TRA DIFESA DEI DIRITTI E STRUMENTALIZZAZIONE POLITICA LA COSTITUZIONE ITALIANA È ORMAI FRITTA

La Carta Costituzionale di qualsiasi Paese può essere paragonata alla Bibbia. Infatti, proprio come il Sacro Testo, essa merita rispetto, poiché tutela ogni singolo cittadino. E, come la Parola di Dio, se non viene interpretata correttamente, “ti fa bestemmiare”.

Di conseguenza, può accadere che, ascoltando il Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ci si renda conto di come anche figure preparate, come il dott. Giuseppe Delucia, possano travisare completamente lo spirito della Costituzione italiana.

In particolare, durante un dibattito televisivo nel talk show di Lilli Gruber, “Otto e Mezzo”, Delucia ha dichiarato:

Lo spirito progressista è già nella nostra Costituzione. D’altronde, è essa stessa che pone al centro la persona umana, e questo non lo abbiamo scritto noi. I magistrati, semmai, cercano solo di attuarla. Al contrario, è il Paese conservatore a porsi in maniera dissonante rispetto a un’agenda progressista insita nella nostra carta fondamentale. Inoltre, si tenga presente che le maggioranze non sono sovrane rispetto ai diritti fondamentali, che sono stati costruiti sull’esperienza di un passato orrendo che ha interessato tutta l’Europa, e proprio per questo li abbiamo inclusi nella Costituzione, per frenare le tirannie della maggioranza. Si badi bene: quelle sono delle barriere invalicabili, anche per le maggioranze democraticamente elette. Questo è il quadro. Se non ci intendiamo su questo, ovviamente la magistratura viene percepita come un potere che invade, ma non è così, perché semplicemente fa il proprio mestiere in un contesto europeo che difende, al pari della nostra Costituzione, i diritti fondamentali.”

Alla luce di tali affermazioni, viene naturale chiedersi: in quali articoli o passaggi della nostra Costituzione è mai menzionato il termine “progressista” e, soprattutto, cosa potrebbe far pensare che nella nostra Carta fondamentale alberghi il cosiddetto “spirito progressista”?

Forse lo si evince dall’articolo 1, che recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

Tuttavia, occorre notare che anche Stati dittatoriali e totalitari, come l’ex URSS, la scomparsa Germania Est, la fu Jugoslavia, l’attuale Cina e la Corea del Nord, avevano e hanno disposizioni simili relative al lavoro nelle loro costituzioni (articoli 118, 24, 159, 42 e 70, rispettivamente). Anche il principio secondo cui la sovranità appartiene al popolo è presente non solo in queste costituzioni, ma anche in quella che fu la Libia di Gheddafi.

Dunque, dove si trova questo cosiddetto “afflato progressista”?

Forse vogliamo rintracciarlo nel tanto decantato articolo 11, che afferma: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Ma anche qui, è interessante osservare che Paesi che, come l’Italia, persero la Seconda Guerra Mondiale, hanno inserito articoli simili nelle loro costituzioni. Ad esempio, l’articolo 9 della Costituzione giapponese, l’articolo 26 della Costituzione della Repubblica Federale Tedesca e l’articolo 8 della Costituzione della Germania Democratica. E non solo: anche nazioni vincitrici, come l’Unione Sovietica e la Cina, hanno inserito principi analoghi nei rispettivi preamboli costituzionali del 1977 e del 1982. Persino la Corea del Nord, nata nel 1948, ha inserito, quale diciassettesimo punto della propria Costituzione, un articolo simile.

Lo stesso discorso vale per la difesa delle minoranze contro il potere delle maggioranze, ravvisabile nei nostri articoli 2, 3, 6, 13, 19, 21, 138 e 139, e presente anche nelle costituzioni dei Paesi fin qui menzionati. Potremmo proseguire all’infinito per tutti gli articoli della nostra Carta fondamentale, che per molti è considerata “la più bella del mondo”, ma che il Presidente Emerito Francesco Cossiga definiva un “pastrocchio”, rifacendosi al giudizio di uno dei più grandi costituzionalisti britannici del XX secolo, Sir Ivor Jennings, il quale aveva studiato diverse costituzioni, tra cui quella italiana, e riferendosi a quest’ultima aveva detto che era “perfetta per un Paese che non volesse applicarla”.

Dunque, la Costituzione può essere considerata un manifesto politico, come affermano taluni?

Certamente no! La Carta fondamentale di uno Stato è semplicemente il documento che stabilisce l’ordinamento giuridico e politico dello Stato stesso. Essa definisce i principi su cui si basa il governo, i diritti e i doveri dei cittadini e le regole che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni pubbliche e del vivere civile, in maniera asettica.

Allo stesso modo, ai tanti “barricadieri” dell’antifascismo che riempiono ogni talk show politico, chiederei: dove è scritto, in maniera esplicita e chiara, che la nostra Costituzione è antifascista?

L’unica menzione in tal senso si trova nella XII Disposizione Transitoria e Finale, che, come dice il nome stesso, dovrebbe avere un carattere di transitorietà e non di permanenza, come infatti è stato per l’esilio dei discendenti di casa Savoia. Essa recita: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”, dove per “qualsiasi forma” si intende qualsiasi organizzazione che miri alla soppressione della democrazia e delle libertà costituzionalmente garantite, anche senza l’uso della violenza, e non per l’uso più o meno smodato del simbolismo e folclore a esso collegato.

Infatti, se non fosse così, non sarebbe stato permesso al Movimento Sociale Italiano – partito nato nel 1946 dalle ceneri del Partito Nazionale Fascista, che ebbe come leader prima Junio Valerio Borghese, ex comandante della Decima MAS, e poi il generale Rodolfo Graziani – di partecipare a tutte le elezioni politiche e amministrative in Italia dal 1947 al 1995, anno della sua dissoluzione. Allo stesso modo, non sarebbe stata ammessa la lista “Fascismo e Libertà” nelle elezioni politiche del 1992, con un simbolo che includeva il fascio littorio repubblicano. Eppure, quella lista ottenne uno scarso 0,01% alla Camera e lo 0,02% al Senato, dimostrando che il fascismo, come simbolo politico, non rappresenta una minaccia per la democrazia, purché chi lo utilizzi rispetti le regole del sistema democratico.

Questo lo sapeva bene anche Palmiro Togliatti, comunista e Ministro di Grazia e Giustizia nel governo De Gasperi I, che nel 1946 promulgò un’amnistia per i reati comuni e politici, inclusi quelli di collaborazionismo e concorso in omicidio, come un passo verso la pacificazione e la normalizzazione del Paese dopo la guerra civile.

Ora, però, a oltre 70 anni di distanza, sembra che ci sia chi, in questo clima di perenne conflitto ideologico e globale, abbia dimenticato tutto ciò, cercando di ridurre la Costituzione a mero strumento di lotta politica. Non tanto per la difesa di una causa, quanto per il mantenimento delle proprie posizioni di potere. Perché alla fine… è sempre e solo una questione di “tengo famiglia”!

Lorenzo Valloreja

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