LEZIONI DELLA STORIA: DAL SOGNO AMERICANO ALLA REPUBBLICA DI CROMWELL IL PASSO È BREVE

Tendenzialmente, sono come Paganini: non amo ripetere, chiaramente, nel mio caso, i concetti, non certo i brani musicali. Tuttavia, in tutti i talk show e su buona parte dei giornali, ascolto e leggo una tale quantità di amenità che il mio tornare su ciò che sta accadendo in questa fase di pre-insediamento di Trump è quanto mai d’obbligo, per amore della verità e dell’intelligenza di chi ascolta o legge.

Professori universitari, quindi accademici cattedrati, chiamati a commentare, magari anche dietro lauto pagamento, le dichiarazioni del Tycoon — riguardo alla possibilità di usare anche l’esercito per ottenere Panama e la Groenlandia — che definiscono tali asserzioni come eccentriche o bislacche provocazioni, sarebbero letteralmente da rinchiudere e privarli del titolo, in modo che smettano di rovinare il pensiero di intere generazioni.

Per anni, infatti, ci hanno detto, fino alla nausea, che la storia era finita, che eravamo alleati degli americani, che, essendoci liberati del fascismo attraverso la guerra partigiana, quel conflitto, in fondo, lo avevamo vinto anche noi. Che non ci sarebbero state più guerre, che il diritto internazionale era ed è superiore alla forza di ogni singolo Stato, anche quando questo è una potenza globale. E invece era tutto falso!

Tante bugie dette in libertà per farci stare buoni e tranquilli, per farci credere irrimediabilmente che la pace e la ricchezza economica fossero gli unici valori possibili, e in questa convinzione rammollirci.

E invece, la guerra che noi europei abbiamo realmente fatto, perché l’abbiamo anche subita nelle morti e nelle distruzioni delle nostre città, non l’hanno persa solo gli italiani e i tedeschi, mutilati territorialmente, ma l’hanno persa anche gli inglesi. Tant’è che la sconfitta schiacciante di Churchill alle elezioni del 5 luglio 1945, in favore del laburista Clement Attlee, non sarebbe mai avvenuta se la Gran Bretagna avesse davvero vinto il conflitto.

A vincere, invece, sono stati gli americani, che la Seconda Guerra Mondiale non l’hanno fatta davvero, cioè non hanno visto le loro città distrutte, i porti, i ponti e gli aeroporti saltati, le fabbriche incendiate e i civili sterminati. Certo, hanno mobilitato 600.000 soldati, e di questi ben 290.000 sono morti in combattimento, ma hanno messo soprattutto i soldi e i mezzi, legando e sottomettendo per sempre a sé tutti i loro alleati, così come gli sconfitti. Tant’è che, a differenza di Churchill, Truman, alle presidenziali del 1948, fu rieletto alla grande.

Oggi, gli Stati Uniti, come l’Impero Romano, sono l’unica entità ad avere ancora dei “CASTRA” in giro per il mondo: 111 basi nella sola Italia; 125 in Germania; 30 in Gran Bretagna; e via discorrendo negli altri Paesi europei, ad eccezione della Francia, per un totale di circa 100.000 soldati statunitensi presenti in loco dal 1945. Cioè, sei corpi d’armata che sono qui non certo per trascorrere le vacanze, anche se a noi sembra così, e neanche solo per difenderci da attacchi esterni.

Sono invece qui, come lo erano i legionari ai tempi di Augusto, per fare l’interesse dell’Impero, non certo quello dei propri clientes.

E come ai tempi di Roma, quando l’Imperatore sceglieva se lungo il confine con i Parti fosse più o meno opportuno mantenere regni vassalli come quello di Giudea (si veda Erode il Grande), Commagene, Nabatea e Armenia, oppure dirigere direttamente questi territori come province, così oggi Washington, come fece nel recente passato Napoleone, avoca a sé, visti i tempi mutati, il diritto di amministrare direttamente alcuni propri clientes come il Canada, la Groenlandia e il Canale di Panama nello specifico.

Dunque nulla di nuovo sotto il sole, se ci si ricorda che la storia non si ferma mai, anzi, si ripete, come diceva il buon Gianbattista Vico.

E di ripetizione in ripetizione, dobbiamo anche ricordarci che la volontà statunitense di appropriarsi della Groenlandia non nasce con Trump ma viene da lontano.

Nel 1867, gli Stati Uniti avevano acquistato sotto la presidenza di Andrew Johnson l’Alaska dalla Russia – per 7,2 milioni di dollari, cioè circa 125 milioni di dollari odierni, tenendo conto dell’inflazione – un’operazione strategica che ampliò il controllo americano sull’Artico. Subito dopo la Casa Bianca pensò di fare altrettanto con la Groenlandia e l’Islanda, ma Re Cristiano IX di Danimarca non era d’accordo e non se ne fece nulla.

Invece, durante il Secondo Conflitto Mondiale, gli USA con la scusa di controllare in chiave antitedesca l’Atlantico settentrionale, occuparono momentaneamente l’isola e costruirono una base aerea a Thule, dove ancora oggi sono presenti 250 militari americani su una popolazione civile dell’intera Groenlandia che ammonta all’incirca a 50 mila individui. Battuta poi la Germania, gli Stati Uniti ritennero l’isola fondamentale nella Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica e così, nel 1946, l’amministrazione del Presidente Harry S. Truman offrì al Regno di Danimarca 100 milioni di dollari (equivalenti a circa 1,3 miliardi di dollari odierni) per acquistare la Groenlandia. In realtà, Washington, più che preoccuparsi per Mosca, desiderava realizzare il sogno di Andrew Johnson. Copenaghen, però, anche in questo caso, rifiutò categoricamente l’offerta, sottolineando che l‘isola faceva parte integrante del regno danese e non era in vendita.

Così siamo arrivati ai giorni nostri, con la Cina in ascesa e l’Artico che va, via via, scongelandosi.

Ma al di là di questo, pur non essendo affatto un europeista, ma al contrario un nazionalista convinto, devo ammettere che, se si volesse sinceramente bene al Vecchio Continente, dovremmo pregare la Madonna di Loreto affinché Macron, in primis, dia le proprie dimissioni domani mattina e poi si ritiri a vita dalla politica.

D’altronde, è ormai evidente a tutti che non solo vive fuori dalla realtà, forse in un iperuranio tutto suo, dove i puffi ballano intorno alla Torre Eiffel, ma in un luogo dove egli stesso è sinceramente convinto delle fesserie che dice, come l’inviare le truppe prima in Ucraina e ora nelle lande gelate della Groenlandia, in rispetto del patto di mutuo soccorso che esiste tra i Paesi della NATO e dell’Unione Europea.

Infatti, premesso che nessuno in Europa, né tra le nuove né tra le vecchie generazioni, è disposto a perdere la vita in guerra, anche grazie alla cultura della pace e del “volemose bene” che è stato scioccamente inculcato a tutti noi, anche se Macron dovesse riuscire a imbastire un esercito di irriducibili, pronti alla morte e all’azione, ha presente che tutti gli armamenti dei Paesi europei messi insieme, unitamente alle nostre capacità produttive di materiale bellico, basterebbero sì e no a mala pena per una settimana di guerra con la G maiuscola?

Gli americani, che a differenza nostra mica sono scemi, hanno strutturato la NATO e le forze che ne fanno parte, ivi compresa la spregiudicata Turchia, non per essere autonome o paritetiche con il dominus (USA), ma per essere di esclusivo rincalzo e copertura all’esercito americano, appunto per evitare che noi, in un qualsiasi giorno di un ipotetico futuro, potessimo mai ribellarci alle imposizioni di Washington.

Ora, se non è chiaro questo, è inutile stare qui anche solo a parlare di certe dinamiche, perché staremmo perdendo solo tempo.

Se invece si è capito questo, la cosa più intelligente che una potenza regionale come la Francia ed uno Stato cliente come l’Italia possano fare è dire: “Sì, prenditi pure la Groenlandia e il Canada, se questo è utile alla tua sicurezza nazionale, e non solo. Dobbiamo spendere il 5% del nostro PIL in armamenti per restare alleati? Va bene, li spendiamo pure, ma visto che anche le vostre risorse non sono infinite e noi siamo affidabili e stiamo alle regole, potreste per favore togliere dal nostro continente le vostre basi e spostarle altrove, dove vi sono più utili, magari nei pressi del Mar della Cina o nell’Artico?”.

Perché finché avremo più di 500 basi con 100 mila uomini armati con la lama puntata sulla nostra gola, non potremo mai permetterci il lusso di dire no, neanche per scherzo. Questo non può essere risolto nemmeno con la creazione di un esercito unico europeo, altra chimera che non ci porterebbe da nessuna parte, se non a spendere ulteriori soldi inutilmente. È invece necessario ritagliarsi, ognuno secondo la propria “missione” e caratteristiche, spazi di manovra e di autonomia in questo nuovo quadro politico mondiale.

Ad esempio, per noi italiani, il Mediterraneo e la comunicazione tra Russia e USA potrebbero rappresentare l’asse strategico ideale. La storia, quando chiama, non dà prove di riparazione: o si è all’altezza della situazione, o si soccombe.

Ecco perché l’Europa, che non è mai esistita come unico soggetto politico, mai esisterà. Mentre le Nazioni che la compongono sì, e a rotazione hanno inciso sempre sulla realtà del mondo.

Un’altra realtà sotto esame, nel silenzio più assordante degli analisti, è la Corona inglese: con Carlo malato e una monarchia in evidente affanno di consensi popolari, se la Gran Bretagna non saprà entrare in partita sulla questione della possibile annessione del Canada agli Stati Uniti, non sarà la fine del Canada, ma del Commonwealth e della Corona stessa.

In questo contesto, è chiaro che le dichiarazioni di Musk contro il premier Keir Starmer o contro Nigel Farage — perché non vuole nel suo partito Tommy Robinson, un attivista di estrema destra attualmente in carcere — non sono semplici boutade, ma hanno lo scopo ben preciso di indebolire la posizione del Regno Unito. Ciò non significa che Londra debba intervenire come fece per le Falkland, anche perché gli USA non sono l’Argentina. Ma, quantomeno, dovrebbe partecipare attivamente a questo processo di transizione in quanto il Sovrano di Gran Bretagna è anche il Capo di Stato del Canada, così come per gli altri Paesi del Commonwealth.

Diversamente, sempre per la ciclicità degli eventi, potremmo ben presto assistere al ritorno, dopo più di 360 anni, della Repubblica di Cromwell, e Dio solo sa quali potrebbero essere le ricadute politiche e sociali di questo evento anche sugli altri partner europei.

Le pretese di Trump non sono puntigli di un populista, ma fanno parte del riposizionamento generale delle potenze attualmente in atto.

In altri termini, l’azione, che può sembrare dirompente, è in realtà un’ulteriore mano tesa alla Russia, in quanto favorirebbe, sotto il profilo di legittimità, i desiderata del Cremlino e, a questo punto, anche quelli della Cina rispetto a Taiwan, salvo prima aver terminato il piano di deindustrializzazione dell’isola ribelle.

Questo è il quadro… Dunque, prima si capisce quale può essere il nostro ruolo nel mondo e prima possiamo costruire delle strategie per prosperare… Diversamente, al di là delle “macronate”, potremmo fare anche la fine della Groenlandia.

Lorenzo Valloreja

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