QUESTA ELEZIONE DI DONALD TRUMP NON E’ COME QUELLA DEL 2016, ORA NON E’ UN DILETTANTE E TANTO CAMBIERA’ DAVVERO. LA GRANDE STORIA RIPARTE, E CERCANO ALMENO DI APPARIRE RISPETTOSI….
Insomma, è andata: l’incubo del globalismo sancito nella versione woke (tra le più estremiste e folli in circolazione oggigiorno) parrebbe archiviato con il trionfo elettorale di Donald Trump e la sua pazzesca, fantapolitica impresa del secondo mandato consecutivo di per sé non proprio impossibile (toccò già a Grover Cleveland nel 1893) ma apparentemente tale con qualche piccola grana giudiziaria del genere violenza e molestie sessuali o falso in bilancio, e persino alto tradimento e cospirazione (vedasi Washington DC-6 gennaio 2021).
Figuriamoci se per il sottoscritto, cattolico non postcattolico, influenzato dal tradizionalismo evoliano in insalata russa (cioè Dugin) un mondo trumpiano (ancora meno una tale America) possa essere “il migliore dei mondi possibili”. Ma Evola è tanto importante, come già ricordato, anche per il sommo guru del tycoon cioè quel Bannon che, sappiamo, ha pagato con la galera la sua fedeltà “legionaria” al Presidente eletto.
Sì, lo so, è un sionista, un capitalista, il suo gusto estetico è scarso dato che indossa sempre la solita divisa (abito scuro, cravatta rossa, camicia bianca) di taglio primi anni Duemila (niente pantaloni a sigaretta e nemmeno i vezzosi fazzolettini da taschino di Biden a tre punte che fanno tanto “ tu non sai chi sono io”), ha tradito la moglie (la terza) a qualche giorno dal parto. D’accordo, ma l’alternativa sappiamo quale fosse. E si può ragionevolmente dire che la seconda elezione di Trump, ancora più della prima, è un fatto epocale non proprio quale la dichiarazione di indipendenza del suo paese, o la presa della Bastiglia o del Palazzo d’ Inverno, ma quasi.
Prepariamoci a quattro anni di Storia, non di civico tirare a campare sotto una cappa di scontatezza, sottomissione, e conformismo. Tutto può cambiare anche qui, vassalleria italica degli USA, perché tutto lì può cambiare.
Mi pare, leggendo la stampa main stream, che il sentimento prevalente tra le elites occidentali al potere, a differenza che nel 2016 della prima elezione in cui l’incredulità si univa a un disprezzo nascente dalla certezza di rimettere le cose a posto, sia la rassegnazione unita a una certa paura (Trump addirittura novello conte di Montecristo determinato a vendicarsi non si sa bene esattamente di cosa e di chi). Certamente però è l’uomo più potente del mondo, c’ è poco da fare: e sanno bene che non è il “presidente per caso” del 2016, ma ormai un consumato conoscitore degli intrighi e dei meccanismi di Washington. Lo volevano in galera, se lo ritrovano a comandarli di nuovo, non sono riusciti ad ammazzarlo: ma vi rendete conto del monumento alla sopravvivenza e riscatto umani con cui abbiamo a che fare?
E’ la seconda volta che Donald J. Trump batte una donna che vorrebbe sbarrargli la strada per la Casa Bianca. La prima era la ex first lady dell’era Clinton oltre che ex segretaria di stato di Obama: indubbiamente un pezzo da novanta dello establishment, che lo batté nel voto popolare ma non in quello dei “grandi elettori”. Una sconfitta di misura, ma pur sempre una sconfitta. 2024: avanti un’altra. Stavolta scende in campo la vicepresidente in carica Kamala Harris per nulla popolare vice presidente in carica, ma comunque opportunamente pompata da un restyling della stampa quando Biden “abdica” per evidente declino mentale. Peccato che la ex magistrata che se ne intende a proprio dire di “truffatori e predatori sessuali” abbia fallito una primaria (segno non molto incoraggiante ma non irrimediabile) e poi sia stata ripescata da Biden nel 2020 per il prestigiosissimo incarico solo grazie al suo essere, appunto, donna, di origini indo-giamaicane e dalla pelle molto olivastra, e soprattutto accanita woke e abortista utile al moderato Biden ( a suo tempo specularmente utile a Obama come vice per far breccia nell’elettorato wasp e progressista ma non troppo). Peccato che abbia tanto di marito e nessun handicap: lesbica e “diversamente abile” sarebbe stata praticamente perfetta.
Avrebbe dovuto ricompattare tutte le minoranze etniche e qualsiasi donna (Trump ha commesso anche l’oggettivo errore di non assumere una donna come vice) ma invece, ha miseramente fallito. Se in effetti più donne bianche hanno votato per la candidata democratica, da exit poll risulta che il 54% delle donne pro Harris è speculare alla stessa percentuale pro Trump tra gli uomini. I sessanta anni di Kamala Harris che avrebbero dovuto farne una candidata più “fresca” rispetto al settantottenne tycoon anche grazie alle idee estremiste in fatto di aborto e “diritti”, non hanno significato praticamente nulla inducendo i dem a serie domande sul loro futuro. I referenda sull’aborto in diversi stati, che avrebbero dovuto fare da traino nell’ election day, si sono rilevati ininfluenti. Tra i giovani, Biden vinse nel ’20 di 25 punti, Clinton nel ’16 di 18. Ora Harris ha prevalso di appena 6. Anche tra gli elettori ambosesso fra i 30 e i 44 anni, il margine pro dem è passato dai 12 punti di Biden del 2020, ai 4 punti della sua vice.
Spie di un innegabile fallimento secco e di un eccessivo appiattimento sulla “open society” sorosiana che sta inducendo a un facile buttare la croce sul vecchio e tormentato presidente, il quale sarebbe reo di non essersi ritirato prima dalla corsa.
La ripetuta punizione di una candidatura femminile alla massima poltrona del sistema statunitense e non solo, è tale da porre una seria ipoteca su analoghe candidature in futuro (ma in futuro Trump non potrà esserci se non altro per motivi costituzionali).
Ma secondo me, sconfitta ancora maggiore della Harris (semplice punta di diamante globalista del contrasto a Trump) è quella che io definirei dell’ “apparato poliziesco-giudiziario globale” che ha visto naufragare miseramente e clamorosamente il suo storicamente più imponente tentativo di delegittimazione di un leader sgradito. Meditate toghe meditate…Che si stia per chiudere anche in Italia, un ciclo iniziato con Mani Pulite? D’altronde e non a caso, ripeto, Kamala è l’ex procuratore generale della California. Comunque sia, i magistratoni e i poliziottoni del FBI tremano: la loro legittimazione non sta in un irreversibile concorso (con relativa raccomandazione) ma in una nomina a termine e a voto popolare o in un mandato governativo rientrante nello spoil system.
L’accanimento terapeutico negli endorsement di stelle, stelline e stellone oltre che dei soliti intellettuali e giornalisti, ormai, si commenta da sé. Sono baci della morte solitamente impartiti da gente percepita estranea alla vita comune, in fondo più o meno obbligata a farlo tra una sniffata e un tuffo nella piscina olimpionica del loro villone ai Caraibi o in riva ai nostri Laghi.
A nulla sono serviti sondaggi taroccati (come quello sullo Iowa a un giorno dalle urne o quelli sui soliti “testa a testa negli stati chiave con vantaggio lieve della Harris”) o la mobilitazione della stampa main stream con le sue dotte analisi, per esempio, del confronto televisivo in cui Kamala aveva una perpetua espressione o di derisione o di appena bonario raccapriccio, davvero insopportabile nella sua ostentata supponenza. Niente da fare.
Il potere di Trump, a questo punto, potrebbe trovare l’unico contrappeso solo nella Camera dei Rappresentanti (il Senato è ora in mano repubblicana), il cui spoglio delle schede elettorali è tuttora in atto.
Trump non sembra avere propensioni “democristiane” o diciamo andreottiane ripescando soggetti repubblicani che negli anni bui lo hanno evitato, rinnegato, o hanno tentato di fargli la morale specie su Capitol Hill. Scomparso dai radar della politica il suo ex vice Pence, o gelate le speranze dell’ex segretario di stato Pompeo che, presene le distanze, ha tentato un riavvicinamento. Anche chi lo ha contrastato troppo duramente alle primarie non ne trae buoni frutti quale la ex ambasciatrice all’ ONU che pur ne dichiarò l’appoggio ma senza molta convinzione. Il partito repubblicano, il cui spostamento a destra era in atto dagli ultimissimi anni del Novecento ma pur sempre sotto una cappa neocon, ormai si delinea come un contenitore nobile del movimento MAGA. E in questa dinamica di evoluzione-involuzione del Great Old Party, si inserisce, tanto per rincarare la dose ai danni dei vecchi ras ormai privi di truppe ma anche di ufficiali, l’irruzione impensabile e dagli esiti imprevedibili dell’uomo più ricco del mondo ovvero Elon Musk con tutto il suo genio, la sua folle avventurosità (mai o quasi mai perdente), le sue visioni stupefacenti quali la colonizzazione di Marte.
La Storia, semplicemente, si è rimessa in moto, e scatta il si salvi chi può, lo scordiamoci il passato, il disperato tentativo di limitare i danni o almeno di uscire di scena con dignità.
Ed ecco le immediate telefonate di congratulazioni e di “non vedere l’ora di iniziare a lavorare insieme” anche da parte di chi, sul più alto Colle, un tempo pontificava sul populismo eversore di Capitol Hill, o sul nefasto potere dei nuovi media quando Musk venne a Roma snobbando (e probabilmente irritando) il Quirinale (vedi il mio ELON MUSK, ORMAI APERTAMENTE MELONIANO, HA IRRITATO LA SINISTRA E IN ITALIA E’ UFFICIALMENTE CONSIDERATO UN “OLIGARCA” (MATTARELLA DIXIT, ALMENO SECONDO LA STAMPA MAIN STREAM). del 23 dicembre 2023).
A. Martino
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