NEL 2025 SI APRE UNA NUOVA ERA!
Con il 31 dicembre non solo ci lasceremo alle spalle il 2024, un anno che è stato, senza ombra di dubbio, ricco di eventi, ma diremo addio anche alla cosiddetta “era della fine della Storia”. Questo periodo storico, che va dalla Caduta del Muro di Berlino (novembre 1989) fino all’inizio dell’Operazione Speciale (febbraio 2022), è stato segnato dalla convinzione di Francis Fukuyama che, con la fine della Guerra Fredda e la caduta dell’Unione Sovietica, democrazia liberale e capitalismo avessero prevalso come modelli definitivi, garantendo pace e prosperità infinite grazie alla globalizzazione.
Si segnava così, secondo Fukuyama, una sorta di “fine della storia” come conflitto ideologico globale. Tuttavia, l’inizio dell’“Operazione Speciale”, la Guerra di Gaza, l’instabilità in Siria, i desideri di espansione della Cina su Taiwan, la rielezione di Trump negli Stati Uniti e l’ascesa economico-politica di Elon Musk hanno suonato il campanaccio della sveglia per chi ancora crede nelle favole e si perde in astruse masturbazioni mentali. La vera natura delle cose ha prevalso, e il mondo ha ripreso il cammino che si è sempre dato fin da quando esiste l’essere umano.
Certo, sono tanti coloro che, in questi anni, hanno costruito le proprie fortune e il proprio stile di vita agiato su un mondo artefatto e inesistente, che ha mandato in malora, ovunque, sia il ceto medio che la vera classe produttrice di beni e servizi.
Oggi, ogni oggetto, ogni manufatto, sia esso alimento o suppellettile, sembra avere tanto più valore quanto più è manchevole di qualcosa: alimenti con meno calorie, latte senza lattosio, pasta senza glutine, hamburger senza carne, plastica senza plastica; così come i mobili che non sono più in legno, le pellicce senza pelle e, in generale, il vestiario senza fibre naturali.
È, insomma, per dirla alla Vannacci, “il mondo al contrario”, dove la vita di un animale vale più di quella di un essere umano, e la produzione di energia deve essere così visibilmente innovativa e a emissioni di CO2 pari a zero che non importa se, per produrla, si inquina il mondo dieci volte più di prima, avvelenando terreni, acque e persone. Tutto questo, poi, senza considerare le condizioni salariali, igieniche e sociali disumane a cui sono sottoposti i lavoratori nei Paesi in cui questi beni vengono prodotti.
Ma, d’altronde, come si dice dalle mie parti: “Affinché ci sia uno in gamba, occorre prima che questi incontri dieci stupidi”. Ed è proprio su questi sciocchi che Paesi come la Cina e la Turchia hanno costruito letteralmente le proprie fortune.
Abbiamo, infatti, regalato il monopolio della manifattura alla Cina, che di fatto è diventata la prima fabbrica al mondo, capace di produrre “dallo spillo all’elefante”. Allo stesso modo, abbiamo concesso alla Turchia di diventare il porto franco del mondo, il luogo da cui partono, in barba a tutte le sanzioni e regolamentazioni, le triangolazioni globali.
Questo Trump lo sa, ed è per questo che, a differenza di Biden, vede non la Russia, ma la Cina come il fumo negli occhi. Ed è in questo contesto che vanno lette le dichiarazioni del Tycoon in merito alla possibilità che il Canada diventi il 51esimo Stato degli Stati Uniti, così come la Groenlandia passi dalla Danimarca agli USA, o che il Canale di Panama torni alle dirette dipendenze di Washington, come è stato dal 1903 al 1979.
Infatti, pochi sanno che, con il cambiamento climatico in atto, il Polo Nord si scongelerà, e quella immensa distesa di ghiaccio che oggi copre buona parte del 66° parallelo lascerà il posto a un mare navigabile e a immense risorse estraibili dal sottosuolo. La metà esatta di quel territorio oggi è di pertinenza della Russia, ma non è questo il problema per il nuovo inquilino della Casa Bianca: il vero problema è, come ho sempre sostenuto, la Cina.
La Federazione Russa, per i più svariati motivi, ivi compresa la Guerra in Ucraina, è in forte deficit demografico, come, d’altronde, tutto il resto dell’Occidente: con i suoi 145 milioni di abitanti, il 17% della popolazione sotto i 20 anni e il 30% sopra i 55, non ha sufficienti uomini per presidiare oltre 25.000 km di coste che si affacciano sull’Oceano Artico, reggere la pressione lungo i 6.800 km di frontiera occidentale dalla Norvegia fino alla Georgia, o puntellare i 4.000 km del confine cinese.
In una situazione simile, Pechino, con il suo miliardo e mezzo di cinesi e i 500 milioni di cittadini attualmente arruolabili, potrebbe essere tentata di sfruttare la scia russa e riversarsi in questa nuova acclimatata Siberia, occupando anche buona parte della costa artica ed avendo quindi accesso diretto, oltre che ai porti, alle sue ricchissime risorse.
È, proprio per prevenire questo pericolo e dare un segnale di forza a Pechino, che Putin ha stretto una salda alleanza militare non con i cinesi ma con la Corea del Nord, un altro Stato che, lasciato solo, sarebbe gioco forza alla mercé del Nuovo Celeste Impero.
D’altronde la Russia è storicamente nata come appendice dell’Occidente per fungere da baluardo e freno all’espansione mongola e a buttare Putin tra le braccia di Xi non è stato certamente il popolo russo, quanto la sconsideratezza di tutto l’Occidente, sempre pronto a sanzionare o denigrare l’Impero Russo.
Invece, la visione machiavellica di Trump è quella di riportare la Santa Madre Russia nel seno dell’Occidente, perché ci si salva solo stando uniti; diversamente, si soccomberà tutti separatamente.
Perché questo è il nocciolo della questione: la competizione e il conflitto latente sono, ahimè, insiti nella natura umana. Certo, in queste sere di festività natalizie, magari davanti al caminetto, vi sarà capitato di riascoltare il discorso del Grande Dittatore di Charlie Chaplin, un’orazione che accappona la pelle. Parole bellissime, che regalano speranza, ma che sottendono qualcosa di non reale: non è vero infatti che “La natura è ricca, è sufficiente per tutti noi”.
Ad esempio, se voglio avere il mio cellulare alla moda, almeno due bambini dovranno morire per estrarre il coltan nelle miniere del Congo. Solo la maggioranza della gente non lo sa o fa finta di non sapere. Così come non c’è l’acqua potabile per tutti o il cibo per tutti. È per questo che, nelle zone più povere del mondo, si consumano insetti dalla notte dei tempi, così come, qui da noi, iniziammo a consumare le lumache di terra solo dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, a seguito delle numerose carestie.
Insomma, aveva ed ha ragione Hobbes quando diceva che “l’uomo è un lupo per l’uomo” — “Homo homini lupus”.
E fin quando le risorse saranno limitate, nessuno si accontenterà della propria singola briciola per avere così tutti niente. Ognuno tenterà in qualche modo di prevaricare l’altro. Ecco perché l’inquinamento continua a crescere nonostante noi ci impegniamo a riciclare o a non sversare: perché chi fino a ieri non aveva, oggi vuole continuare ad inquinare come abbiamo fatto noi in passato. Ha bisogno di risorse, di energia e consuma come un forsennato e, per fare questo, vuole appropriarsi di tutti i cosiddetti “colli di bottiglia”, ivi compreso il Canale di Panama, dove l’azienda cinese Hutchison-Whampoa controlla, dal 2023, tutti i porti ivi presenti.
Trump chiede dunque agli altri partner occidentali di essere all’altezza della Storia: il Canada è in grado di frapporsi alla Cina nell’Oceano Artico? Allo stesso modo, la Danimarca è capace di fare altrettanto? No? Ebbene, allora, a nostro malincuore, perché ci costano risorse che non abbiamo, ce ne occupiamo noi direttamente pur di non lasciare un vantaggio a Pechino.
In questo disegno l’UE e la NATO sono ormai organizzazioni inutili e costose. Il problema non è più “da Stettino, sul Mar Baltico, a Trieste, sull’Adriatico”, ma, semmai, dal fiume Yalu che sfocia nel Mar Giallo fino all’isola di Hainan, passando per Formosa. Dunque, tutto ciò che s’intrometta in una possibile collaborazione tra Washington e Mosca va necessariamente eliminato, ovunque esso si manifesti: dalla politica all’editoria, dalla cultura alla comunicazione.
Ecco perché molti benpensanti dei salotti buoni, qui in Italia come nel resto del mondo, si oppongono ferocemente sia a Trump che a una eventuale riammissione della Russia al G7 e in ogni altra organizzazione occidentale: perché per essi il loro tempo sarebbe concluso.
In tale contesto sono realmente pretenziose le argomentazioni con le quali diversi personaggi del mondo dello spettacolo hanno abbandonato la piattaforma di X per protesta nei confronti di Elon Musk, reo, quest’ultimo, di aver fatto dichiarazioni pubbliche sia contro i magistrati che volevano processare Salvini per il caso Open Arms, sia per il proprio sostegno all’AFD per la prossima campagna elettorale in Germania.
L’AFD, piaccia o non piaccia, è una forza non contraria alla Russia, così come il Rassemblement National in Francia, che potrebbero essere utili al discorso di cui sopra e che quindi, in questo nuovo corso politico, potrebbero avere un ruolo determinante. Non si capisce dunque dove sia l’illegittimità del discorso di Musk.
Perché i detrattori del magnate sudafricano non si sono strappati le vesti quando, negli anni ’90, la Francia sponsorizzò un colpo di stato in Algeria per evitare che il Fronte Islamico di Salvezza prendesse il potere nonostante la sua vittoria elettorale? Oppure, quando Chirac fece pressioni per sanzionare l’Austria e impedire che l’FPO esprimesse un proprio cancelliere? O ancora, quando il colpo di stato di al-Sisi in Egitto, favorito dall’Occidente, destituì i Fratelli Musulmani eletti democraticamente? La verità è che queste ingerenze erano in linea con gli interessi di chi oggi si lamenta di Musk, ma la democrazia non può essere selettiva.
Accettare questa verità significa riconoscere che le regole valgono solo quando fanno comodo a certi schieramenti. Musk, piaccia o non piaccia, è semplicemente uno degli attori che ha deciso di infrangere la cortina dell’ipocrisia.
È arrivato il momento di affrontare la realtà: siamo in un’era di transizione, dove gli equilibri globali sono in costante movimento e il sovranismo è una risposta naturale al caos della globalizzazione incontrollata. Non è questione di simpatie o antipatie, ma di riconoscere che i processi storici seguono cicli in cui la centralità degli Stati ritorna quando i sistemi sovranazionali falliscono nel garantire stabilità e giustizia.
La storia, dopotutto, è fatta di conflitti, compromessi e cambiamenti radicali. E chi oggi si oppone al nuovo ordine globale lo fa non per ideali superiori, ma per difendere il proprio status quo. Un’era si chiude, e un’altra si apre, con tutte le sue contraddizioni e sfide, ma francamente non credo che la nuova era possa causare più danni dei 40 conflitti scatenati nell’arco di questi scellerati 35 anni “senza storia”.
Lorenzo Valloreja
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