SE A MILANO IL COMMERCIANTE CINESE SI FA GIUSTIZIA DA SE’ UCCIDENDO L’ITALIANO CON TRE FIGLI CHE DELINQUE, C’E’ QUALCOSA DA CAPIRE RIGUARDO IL FUTURO DELL’ITALIA.

Periferia sud di quella che un tempo si definiva capitale morale d’Italia ovvero Milano. Ore cinque del mattino, in questo momento a quell’ora è ancora piena notte, un pregiudicato trentasettenne di cui non ho alcun bisogno di fare il nome, cerca di penetrare in un bar forzandone la serranda e facendo razzia di quattro soldi in cassa e di qualche risma di biglietti gratta e vinci (forse per “grattarli” egli stesso, nella tragedia la nota grottesca?).

Le cose gli vanno più che malissimo: non risalirà mai su quello scooter rubato (pare che avesse un complice, un palo direi alquanto imbranato e poco professionale) e non rivedrà mai più i suoi tre figli. Infatti in una manciata di minuti il suo destino si compie, ucciso a forbiciate (sembra almeno venti) dal marito e dal nipote della titolare del bar viventi nello stesso stabile dell’esercizio commerciale.

Costoro sono di origine cinese, ora arrestati e accusati di omicidio volontario. Parlare di legittima difesa, in questo caso, non ha ovviamente senso.

Ma qui non mi interessa il fatto di cronaca nera, quanto piuttosto i suoi risvolti sociologici e antropologici. Come sempre, sui socials non è mancato chi ha forse avvertito una sorta di eccitazione nell’apprendere che qualcuno, nel fare qualcosa di profondamente sbagliato come il rubare, è stato ammazzato. Anche se questa volta non siamo dinanzi alla solita rapina a mano armata solitamente compiuta da un immigrato molto male integrato, ma a un “semplice” furto con scasso.

Alcuni commenti riportati dal lancio ANSA : “ “La prossima volta eviti di rubare e vai a lavorare delinquente…Non ci mancherai”, “A vedere il profilo e il tipo di persona, era inevitabile che facevi sta fine prima o poi, ben ti sta…, “Io sto con il cinese”, “un delinquente in meno“.

In effetti le due persone che dovranno rispondere della gravissima accusa sono cinesi (non so se abbiano acquisito la cittadinanza italiana). E’ un chiarissimo segno dei tempi.

L’immigrato ha un’avviata attività commerciale, e l’italiano non ha arte né parte, non uno o due ma tre figli da mantenere, ha scelto la via del crimine e l’ha pagato con interessi direi usurarii (la vita, cioè). Pare che un certo stereotipo sociale sia nettamente invertito. Forse, “poteva andare a lavorare”: certo, d’accordo; ma conoscete la busta paga di un operaio senza alcuna qualifica? A quelle condizioni, la scelta tra il delinquere e non, è puramente morale per chi nulla o poco ha da perdere.

Resterebbe l’accattonaggio esibendo un povero bambino, o quei cani penosamente affezionati a un barbone cui il racket li ha assegnati. Ma come fa un italiano a inserirsi nel giro? Sono sicuro che se un poliziotto in incognito si improvvisasse barbone piazzandosi in un angolo di strada di punto in bianco con la mano tesa, susciterebbe immediate reazioni e si solleverebbe il coperchio sul racket sia dei mendicanti che dei bambini e persino dei cani.

Un po’ di pietà non farebbe male, anche perché le venti coltellate del commerciante asiatico, a Milano, sullo sbandato milanese, sono un oscuro presagio di quello che l’Italia sarà per i nostri figli. Ma se si sa solo inveire sul compatriota, e maledire chi ha sbagliato e si e si ritrova nell’altro mondo, ed è stato praticamente trucidato con la prima specie di arma a portata di mano, mi sapete dire dove sono questi fratelli e sorelle d’Italia?

A. Martino

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