vetture vendute, crollo dell’azione in borsa con crollo di Wall Street e globale ovviamente a parte, attacchi alla persona e alla credibilità imprenditoriale di Musk. E’ chiaro cha la Cappa (à la Veneziani parlando) non si rimuove tra l’oggi e il domani, non si distrugge l’egemonia culturale della sinistra pensierounicista e woke con la bacchetta magica. Nonostante tutto, moriremo politicamente corretti? Spero di essere pessimista, ma i passi troppo veloci, e troppo più lunghi della gamba non sono certo un aiuto. Il mostro andrebbe cotto a fuoco lento.

Eppure, i dati Usa del mese di marzo, salvo un lieve aumento dell’inflazione, sono assai positivi in termini di posti di lavoro. E per il WTO, la contrazione degli scambi a causa dei dazi di Trump nel 2025 dovrebbe essere non superiore all’ 1%: non esattamente una bomba nucleare commerciale.

Nonostante gli scandalizzati allarmi europei e il “vendetta tremenda vendetta” da narrativa secondo i canoni del rito di Bruxelles (ovvero la pessima idea, in pratica, di rispondere ai dazi con i dazi da elaborare addentrandosi nel terreno proprio di Trump), il pensierino di collocare  più lavorazioni nel Nuovo continente, gli oligarchi e tycoons del Vecchio (di certo non solo John Elkann)  lo stanno facendo e come. 

E’ vero che le borse sono crollate in modo rovinoso (Milano ha bruciato circa il 10% di capitalizzazione solo fra giovedì e venerdì e le altre, Wall Street in testa, non hanno fatto di meglio anzi piuttosto di peggio), ma in fondo le quotazioni azionarie, con l’economia reale, c’entrano sì ma non molto. E’ dalla crisi del 1870-75 che vivono di “crolli” (o meglio, direi, di temporanei afflosciamenti), buoni a sacrificare le solite vittime del panico amplificato dal micidiale automatismo odierno dello stop loss dei fondi azionari. Questi terremoti del mercato mobiliare non sono causati da quisquilie (non lo è certo una guerra mondiale che pure se ebbe una fine ebbe pure un inizio o un Undici settembre che era pur sempre un atto, pur spaventoso, di terrorismo più che di guerra; come non lo è una pandemia con autosegregazioni di intere nazioni già sapendo che arriverà il salvifico vaccino). Ma piuttosto, traendo spunto da queste effettive disgrazie collettive, con la scusa o pretesto di una qualche fine del mondo in atto, si buttano giù più o meno tutte le valorizzazioni vendendo nel primissimo impulso ribassista a buone quotazioni, per poi aumentare la ricchezza di chi (ri)comprerà a prezzi decisamente outlet quello che varrà il doppio o il triplo nello spazio di mesi.  

Il tabellone di Trump enucleante i dazi verso ogni singolo stato e l’Unione europea (quindi anche verso l’Italia e l’Ungheria, chiaro messaggio per smarcarsi dall’eurocrazia) è davvero singolare: lo si ottiene col deficit USA verso ogni singola controparte e lo si divide per il valore delle importazioni. Il quoziente, moltiplicato per cento, viene finalmente diviso per due. Per Trump, dazio passivo è pure l’applicazione della IVA alla dogana europea. Esclusa da questa innovativa ragioneria la Russia: così sanzionata, ha in effetti un senso che naturalmente ci si sforza di non cogliere.

In realtà, Trump sta solo tentando neanche di distruggere, quanto di rifondare su basi meno finanziariamente artefatte la globalizzazione, e di salvare il futuro economico degli USA. Vuole smetterla di erogare bilioni e bilioni di dollari per comprare qualunque merce dato il declino produttivo inesorabile degli USA (dollari con i quali i suoi partners, Cina in primis, acquistano un debito che anziché diminuire alimenta sé stesso). E si è semplicemente costruito una base brutale fino all’estorsivo, di trattativa con ogni singola controparte, mirando in fondo all’obiettivo reale che è una massiccia svalutazione del dollaro che renderà convenienti le rinate esportazioni americane e qualunque attività e permanenza in America. Non dimentichiamo in questa ottica la appena varata e significativa, forse emblematica di tutto, “gold card” che alla decisamente non inclusiva cifra di cinque milioni di dollari, offre praticamente e senza tante lungaggini e burocrazie, pieni diritti residenziali e imprenditoriali negli USA. La card già nota anche come Trump card (proprio come quella risolutiva di certe situazioni del poker ma con la t minuscola), apparentemente davvero una sfoglia d’oro, reca raffigurati statua della Libertà, l’aquila dal collo bianco simbolo degli USA e (clamorosamente per una repubblica) l’immagine dello stesso The Donald.

Lo specifico problema italiano in questo, sta nel doversi rimettere nella gabbia europea, in pratica, alle valutazioni da parte degli interessi, e del buon cuore, franco-germanici. E che il Parmigiano reggiano può essere, magari maldestramente, imitato (anche in America esistono vacche da latte). Non così è per i vitigni figli di passioni e affari secolari, ma ormai anche in California si fa del buon vino.

A. Martino  

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