LE AZIONI DI TRUMP E MUSK VOLANO. E BEZOS DECIDE DI NON APPOGGIARE LA HARRIS. UN BRUTTO SEGNO PER QUESTA.
Ci sono segni, finanziari o comunque a sfondo finanziario, che fanno sospettare (o meglio confermano i miei sospetti) che la candidatura alla presidenza USA della vice presidente in carica Kamala Harris scricchioli in sondaggi riservati, forse anche alquanto catastrofistici.
Gli indici borsistici di Wall Street (il tecnologico Nasdaq in primis) sono un primo interessante indizio.
In una logica sconcertante per gli iperregolamentati mercati europei che, in verità per nulla infondatamente, guarderebbero con orrore alla commistione colossale di interessi fra un candidato alla presidenza (Donald Trump) e il suo principale finanziatore (Elon Musk), e le loro società quotate, c’è molto da leggere.
Anche se nessun analista finanziario italiano o francese o tedesco ha il “barbaro coraggio” di dirlo apertamente. Perché, francamente, non capisco: forse, per non alimentare una sfiducia globale verso la finanza? Sta di fatto che l’azione Trump Media & Technology group (significativa sigla borsistica DJT, ovvero Donald j. Trump) ha guadagnato nella sola giornata di venerdì lo 11,44% chiudendo a 38,95 dollari una settimana iniziata attorno ai 30 (ancora ben poca cosa rispetto al massimo di 78,93 segnati al debutto nel Nasdaq, sulle ali dell’entusiasmo per il collocamento azionario poi drasticamente, fino a 11 dollari circa, ridimensionato dalla rinuncia di Biden in campo dem e conseguente incoronazione della Harris).
Cosa dire poi, del titolo TESLA? Dopo una estate e primo autunno scialbi sui duecento euro, le azioni del cuore della galassia electro-hi tech di Elon Musk hanno contemporaneamente all’ exploit di DJT registrato un improvviso quanto colossale aumento di capitalizzazione di ben un quarto, tra giovedì e venerdì, portandosi attorno a quota 250 dollari. Certo, ci sono stati ottimi risultati comunicati dalla relazione semestrale per i mercati, ma colpisce la concomitanza di questo boom con la epocale e provocatoria escalation dell’appoggio di Musk a Trump di cui pochi giorni prima riferimmo.
Ma anche il patron di Amazon Jeff Bezos (egli pure sul podio degli uomini più ricchi del mondo e certo non solo d’America) lascia quasi a bocca aperta (per noi piacevolmente ma con sconcerto del main stream) vietando dopo mezzo secolo abbondante e fin dai tempi dello scandalo Watergate, al quotidiano influente di cui è proprietario (Washington Post) di fare endorsement sia per Harris che per Trump. In pratica, considerando lo strapotere liberal nella stampa di sistema a stelle e strisce, di farlo per la Harris.
Sono brutti segni per costei, in merito a dove i soldi (quelli veri) tendano ad andare. E che controbilanciano i cinquanta milioni di dollari ricevuti da Bill Gates. Ma comunque, di tutti questi dollari, i candidati alla presidenza statunitense, che ne fanno? Credo proprio che alla fine, qualcuno, al vinto come al vincitore, ne avanzi….
A. Martino
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