PERCHE’ QUALCUNO, DURANTE LE GUERRE, SE LA PRENDE CON I GIORNALISTI DEL SISTEMA INFORMATIVO ITALIANO?
La tragica esperienza della troupe del Tg 3 in Libano dalle parti di Sidone, il cui autista (una bravissima persona locale che da anni collaborava con giornalisti della RAI) è morto di infarto sicuramente per l’anomala emozione di quei momenti così concitati in cui è parsa a rischio la vita di tutto il team, ci ha sbattuto in faccia per l’ennesima volta la delicatezza, gli equivoci e l’ambiguità (spesso peraltro involontaria) del reporter di guerra.
E praticamente concomitante, è arrivata dalla Russia la richiesta di arresto ed estradizione a carico di due altri giornalisti RAI (Simone Traini e Stefania Battistini), peraltro già inquisiti dalla magistratura russa praticamente non appena entrati gli ucraini nella regione di Kursk dopo che la presenza dei due era stata subito notata dai servizi segreti russi dello FSB.
Il tribunale locale ha infatti accolto la richiesta del servizio di frontiera russo in merito. Tale istanza non sarà mai accolta dalla magistratura italiana, ed ha più che altro un valore simbolico di rivendicazione della sovranità russa su quella terra di confine, oltre che apparire come un classico “intelligenti pauca”. Buon senso vorrebbe che Traini e Battistini non si facciano più saggiamente vedere in zone di guerra coinvolgenti russi (molto probabilmente armati dato che appunto si è in guerra, ma con le logiche del main stream non si sa mai).
Riporta tra l’altro l’agenzia Interfax: “ …….Traini e Battistini, dopo aver oltrepassato illegalmente il confine russo, si sono recati a Sudzha, nella regione di Kursk, con un veicolo da trasporto di unità armate ucraine…”.
Il ministro degli Esteri Tajani e la RAI hanno difeso a spada tratta i due giornalisti (cosa in fondo dovuta per un minimo di orgoglio e solidarietà nazionali), esaltando la nostra libertà di stampa (peccato che rapporti internazionali in materia suggeriscano una realtà alquanto diversa). Quello che però sembrano far finta di non capire è che probabilmente, a ruoli ipoteticamente invertiti, l’apparato giudiziario-poliziesco italiano avrebbe fatto lo stesso.
Ma non sono le disquisizioni giuridiche il vero punto cruciale. Lo è invece l’aspetto politico delle narrazioni main stream occidentali, per cui, nel primo caso (molto ma molto più drammatico di quello in Libano) dei giornalisti italiani del servizio giornalistico pubblico (impegnato in una incessante e martellante demonizzazione della Russia parallela alla santificazione di tutto quanto di parte ucraina) sono entrati in territorio russo, dove diversamente mai avrebbero messo piede anche invitati da Putin in persona, al seguito dell’incursione ucraina e su mezzi militari ucraini. Fate un po’ voi le vostre considerazioni.
E nel secondo, in un povero paese detto repubblica del Libano martoriato e dalla formale neutralità disprezzata e derisa dal delirio di onnipotenza (e impunità) degli israeliani, dei nostri giornalisti (sempre del main stream per antonomasia che è il cosiddetto servizio pubblico) hanno cozzato contro la rabbia di chi, sotto le bombe israeliane, potrebbe aver perso anche dei figli di pochi anni di cui nel cosiddetto Occidente, siamo seri e sinceri, a nessuno importa.
Cosa volete che a costoro importi della logica velinara nel loro caso (violata sovranità del Libano a parte) della serie “c’è un aggressore e un aggredito” anche se a distanza di un anno si esorbita largamente dalla legge del taglione, forse nella misura anche di uno a cento?
Insomma, e in tutta sincerità: sacrosanto piangere chi per quattro soldi ha sacrificato la vita per qualche servizio giornalistico su una televisione straniera, ma si faccia anche un minimo di mea culpa per le narrazioni che il sistema informativo ha mandato di fornire. E che evidentemente, a volte, fanno imbufalire qualcuno dalla parte “sbagliata”.
A. Martino
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