UCRAINA, NATO E L’OCCIDENTE: UN GIOCO AL RIALZO SENZA VIA D’USCITA PER UNA GUERRA CHE NON SI PUÒ VINCERE.
Ormai, quando leggo o ascolto certi commenti pubblicati dal Corriere della Sera, dalla RAI o da qualsiasi altro organo d’informazione del tipo: “Le minacce di Putin...”, mi viene da pensare che abbiamo ampiamente superato la barzelletta e siamo approdati alla farsa tragica. Infatti, dopo due anni e mezzo di conflitto, con i Paesi della NATO che hanno inviato ogni tipo di supporto all’Ucraina e permesso all’esercito di Kiev di compiere una sortita nella regione russa di Kursk, occupandone una parte e attivando così la dottrina russa sull’integrità territoriale, che prevede, tra l’altro, l’utilizzo del proprio arsenale nucleare per difendere tale integrità, cosa si aspettavano gli occidentali? Forse che il Cremlino ci facesse un applauso?
Ora, con Gran Bretagna e Francia che hanno autorizzato Zelensky a utilizzare i loro missili a lunga gittata contro il suolo russo, cosa credevano i nostri leader? Che Putin ci inviasse le sue felicitazioni e un premio in denaro?
E se vogliamo dirla tutta, la risposta dello “Zar”, come al solito opposta e proporzionata, è stata fin troppo tardiva. O davvero abbiamo la presunzione di credere che nessuno possa opporsi alla potenza militare della NATO?
Non è così, perché se si analizzano in modo asettico e scientifico tutti i segnali che ci giungono dall’Ucraina e dintorni, ci si può rendere conto, senza dubbio alcuno, di come la guerra sia ormai miseramente persa e di quanto siano stati fallimentari gli investimenti fin qui fatti.
Tanto per iniziare, la Turchia, spina dorsale dell’Alleanza Atlantica, ha fatto domanda ufficiale per entrare nei BRICS, cioè nel raggruppamento delle economie emergenti antitetiche agli Stati Uniti e guidato da Russia e Cina. Nel frattempo, Finlandia e Svezia, che sono entrate nella NATO rispettivamente solo un anno e mezzo fa e sei mesi fa, stanno già facendo i conti con pesanti tagli al loro sistema di welfare per sostenere il riarmo voluto da Washington, che ha imposto a questi Paesi scandinavi l’acquisto di notevoli quantità di caccia F-35A Lightning II dalla Lockheed Martin. I soli finlandesi hanno speso più di 9 miliardi di dollari per questi velivoli, oltre ad altri 200 milioni per carri Leopard-2A6. Helsinki, dunque, si prepara, come nell’autunno scorso, a una stagione di forti proteste sindacali contro l’austerità imposta ai ceti più poveri. Questo caos non può che minare alla base il consenso che certa parte dell’Occidente vaneggia.
Se vi fosse capitato di essere in vacanza o per affari in Vietnam, Brasile o negli Emirati Arabi, e aveste visto i TG locali o letto i giornali del posto, vi sareste sicuramente resi conto di come il conflitto, sia russo-ucraino che israelo-palestinese, venga raccontato da una prospettiva diametralmente opposta alla nostra. Dov’è dunque la verità?
La verità è che non esistono paci giuste, ma solo quelle dei più forti, e che i valori ideologici e umanitari propugnati dalle cancellerie europee hanno ceduto il passo agli immensi interessi economici investiti in questi conflitti.
In altri termini, il blocco occidentale ha speso finora troppi soldi per tirarsi indietro, senza dover fare i conti con il proprio fallimento politico ed economico. Ogni capo di Stato e di Governo di questa compagine, da Washington a Varsavia, è come un padre di famiglia che ha investito tutti i propri risparmi personali, e quelli dei suoi congiunti, su un titolo in borsa che, purtroppo, non solo ha perso valore, ma si è letteralmente vaporizzato. Così, non può presentarsi a casa e dire: “Scusatemi, abbiamo perso tutto!”, perché perderebbe di credibilità e rischierebbe di essere linciato. Che fa allora? Nulla, resta in silenzio e spera che i titoli tornino a salire, comprando altri, sperando di rientrare dei propri debiti.
Ebbene, l’Europa e gli Stati Uniti stanno facendo lo stesso: non vogliono presentarsi ai cittadini con il cappello in mano, perciò continuano a rilanciare la posta, sperando che la sorte li favorisca… e sono disposti a eliminare chiunque minacci di togliere loro ogni vana speranza di recupero, dal candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump, scampato fortunatamente a un altro attentato, ai governi presuntamente amici, come quello ungherese di Orbán, che potrebbero ostacolarli.
Ecco perché Draghi è andato a colazione da Marina Berlusconi: non certo per parlare del rilancio dell’economia italiana o del mantenimento del welfare europeo, ma per discutere della necessità di mantenere l’Italia saldamente allineata nella produzione, vendita e acquisto di armi.
Per chi ancora non lo sapesse, infatti, questo dettaglio ha fatto sì che negli ultimi anni il PIL italiano fosse stranamente positivo, in controtendenza rispetto agli altri Paesi UE. Dunque, a far viaggiare l’economia sono state realtà come Alenia e Leonardo, mentre, in ogni piccola o grande città italiana, sempre più serrande non si alzano più grazie al concentramento dei fondi sulla voce di bilancio “armi”.
Ora, si badi bene, Noi non siamo contro il riarmo dell’Italia, anzi, da queste pagine abbiamo sempre sostenuto che, se si vuole la pace, bisogna prepararsi alla guerra. Ma una cosa è farlo nell’interesse esclusivo della Nazione Italiana, un’altra è farlo per armare altri Paesi contro i nostri interessi o, peggio ancora, per far piacere ai burattinai d’oltreoceano.
L’Italia deve essere libera di spendere le proprie risorse, prima di tutto, per le necessità del proprio popolo e poi per la difesa degli interessi della Nazione stessa.
Il resto è solo congiura e servilismo.
Lorenzo Valloreja
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