DA BAKU POCHE CERTEZZE SUL CLIMA, MA MOLTE SULLA PATRIA: O SI RIFÀ L’ITALIA O SI MUORE!

Dalla COP29 di Baku arrivano segnali inequivocabili per l’Italia e per tutti gli altri Paesi che desiderano riassestarsi prima che sia troppo tardi. Infatti, alla conferenza, che avrebbe dovuto stabilire obiettivi climatici più ambiziosi in vista del 2035, erano in programma decisioni cruciali, tra cui:

  • Il “New Collective Quantified Goal on Climate Finance”: volto a mobilitare trilioni di dollari per aiutare i Paesi in via di sviluppo a ridurre le emissioni e a proteggere le loro popolazioni dagli impatti climatici, tramite un ulteriore finanziamento del Fondo per Danni e Perdite;
  • La definizione del “Global Goal on Adaptation”: obiettivi specifici per aiutare i Paesi ad adattarsi ai cambiamenti climatici;
  • Lo sviluppo delle regole per il commercio di crediti di carbonio tra Paesi, secondo l’Articolo 6 dell’Accordo di Parigi, per facilitare la transizione energetica e supportare i Paesi nel raggiungere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni tramite strumenti di mercato.

Tuttavia, come ormai noto, non si sono presentati Stati Uniti, Russia e Cina, tre delle principali Nazioni responsabili del cambiamento climatico, che insieme rappresentano ben un quarto della popolazione mondiale. Inoltre, come se non bastasse, erano assenti anche i leader di India e Brasile, che rappresentano circa il 20% della popolazione globale. Questo segnale è particolarmente significativo, dato che il Presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, da sempre dichiarato di essere favorevole alla tutela delle foreste tropicali, ha dato forfait. Anche Ursula von der Leyen, altra grande assente, è mancata l’appuntamento, nonostante l’UE promuova attivamente il “Green Deal Europeo”.

In sostanza, con l’inizio della seconda era Trump, il panorama internazionale è cambiato radicalmente, e sembra prevalere un approccio individualista: “ognun per sé e Dio per tutti”. In questa logica, ogni Paese che desidera continuare a crescere o semplicemente sopravvivere – a seconda della prospettiva – è costretto a sfruttare, con buona pace di Greta Thunberg, tutte le risorse a disposizione, carbone e petrolio compresi.

D’altronde, come discusso in altri articoli e accennato all’inizio di questo, è inutile che 1/16 della popolazione mondiale insista nell’adozione dell’Euro 7, quando il restante 94% viaggia con veicoli senza limitazioni sulle emissioni e, in alcuni casi, come in India e Pakistan, si insiste nell’uso del carbone per la locomozione dei treni merci.

Dunque, in questo scenario in cui l’Europa sembra ormai “morta”, la Germania in coma e la Francia “all’ospizio”, cosa può fare l’Italia per ricollocarsi a livello geopolitico e riaprire una stagione da protagonista nel Mediterraneo?

Semplice! Credere prima di tutto in se stessa, poi prendere esempio dalla Turchia, nostra principale concorrente nel Mediterraneo, e infine ritagliarsi un ruolo di “cerniera” tra Stati Uniti e Russia, cercando di riottenere gli stessi flussi di gas dalla Russia pre-conflitto ucraino.

Infatti, il nostro Paese, privo come la Germania di centrali nucleari, continua ad avere funzionante, a differenza dei teutonici, il terminale di Tarvisio, da cui, attraverso la cosiddetta “Yamal-Europe”, arriva il gas naturale dalla Russia. Ricordiamo, però, che, anche se la nostra linea non ha avuto la stessa sorte del Nord Stream 1 e 2, quest’ultima, a causa delle sopraggiunte tensioni geopolitiche e normative più stringenti, ha subito già diverse interruzioni negli ultimi anni, incluse sospensioni temporanee del servizio, come nel 2022.

Se oggi dunque la nostra economia nazionale è leggermente in vantaggio rispetto a quella francese e tedesca, basterebbe acquisire nuovamente il gas a prezzi modici per far crollare il costo dell’energia in Italia e rendere veramente competitivo e protagonista il nostro Paese, così da poter fronteggiare tutte le spese necessarie per garantire l’ordine e la pace nel quadrante mediterraneo.

Perché è proprio questo ciò che ci chiede l’America di Trump: di farci carico, responsabilmente, della nostra sicurezza e di quella dei nostri partner, compresi i russi, poiché il nuovo equilibrio passa necessariamente anche dalla garanzia della sicurezza di Mosca, come più volte annunciato e richiesto da Putin ogni qual volta si è parlato di trattative per la pace in Ucraina.

Se saremo capaci di comprenderlo, bene! Altrimenti, non saremo destinati solo al declino, ma anche all’estinzione come Nazione. Diffidate perciò da coloro i quali, di fronte a uno scenario geopolitico simile, invocano più Europa e quindi ulteriori cessioni di sovranità, in nome della legge del più grande; secondo questi “scienziati”, i singoli Stati Nazionali non sarebbero in grado di risolvere da soli le complessità del mondo e quindi dovrebbero unirsi. Costoro, quindi, o sono folli, o in mala fede!

Ma dico io: la Corea del Sud non è un piccolo Stato Nazionale? Eppure, “da otto punti ed una scopa a tutti!” Il Sudafrica, ex colonia inglese, Paese dai mille problemi sanitari e sociali, come ha fatto a diventare una potenza? E la Turchia, non è forse uno Stato Nazionale come il nostro? Anzi, ha più problemi del nostro, eppure è protagonista su tutti i tavoli che contano.

La risposta è semplice: ha una classe politica talmente lungimirante da aver scelto, contro ogni aspettativa, una strategia apparentemente folle ma rivelatasi vincente: il mantenimento della Lira debole. Questo ha reso la manodopera locale talmente a buon mercato da attrarre anche la produzione automobilistica cinese in Anatolia… sì, avete capito bene, i turchi battono i cinesi sul costo del lavoro e superano nettamente i competitor balcanici.

Ora, se tutto ciò è vero, una domanda mi sorge spontanea: la Meloni avrà voglia e sarà in grado di sbloccare nuovamente le forniture di Gazprom?

Se non dovesse riuscirci, potrebbe sempre chiedere a Orban… ma,orgogliosa com’è, dubito che mai lo farà!

Lorenzo Valloreja

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