DOPO LO TSUNAMI TRUMP: SI SALVI CHI PUÒ, LA TRISTE STORIA DEL BORSINO DELLA POLITICA ITALIANA

L’elezione di Trump comporterà inevitabilmente un riassetto degli equilibri anche in Italia, all’interno dell’attuale maggioranza di centrodestra. È una posizione che ho sempre sostenuto con fermezza, a differenza della stampa nazionale, spesso più attenta a polemiche sterili che ai fatti.

Trump, infatti, ha dichiarato subito dopo il voto che la priorità del suo mandato sarà quella di riportare la pace in Ucraina e in Israele, per, (questo non detto ma sottointeso) aprire una nuova stagione di dialogo con la Russia e depotenziare così la Cina. Di conseguenza, chiunque si opponga a un dialogo e a una collaborazione con il Cremlino o con la Knesset rappresenta un ostacolo a tale disegno ed è inevitabilmente destinato a incontrare, oltre al biasimo dell’amministrazione statunitense, la propria fine politica.

D’altronde, l’Italia, come la Germania, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non è più uno Stato sovrano con piena autonomia diplomatica e militare, bensì un vero e proprio clientes di Washington, costretto a seguire le direttive imposte dal suo dominus d’oltreoceano. Questa logica, è bene sottolinearlo, condiziona non solo la maggioranza parlamentare, ma anche l’opposizione, e lo fa fin dai tempi della Prima Repubblica. Basti pensare a Giorgio Napolitano, definito negli anni ’70 da Henry Kissinger “il mio comunista preferito”, o all’Eurocomunismo formulato da Enrico Berlinguer, che sancì il distacco ideologico dal blocco sovietico. Se tutto ciò era valido allora, oggi – con le frontiere della NATO che si estendono sempre più a est e il nostro spazio di manovra ulteriormente ridotto – appare ancor più inevitabile che Roma debba seguire la Casa Bianca.

I recenti avvenimenti, poi, apparentemente scollegati tra loro, rivelano invece, a uno sguardo attento, di essere parte di un grande disegno politico.

Ecco quindi che:

  • Il 24 settembre 2024, Meloni, anziché partecipare alla cena di gala in onore di Volodymyr Zelensky a New York, in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si reca a ritirare il premio “Global Citizen Award 2024” proprio dalle mani di Elon Musk;
  • Il 29 ottobre 2024 è scoppiato il caso di un gruppo di hacker legati a una società milanese che aveva acquisito e archiviato grandi quantità di dati riservati, mirati alla creazione di dossier per influenzare la politica. Tra gli spiati risultavano esserci anche le figure apicali dello Stato italiano: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, il Capo del Governo, Giorgia Meloni, il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, e l’uomo di fiducia della Meloni in Europa, Raffaele Fitto;
  • Marina Berlusconi, figlia prediletta di Silvio, viene nominata Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 30 ottobre 2024, appena sei giorni dopo l’elezione di Trump;
  • Mentre si votava negli Stati Uniti, il 5 novembre 2024, la Regione Campania approva una legge che consentirà a Vincenzo De Luca di ricandidarsi per un terzo mandato come presidente;
  • Il 7 novembre 2024, Salvini, abbigliato in perfetto stile Trump con camicia bianca, cravatta rossa e giacca blu, si dichiara pronto sui social a volare negli Stati Uniti per incontrare il nuovo Presidente, mentre Meloni telefona a Musk e, sempre via social, dichiara: “La sua visione è una risorsa per l’Italia.”

In fondo, tutti questi fatti non sono altro che il risultato di un rumore di fondo, percepibile per chiunque abbia avuto il buon senso di ascoltare il futuro che galoppa: la vittoria di Trump era inevitabile. Persino i bookmaker davano la vittoria del Tycoon a 1,75 contro il 2,15 della Harris. E si sa, in questo mondo, il denaro è tutto!

Così, Meloni – che negli ultimi anni è stata capace di tutto e del contrario di tutto, passando da sostenitrice di Putin a sua nemica in salsa ucraina, da critica agguerrita dell’UE a “compagna di merende” di Ursula von der Leyen, da alfiere del conservatorismo internazionale a “nipotina prediletta” di Biden – fiutando la mala parata, ha pensato bene di riposizionarsi. Lo ha fatto tentando di seguire la parabola del figliol prodigo, ma ha trovato in Trump un “padre” che, più che al Nuovo Testamento, sembra ispirarsi al Vecchio, preferendo l’occhio per occhio al perdono. E a Washington ne sanno qualcosa, viste le innumerevoli epurazioni annunciate.

Che fare, dunque? L’ultima carta che è rimasta a Giorgia, per non perdere testa e poltrona, è quella del legame con Musk. Ma basterà? Probabilmente no, perché se l’amicizia conta, negli affari contano di più gli interessi – e Musk difficilmente andrà in rotta con Trump per sostenere la Premier italiana.

Mattarella, dal canto suo, che, oltre a essere uomo di esperienza, è il primo Presidente della Repubblica Italiana ad aver esercitato il proprio mandato, ad oggi, per ben 3.586 giorni – cioè già un anno e due mesi in più del suo predecessore, anch’egli detentore del record del secondo mandato, e che intende portare a termine senza colpo ferire fino al 2029 – sa bene che le intercettazioni non si fanno per puro spirito voyeuristico. Ha quindi pensato di affidarsi all’unica persona indispensabile sia per l’Italia che per il disegno di Trump: Marina Berlusconi, che, per chi non lo sapesse, non è solo la figlia del Cavaliere, ma è anche una persona con rapporti diretti e amichevoli con Putin e il Cremlino, grazie ai trascorsi del padre. D’altronde, chi potrebbe mai mandare il nostro Paese a trattare con lo Zar dopo il voltafaccia dell’80% della nostra classe politica? Anche contro la volontà di Marina, dunque, questa volta le toccherà scendere in campo, con buona pace di Tajani, che dovrà necessariamente tornare nell’ombra come ai tempi di Silvio. E il merito di questa operazione se lo prenderà tutto il “vecchio” Mattarella.

A sinistra, Elly Schlein, un po’ perché votata in gran numero dagli attivisti di destra alle primarie aperte del PD per far affossare il partito, un po’ perché ideologicamente legata alla sinistra radical chic e salottiera come i democratici americani, in questi anni ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare, dal sostegno militare a Kiev, lei che dovrebbe essere esponente di un partito pacifista, così come, da ebrea, alla feroce opposizione a Netanyahu, o alla guerra sotterranea all’ex Sceriffo di Salerno, Vincenzo De Luca, che le costerà non solo la sconfitta anche in Campania, ma la guida del partito.

De Luca, infatti, è sempre stato vicino alla Russia, sia durante la Pandemia quando espresse il desiderio di voler acquistare per la Regione Campania lo “Sputnik V”, sia durante il conflitto in Ucraina, quando ha espresso apertamente, in più di un’occasione, critiche verso la NATO, sia per il proprio espansionismo verso est, sia per una presunta mancanza di “sensibilità politica” da parte della leadership dell’Alleanza Atlantica. Insomma, Vincenzo De Luca, a sinistra, insieme ad altri decani del partito, come Romano Prodi, potrebbero essere gli uomini giusti per il momento giusto.

E tornando a destra, c’è Salvini, che dopo anni di purgatorio finalmente sembra riuscire a scrollarsi di dosso l’ombra della Meloni e di Tajani. Il suo essere coerentemente vicino a Trump e critico della guerra in Ucraina potrebbe fruttargli molto, ma deve stare attento a Marina, ecco perché in questi giorni tende a sottolineare questa sua vicinanza d’intenti con il Tycoon.

Ma vicinanza o meno, Napoleone, che non era l’ultimo dei fessi, un giorno disse: “Non voglio generali bravi, voglio generali fortunati“, perché alla fine, in politica come in guerra, è la fortuna che conta più della bravura e non so se Giuseppe Conte sia stato più un generale fortunato o bravo, fatto sta che, l’avvocato del popolo, come amò definirsi egli stesso, avrebbe dovuto avere vita breve politicamente parlando, in quanto figura transitoria, di equilibrio, di compromesso. E invece il buon “Giuseppi” è sopravvissuto pure a Grillo e, dato il suo contegno verso la guerra in Ucraina e la sua amicizia con Trump, sarà di certo protagonista anche di questa nuova stagione, così come un altro generale, questa volta però vero, Roberto Vannacci, dati i suoi trascorsi a Mosca e negli Stati Uniti, sicuramente non sarà una mammoletta e giocherà un ruolo da leone.

Tolti questi big, di tutto l’arco costituzionale della nuova Italia trampiana dovrebbero rientrare in gioco, non certo per fortuna ma per volontà e determinazione, anche i rosso-bruni Alemanno e Rizzo, mentre per tutti gli altri, con molta probabilità, vi sarà solo oblio e stridore di denti.

Lorenzo Valloreja

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