NIENTE MESSA DI NATALE NELLA PARROCCHIA DI DON MAURIZIO PATRICIELLO A CAIVANO.
A Caivano, nella chiesa parrocchiale del molto discusso quartiere di Parco verde, negli ultimi tempi il parroco don Maurizio Patriciello lamenta un crollo nella frequenza liturgica, e nella partecipazione dei più giovani battezzati alle catechesi e alle attività oratoriali.
A Natale, addirittura, non è stata affatto celebrata la Messa della Vigilia di Natale; non so delle successive, dato che in caso negativo anche di quelle la parrocchia stessa inizierebbe a non avere più un senso dato che la sua motivazione profonda è quella di erogatrice di sacramenti e di essere punto di riferimento spirituale.
Così il prefetto di Napoli, Michele di Bari: “La mancata celebrazione della Santa Messa della Vigilia di Natale nella parrocchia San Paolo Apostolo in Caivano provoca smarrimento e, nel contempo, innesta un moto di solidarietà e vicinanza nei confronti di don Maurizio Patriciello, il parroco di Parco Verde dove recentemente sono state sgomberate trentasei famiglie. È il momento in cui la distinzione tra il bene e il male chiama tutti ad una più incisiva responsabilità e determinazione per assicurare a quel territorio un futuro di dignità…. l’impegno delle istituzioni, ad iniziare dal Governo, è totale per affrontare una sfida che deve essere vinta sia per contrastare la camorra sia per superare le criticità nell’ambito sociale“.
Al netto della inevitabile retorica ottimistica di ordinanza alla “andrà tutto bene”, mi sembra che l’accaduto evidenzi la non organicità, e scarsa coerenza per mancanza di una dura ma coerente visione di insieme, degli sforzi anti criminali sia dello Stato che della Chiesa (post)cattolica insolitamente affiancati, alla faccia della famosa laicità dello stato (si veda il mio articolo LA NUOVA IMMAGINE MEDIATICA DEL CLERO NELL’ERA MELONI del 5 settembre 2023), sia pure per la più nobile delle cause che è quella della lotta al Male nelle sue forme più concrete e tangibili.
Se allo Stato continua a sfuggire un penetrante controllo del territorio, la Chiesa con quello delle anime è messa molto peggio.
Senza scomodare i massimi sistemi in tema di lotta alla criminalità più o meno organizzata, penso che il punto focale di tutta la problematica siano quelle trentasei famiglie sfrattate dai loro alloggi di edilizia popolare per la presenza in esse di non incensurati. E già che presumibilmente almeno quindici o venti di esse dimorino ormai per forza di cose fuori parrocchia, può parzialmente spiegare la flessione del Gregge di padre Patriciello.
Lo sfratto dei pregiudicati e relative famiglie, che sicuramente quanto doverosamente si basa su norme ben precise relative all’edilizia popolare, strumento nel passato ignorato e che è solo recentemente molto utilizzato (si pensi ad esempio anche al quartiere Rancitelli di Pescara dove inoltre, si è addirittura abbattuto un grosso stabile sostanzialmente utilizzato per lo spaccio di droga oltre che per abitarvi), abbisognerebbe, da parte dello stato, di una severa ma seria strategia di ricollocamento stanziale di queste problematiche famiglie, tra l’altro certamente comprensive anche di minori incensurati o recuperabilissimi alla vita onesta. Questi sfratti, altrimenti, rischiano di essere una specie di dispetto volto a incarognire ancora di più certi animi e a rendere tali nuclei familiari meno controllabili almeno a livello di domiciliarità.
Ma certo, ci vorrebbe un “prefetto di ferro” e non sono decisamente quei tempi.
In quanto alla Chiesa, faccio umilmente notare che il parroco, a fin di bene, può anche decidere di sovrapporsi all’assistente sociale o allo psicologo (ruoli storicamente in fondo consoni), e persino al poliziotto, ma che poi, per non apparire una copia sbiadita e impotente specie del secondo (ed esporsi a inevitabili risentimenti) deve prendersi carico (a differenza di chi indossa la uniforme o la toga ma non la tonaca) del disagio morale e spirituale del deviante e dei suoi familiari. E’ il Peccato il “core business” del prete, non il reato. E costui, credo, dovrebbe ottenere la maggiore quantità di pentimenti possibile, non l’allungarsi delle fedine penali di cui sono altri a occuparsi.
Ma se nel caso del potere statale ci vorrebbe un “prefetto di ferro” alias il mai abbastanza compianto Cesare Mori, qui ci vorrebbe un novello, che so, san Filippo Neri.
La realtà del mondo non è, non è mai stata, una “fiction”. Ma se pure volessimo beotamente non accorgercene, la troveremmo simile molto più a Gomorra, un pochino a Mare fuori, e proprio per nulla a Don Matteo.
A. Martino
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