CROLLA LA PRODUZIONE INDUSTRIALE, E A LUNGHI PASSI ARRIVA LA SANMARINIZZAZIONE DELL’ITALIA

La produzione industriale, secondo i dati ISTAT, è scesa nel 2024 del 3,5 % con un fondo, su base mensile nel solo mese di dicembre, addirittura del 7,1 %.

Troppo facile (e non conducente ad alcuna reale conclusione strutturale) addossarne tutta la colpa al governo Meloni. E sarebbe miope e in un certo senso provinciale, non precisare che tale tendenza riguarda tutta l’ Europa più o meno (basti pensare al declino tedesco). La tendenza statistica vi è dal 2022 (ovvero dalla guerra russo ucraina e conseguente orgia sanzionatoria verso il famoso “aggressore” che, guarda che coincidenza, ci ha chiuso uno dei maggiori mercati di interscambio bilaterale e di materie prime). A quanto pare, le commesse a Leonardo in armamenti forniti all’ Ucraina, non hanno assolutamente bilanciato la situazione ma meno male che almeno Leonardo sopravvive: siamo oscenamente portati a dire con Alberto Sordi “finché c’è guerra c’ è speranza”.

Certo, impensierisce (e personalmente non nego che mi sembri persino strano) il crollo di dicembre (pur tenendo dei giorni festivi non lavorativi). Sono un pessimo biglietto da visita per l’anno giubilare 2025, e per la futura determinazione del pil ci si prepari a serrare i denti.

Si conferma drammaticamente quanto scrivo, e scriviamo noi de L’Ortis sul declino economico italiano, su cui non serve ormai a nulla piangersi addosso, ma piuttosto occorrerebbe che l’ Italia si rendesse di nuovo padrona del proprio destino.

“Make Italy great again” ? Impossibile, dentro l’ Unione europea e senza sovranità monetaria. Lo smantellamento dell’ “automotive” (così si chiama l’ industria automobilistica sulla lapide tombale da quando FIAT ha reciso il cordone ombelicale con l’ Italia) fa sentire il suo effetto, e soprattutto lo fa la follia green.

“Ma dove andiamo da soli”? Ma certo, fate voi che ne capite di più. E allora, vi dico io, però, dove stiamo andando (non tra cinquanta o venti anni), ma fra cinque o dieci al massimo. E mi arrogo persino (oggi 16 febbraio 2025) il copyright di un lemma finora inedito: “sanmarinizzazione”.

La repubblica di San Marino mi piace tantissimo: è una cittadina – centro commerciale in stile medioevale (anzi, proprio costruita nel suo nucleo alto più antico nel Medio Evo). La parte bassa, dal punto di vista edilizio moderna, accessibile ai mezzi a motore e più funzionale per i residenti, ospita banche, istituzioni statali e municipali, e strutture finanziarie e commerciali varie utili al consumatore residente (che certo non può mangiare emissioni filateliche e numismatiche o magliette con la celebre immagine del Monte Titano fortificato).

Ma la città vecchia, è un vero paradiso per turisti e gitanti vari. Botteghe di tutto (gli immancabili souvenirs made in China, abbigliamento, cartoleria, specialità enogastronomiche locali e romagnole, negozi di filatelia e numismatica, e persino di armature medioevali ovviamente non d’epoca o addirittura di spade giapponesi). Musei e museetti tra cui uno su mostri più o meno mitici e un altro sulla pena di morte nei secoli.

Ma Roma, ormai, non è già così? Cosa si produce a Roma? Cosa sarebbe, economicamente parlando, della Città Eterna, se non fosse la principale meta storico-turistica del mondo, e non ospitasse gli italici palazzi e palazzine del Potere oltre che essere il centro della Chiesa (post)cattolica? Sindaci atei e lontani dalla tradizione cattolica non si aggrappano a investimenti stranieri o insediamenti industriali in periferia ma alla ristorazione e alla “ricettività” (attività alberghiera peraltro distrutta dall’esplosione degli albergatori fai da te del bed and breakfast) e disperatamente, a questo Giubileo e al prossimo straordinario del bimillenario “della morte di Gesù Cristo” (non parlano della Resurrezione, sono laici…).

Consumismo amatoriale a parte, San Marino ha da offrire “eccellenze” come la piadina o certi squisiti dolci. La centesima o duecentesima parte di quanto offra la grande sorella Italia, certo. Ma non è il parmigiano reggiano o il Nero d’Avola o le mele del Trentino, non sono i biglietti che fanno pagare per visitare il teatro greco di Taormina o adesso il Pantheon, a fare una potenza economica.

Sono la siderurgia, la metalmeccanica, i razzi spaziali (siamo nel 2025),ma anche la paccottiglia più infima dalle ciabatte di plastica ai jeans di scarsa qualità. Però, neanche i misteriosi esperimenti nelle viscere del povero Gran Sasso. Il turismo è indubbiamente una gran risorsa, ma la benedizione per economie emergenti, non per chi sta nel G 7. O appunto per città stato (ma neanche è detto, basti pensare a Singapore che però ha indubbiamente più territorio della repubblica del Titano).

Il declino economico e la sanmarinizzazione sono ormai certificati nella loro progressiva irreversibilità: ci salverebbe solo un Trump italiano.

A. Martino

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