UNA VERGOGNA SENZA FONDO: GLI ATTI GIUDIZIARI RIGUARDO ALLA SCOMPARSA DI EMANUELA ORLANDI SPARITI NEL NULLA DALL’ARCHIVIO DI STATO.

Come in una poco fantasiosa pellicola “poliziottesca” di ormai cinquanta anni fa, al caso Orlandi non è negato il grottesco irritante della scomparsa (praticamente integrale) del cospicuo faldone in Archivio di stato a Roma, contenente tutti gli atti della inchiesta giudiziaria scaturita della scomparsa della povera Emanuela (più o meno contemporaneamente a un’altro sfortunato fiore di ragazza romana, Mirella Gregori).

Per dovere di serietà giornalistica, devo far presente che non si possono trarre da subito, conclusioni affrettate e definitive: almeno parte dei ben tre volumi potrebbero essere stati richiesti da qualche istituzione a fini di ufficio e ancora non lo comunica, o magari la riforma Renzi ha ingenerato qualche errata prassi nell’ archiviazione di atti sottratti alla loro casa originaria per anzianità di redazione (in questo caso, dell’apparato giudiziario). Fatto salvo però il rituale “può essere che”, sta di fatto che al momento, di tutto il poderoso materiale sopravvive, vagamente beffarda, solo la cartella con l’intestazione della pratica e l’indice degli atti che li avvolgeva.

Se le cose così dovessero rimanere, sono davvero senza parole: gli atti di uno dei casi di cronaca più o meno nera, peggiori non tanto per cruenza ma per implicazioni politiche e persino presumibilmente internazionali della storia della repubblica, nonché uno dei peggiori incidenti del pontificato di san Giovanni Paolo II, sono scomparsi semplicemente nel nulla.

Roba da Burkina Faso o Messico profondo (mi perdoni per l’accostamento qualcuno che da lì potrebbe leggerci), ma insomma ci siamo capiti.

Responsabili? In teoria sì (un posto del genere non è certo una superstite edicola di periferia con una serranda economica), ma presumibilmente un bunker con porte blindate, sorveglianza fisica e da remoto come ora si dice cioè con telecamere, uno o più lettori di tesserini magnetici abilitanti all’accesso; per non parlare della registrazione degli accessi e consultazioni dei visitatori. Ma vuoi vedere, che alla fine nessuno vorrà “rovinare” nessuno per qualche cartaccia?

Parimenti non ne esce bene la Santa Sede; e io personalmente, posso benissimo affermarlo giacché fui severo con Pietro Orlandi quando in qualche modo tirò in ballo san Giovanni Paolo. Non me ne pento ma forse fui troppo zelante verso chi esattamente da quarantadue anni affronta uno dei muri di gomma più paradossalmente coriacei della Storia non solo italiana e chiede solo di conoscere la fine della sorella. Se infatti nessuno può permettersi di dare una identità alla manina che avrebbe fatto scomparire tale delicatissimo materiale, è anche vero che l’ ente che ne esce obiettivamente e immeritatamente o “miracolosamente” avvantaggiato è essa.

Noto infatti che, se la Chiesa (post)cattolica ha notoriamente e sempre più abbandonato qualsiasi intransigenza dottrinale, fedeltà alla Tradizione e ai caveat antimodernisti e antiliberali di una buona dozzina di svariati pontefici fino a Pio XII morto nel 1958; nonché buttato a mare liturgia millenaria, canto gregoriano, il triregno sulla testa del papa o i manti di porpora dei cardinali, su certi “valori” davvero non transige o negozia ed è intransigente e come. Sembrerebbe che sia sui valori del suo patrimonio in genere (non del deposito della fede) che sarebbero compromessi in modo irreparabile e forse clamorosamente definitivo, qualora l’emersione di qualche sconvolgente verità distruggesse ogni sua “reputazione” (come si dice nelle grandi aziende) peraltro già scossa da pedofilia e malcostume finanziario.

Grosso modo la più grande delle ONG, poco trasparente e discussa. E’ amarissimo affermarlo, ma questa è l’impressione che il lontano da fede e pratica (ormai l’assoluta maggioranza delle popolazioni occidentali), da anni, anche grazie al caso Orlandi, sempre più si è fatta; e che nessuno ha mai voluto smentire, anzi ha rafforzato.

A. Martino

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